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5- Mattia

«Come vorresti entrare esattamente?» chiedo preoccupata a Giacomo, guardando la cima dell'edificio. «Hai letto "Città di carta"?» Scuoto la testa, «Te lo porto domattina, almeno potrai leggerlo ad Amsterdam. In ogni caso Margot conosce la guardia dell'edificio in cui entrano. Ecco... Pronta a conoscere Mattia?» Mi prende la mano mentre ci incespichiamo nella parte che i lampioni non illuminano.

«Giacomo, che piacere... Come mai qui?» domanda un uomo sulla cinquantina che fino ad un secondo fa era seduto dietro al bancone della reception, ma che si è alzato per farci oltrepassare le porte scorrevoli. I capelli scuri sono tenuti indietro con un po' di gel, e un filo di barba con qualche spruzzo di bianco, gli incornicia il viso.

«Io e la mia ragazza volevamo salire sul tetto, se non è un problema per te» spiega e io vengo scossa da un trilione di brividi per il modo in cui mi ha chiamata. "La sua ragazza". Per finta e solo per salire, ma pur sempre "La sua ragazza". Sogno da tempo che mi definisca così e questa notte, la nostra ultima notte insieme, lo sta facendo.

Mattia mi rivolge un sorriso amichevole, «Hai scelto bene Giacomo, come ti chiami?» parla rivolgendosi a me che abbasso leggermente il capo. «Lara, Lara Palmieri» rispondo.

«Salite pure» autorizza. Giacomo lo ringrazia con una pacca amichevole sulla spalla coperta da una camicia azzurra, che compone la divisa di Mattia. «Metti qualcosa in mezzo alla porta, se si chiude non si può aprire dall'esterno e preferirei non dover salire trenta piani per salvarti. Chiaro, ragazzo?» Giacomo annuisce convinto e io rivolgo un sorriso incerto a Mattia.

Poi, sempre per mano, iniziamo a percorrere le scale. La sera gli ascensori sono spenti, quindi ci tocca fare trenta piani a piedi.

«Quando ho detto di voler salire in cima a questo palazzo, non intendevo scalarlo.» Mi fermo al quarto piano con il fiatone. «Forza, ne mancano ancora ventisei!» mi incita. «Come fai a non essere stanco?» L'incredulità nella mia voce lo fa ridere. «Ad Amsterdam inizierai ad andare a correre, ok?» Scuoto la testa. «Se pensi che mi alzerò la mattina per farmi una bella corsetta in solitudine, non mi conosci affatto.»

Mi afferra di nuovo la mano, che ha lasciato dopo aver girato l'angolo in modo che Mattia non ci vedesse, e mi trascina tre gradini più in alto rispetto a lui. «Facciamo che ti chiamo e andiamo a correre insieme» propone.

«Ora sali, forza.» Si volta per darmi le spalle indicando di salirgli sulla schiena. «Giacomo, non puoi fare trenta piani con me sulle spalle!» lo rimprovero. «Sono ventisei.» Mi fa l'occhiolino chiudendo l'occhio castano. «Se sei stanco me lo dici e scendo, capito?» Risponde affermativamente, così io salto e atterro su di lui.

Inizia a fare le scale e ridiamo in continuazione perché si diverte a sbandare per farmi paura.

Al diciassettesimo piano si ferma e mi dice di scendere. «Salta su.» Apre le braccia, «Mi fa male la schiena, ti tengo davanti.» Attende che io esegua, «Posso andare da sola» provo a convincerlo, ma non cede.

Così salto e gli stringo le braccia al collo. Poso la testa sulla sua spalla inspirando a pieni polmoni il suo profumo. Ha le mani sulle mie cosce, senza sentirsi a disagio. Perché devo avere tutta questa confidenza con lui? Non abbiamo nessun segreto. Quando siamo in discoteca viene addirittura in bagno con me e non mi sento in imbarazzo. Come potrei avere una relazione con Giacomo che di me sa letteralmente tutto?

Al ventinovesimo piano Giacomo ha il fiatone, così lo obbligo a farmi scendere. In realtà anche io lo ho. I motivi sono semplici: Giacomo mi ha fatta ridere per tutto il tempo ed ero troppo agitata per respirare in modo regolare. Non è normale, io e lui abbiamo dormito abbracciati e ci siamo toccati un miliardo di volte, mi ha anche tenuto i capelli mentre vomitavo dopo un'intossicazione alimentare o una sbronza e io l'ho abbracciato fortissimo quando è stato male.

Una volta aperta la porta ci lascia il portafogli in mezzo, in modo che non si chiuda, e respiriamo a pieni polmoni l'aria fresca.

Ridendo saliamo gli ultimi quattro gradini e ci ritroviamo davanti a tutte le luci della nostra città. Da domani non le potrò più vedere.

Ma io, dopo aver guardato per qualche minuto nel silenzio totale il panorama, sposto il mio sguardo su Giacomo che è concentrato sulle luci.

Mi viene da piangere per la mia voglia di baciarlo e di dirgli quanto io sia follemente innamorata di lui. Perché dev'essere così sbagliato?

«Sarebbe teatrale buttarsi da qui e morire» osservo guardando verso il basso. «Se ti suicidi adesso dovrò venirti dietro» commenta concentrato sull'orizzonte. «Non ti butteresti se mi buttassi io.» Sbuffa una risata. «Hai presente quel detto che dicono tutte le madri? "Se i tuoi amici si buttassero da un ponte lo faresti anche tu"? A me non l'ha detto mia madre ma mia zia. Se tu ti buttassi da un ponte io ti terrei la mano nel farlo, dopo aver tentato di convincerti a non farlo. Perché sei la mia migliore amica e ti amo più di ogni cosa al mondo, sei l'unica cosa che mi è rimasta.»

Voglio piangere. Voglio esaurire tutte le lacrime perché ha detto di amarmi e il suo amore è solo un amore fraterno, tipico tra due migliori amici. Invece il mio, di amore, è puro.

«Questo è il momento in cui urliamo qualcosa» mormora. «La mia vita fa schifo, cazzo!» urlo a squarciagola. Giacomo mi afferra prontamente la mano e la stringe forte alla sua. «Tocca a te» lo invito. «Non è il mio momento di sfogarmi, sono apposto così... Vieni qui.»

Apre le braccia e, come ho fatto tante volte nel corso degli anni, mi ci butto dentro. Quando il mio viso è a contatto con la sua felpa mi lascio andare ad un pianto disperato e lui mi accarezza dolcemente i capelli. Dopo un po' ci sediamo contro un muro e restiamo qualche secondo in silenzio.

«Vuoi?» domanda porgendomi il pacchetto di sigarette che ha preso dalla tasca del giubbotto che indosso io. Annuisco. Così ci dividiamo quella che è la nostra ultima sigaretta insieme. Come mi sentirò quando non avrò più nessun Giacomo con cui dividere le sigarette?

«Come farò?» sospiro. «Come farò a svegliarmi la mattina con la consapevolezza che dovrò entrare sola in ritardo, che non dovrò più aiutare qualcuno in matematica, che dovrò continuare a piangere perché non sono in grado di tradurre latino e non ci sarai tu ad aiutarmi. Come farò senza le sigarette e i caffè divisi a ricreazione, senza le interminabili ore a parlare di tutto e di niente, senza qualcuno da abbracciare forte da farmi male, senza qualcuno da guardare sentendomi grata. Come farò senza qualcuno da rassicurare continuamente per le sue insicurezze? Come farò senza qualcuno che rassicurerà me per le mie? Non troverò più qualcuno con la tua stessa eterocromia, qualcuno a cui dire "Cristo, hai degli occhi così belli che vorrei cavarteli e rubarteli". Come farò senza tu che apri gli occhi alla mattina davanti a me, permettendomi di vederli entrambi?» Appoggio sconfitta dalla vita la testa sulla sua spalla.

«Troverai qualcuno che ti aspetterà ed entrerà in ritardo con te. Aiuterai qualcuno in matematica e se vorrai potrò aiutarti in latino e farti smettere di piangerci sopra. Dividerai caffè e sigarette a ricreazione con un altro e parlerai ore con qualcuno. Abbraccerai una persona da farti male, ma al contempo stare bene, e la guarderai sentendoti grata. Rassicurerai qualcuno e verrai rassicurata. Non avrai qualcuno con l'eterocromia, ma troverai una persona con degli occhi straordinari e vorrai rubarglieli. Lara vai in un'altra città e cambi vita, sei piena di possibilità» dice.

«Non voglio sostituirti» sibilo a denti stretti. «Ma lo farai e io lo farò con te!» urla scattando in piedi. La sigaretta tra le mie dita vola sul pavimento in cemento e mi alzo anche io. «Sei proprio un coglione Giacomo» lo insulto. «Pensi di esistere solo tu eh? Pensi di essere l'unico a pensare che non durerà? Beh no. Anche io sono fermamente convinta che tra me e te finirà tutto nella spazzatura. Anni di amicizia verranno buttati nel cesso proprio da noi. Ma io non mi arrendo Giacomo. Sei tu. Ti ho giurato che non mi sarei mai separata da te. Per sempre, ricordi?» Gli prendo il viso tra le mani e lo obbligo a guardarmi. Per l'oscurità riesco solo a distinguere la chiarezza dell'occhio azzurro. «Per sempre» sussurra guardandomi.

«Manca ubriacarci in riva al mare, andare a mangiare il gelato in quel posto e baciarci.» Ridacchio per l'ultimo punto, quello irrealizzabile, intendo.

«Andiamo?» propongo. Gli accarezzo la guancia con la mano che è ancora posata lì e lui si rilassa chiudendo gli occhi. «Ti prego, tienili aperti» lo supplico. Nel riaprirli fa un passo avanti per spingerci sotto un lampione e, quando distinguo bene i due colori, tremo. Le gambe mi diventano molli e mi appoggio al muro trattenendo il fiato. Mi sento in apnea in un immenso oceano chiamato Giacomo Riva.

Quanto vorrei dirlo, quando vorrei buttare fuori tutto, tralasciando le conseguenze. Invece mi limito a godermi il momento.

Giacomo posa la mano sulla mia guancia e con il pollice traccia dei piccoli cerchietti. «Non mi va che finisca tutto questo» mormoro. «Shhh» mi zittisce senza smettere di guardarmi.

L'intensità del suo sguardo aumenta e aumenta anche la possibilità che le mie gambe cedano. Nota che sto tremando e sorride. Allora fa passare l'altra mano sotto il giubbotto e il maglioncino e mi tocca la pelle fredda del fianco. Il contatto con la sua mano calda mi fa rabbrividire.

«Vorrei che questo momento non finisse mai» confida. Poi mi attira a sé e mi stringe forte, da farmi male. Però sento i pezzi del mio cuore spezzato, per la partenza e per i sentimenti sbagliati verso di lui, riaggiustarsi.

Aumento sempre di più la stretta. Lo faccio fin quando entrambi non riusciamo a respirare. Lo diciamo all'unisono e poi ridiamo. «Amo gli abbracci che fanno male.» Mi fa l'occhiolino. «Solo tu sei in grado.»

Mi sistema i capelli scuri dietro all'orecchio. «Prima di andare andiamo in bagno.» Dopo aver preso la mia mano scendiamo un po' di piani. A metà troviamo i bagni e entriamo, io in quello delle donne e lui in quello degli uomini.

Faccio pipì e mi posiziono davanti al grande specchio macchiato e opaco appeso al muro a cui sono addossati dieci lavandini. Ho i capelli spettinati e gonfi e cerco di sistemarli meglio che posso con le mani. Le labbra sono rosse e screpolate, come al solito. Il giubbotto di Giacomo è più grande di quanto immaginassi. Lo slaccio per sistemare il maglioncino che lui ha alzato. Nel farlo vedo il punto dove la sua mano ha toccato e lo sento bruciare. Ci poso la mia sopra e chiudo gli occhi.

«La, ci sei?» Bussa Giacomo da fuori. «Arrivo!» esclamo tirando giù il maglione rimettendo la giacca. Mi sciacquo il viso e lo asciugo con la carta che è nel bagno. Da quanto è sottile e scadente mi resta appiccicata sulle mani. Le passo sui jeans per eliminare i residui.

Uscendo trovo Giacomo appoggiato al muro bianco che guarda la porta del bagno in attesa che io arrivi. In silenzio scendiamo le scale di fretta. La discesa è molto meno faticosa della salita.

«Come conosci Mattia?» domando una volta usciti dall'edificio, dopo aver salutato il guardiano amico di Giacomo. «Lui e mia madre erano molto amici, mi sa che erano innamorati... Non volevano rovinare la loro amicizia, così i miei si sono conosciuti e lui era al loro matrimonio come testimone. Che coglione, io non avrei lasciato così la donna che amavo. Certo, se non lo avesse fatto io non sarei qui e io amavo immensamente i miei genitori e lo faccio anche adesso, ma in generale.»

Gli dico che capisco e quasi scoppio di nuovo a piangere perché la storia tra di noi non si dovrà mai ripetere, per nulla al mondo.

«Prima di andare a bere in spiaggia vorrei andare in un posto.»

Spazio autrice

Bentornati cari lettori! Dove vorrà andare Lara? La scena in cima al palazzo è da brividi, sono l'unica a pensarlo? Ora vi lascio, spero che siate curiosi di scoprire dove sono diretti i nostri protagonisti. Un bacio!

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