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Ricordi dimenticati

Ricordi dimenticati


Pansy osservò Theo sparire in un incantesimo e poi, con le mani sui fianchi, si voltò verso Blaise.
"Allora?"
Lui alzò un sopracciglio, ma non si scompose. "Direi che stai meglio. Sembri... più..."
Pansy rise quando notò Blaise in imbarazzo guardarle la pancia.
"Incinta. Sono incinta. Molto incinta, forse..." Un po' a disagio si strinse il golfino sul ventre, cercando di nascondere tutta quella carne in più.

Blaise capì dal tono della cugina il suo stato d'animo. "Mia madre dice quando una donna aspetta un bambino spesso ha gli ormoni scombussolati dalla gravidanza: quindi tu sei diventata normale?"
Pansy, per fortuna, rise e gli diede una manata sul braccio. "Oh, che Troll. No, non sarò mai normale, lo sai".
"Bene, non mi piaceresti troppo normale."

Pansy apprezzò che il ragazzo volesse solo metterla a suo agio e sorrise, indicando il salottino di cui si era appropriata quando era andata a vivere lì, con Theo. "Beviamo qualcosa, vieni..." E lo trascinò fuori dall'ingresso.

Blaise osservò Pansy chiamare l'elfo domestico e poi si girò verso di lui. "Tè freddo o limonata?" gli chiese, ma poi, prima che lui rispondesse, continuò. "Limonata!" Si voltò di nuovo verso l'elfo e gli spiegò quante foglie di menta e quanto zucchero mettere nella limonata. Lui sorrise: lei non era cambiata e si ricordava ancora i suoi gusti.
"Penso di doverti delle scuse" disse lei, quando l'elfo sparì.
Blaise alzò un sopracciglio. "Non dovevo fartele io?"
Lei scosse una mano in aria. "Non per quello. Per averti abbandonato quando è finita con Chastity. Io... Mi spiace non esserti stata vicino".
Il ragazzo sospirò e nello stesso momento l'elfo si materializzò con un vassoio di limonata e piccoli snack.
"Neanch'io ho capito quello stavi passando con Oscar."
Pansy sorrise di un sorriso triste. "Già. A volte ce la si mette tutta per far funzionare qualcosa di sbagliato..."

"Non mi hai mai detto di Theo. Sapevo quello che lui provava per te, ma tu non..." Pansy interruppe il cugino. "È il tuo migliore amico, Blaise, non mi sembrava il caso!"
Lui ghignò. "Ma ti è sembrato il caso andarci a letto lo stesso".
Pansy dovette ammettere che aveva ragione, ma come spiegarlo? Voleva un'ultima volta, prima di lasciarlo andare per sempre. Se neanche sposarsi con un altro riusciva a farglielo dimenticare, quello le era sembrato l'unico modo. Sospirò e prese il bicchiere mentre si passava una mano sulla pancia.

Blaise la osservò e indicò la sua pancia. "Mi avresti mai detto che era suo, se voi non vi foste chiariti?" Subito dopo aver parlato pensò che lei avrebbe potuto anche abortire, ma era abbastanza sicuro che non lo avrebbe fatto.
Lei scosse le spalle. "Non lo avrebbe saputo nessuno. Mi sarei ritirata in Cornovaglia da zia Pearl e basta".
Oh! Lei era andata da dei parenti di suo padre, effettivamente, un po' di tempo prima.
"E non ci saremmo più visti?"
Lei sospirò. "Se ti fosse sfuggito, si sarebbe saputo e magari lui avrebbe capito."
"E non glielo avresti mai detto?"
Pansy in risposta scosse le spalle. "A volte si prendono decisioni stupide: penso di no". Lei non disse altro e continuò a bere, con uno sguardo triste verso la finestra.

"Fra te e Ginny, invece, cos'è sucesso?" Osò chiedere Pansy, dopo un po'.
"Non lo sai? Pensavo che lei venisse qui e..."
"Lei non parla di te. Non ti insulta, non ti incolpa, non... dice niente. Ma è triste". Il ragazzo sospirò senza rispondere. "Cosa hai fatto?"

Blaise rise, di una risata nervosa, e si allungò a riempirsi di nuovo il bicchiere dalla caraffa: avevano mandato via l'elfo. "Dai per scontato che abbia fatto qualcosa io?"
Lei alzò un sopracciglio. "Anche se mi hai accusato, so di non essere stata io a farvi lasciare".
Blaise incassò il colpo. E poi annuì. Sapeva che avrebbe dovuto scusarsi, per quello che aveva detto. "Mi spiace di..."
Lei sventolò una mano e lo liquidò. "Lascia stare. Dimmi di voi e di cosa stai facendo per tornare con lei".
Come? Lui non stava facendo niente!
Si strinse nelle spalle. "E cosa dovrei fare?"

Pansy sbuffò: a volte i maschi erano veramente un po' tardi. "Qualsiasi cosa, forse? Non vuoi tornare con lei? Mi eri sembrato piuttosto arrabbiato, l'altra volta."
Lui ebbe la decenza di imbarazzarsi. Ecco, lo sapeva: non stava facendo niente. Sbuffò ancora.
"Non so se lei tornerebbe con me, dopo quello che è successo..."
Oh, per Salazar! "Cos'è successo? Hai avuto..." Il pensiero che lui potesse aver avuto una delle sue crisi e lei si fosse spaventata le passò per la mente. Ma poi si ricordò che Ginny aveva affrontato la guerra magica e di sicuro non si spaventava facilmente.
Blaise scosse il capo. "No, non una crisi. Cioè, non quando ci siamo lasciati..."

"Lei ha visto una delle tue crisi?" chiese lei, più seria, e Blaise annuì. Sì, l'aveva vista e non era scappata a gambe levate. Anzi, era rimasta per aiutarlo a uscirne. Si sentì ancora male: cosa aveva fatto? Perché l'aveva lasciata andare via?
Perché l'hai cacciata, troll che non sei altro!
"Sono un troll. Le ho detto delle cose brutte..."
Lei alzò di nuovo un sopracciglio.
"Era una Grifondoro, l'avrai ferita nell'orgoglio, allora."
Blaise annuì senza aggiungere niente.

Pansy osservò il cugino bere e continuò a pensare. Cosa poteva fare per aiutarli? Aveva bisogno di scrivere agli altri. Insieme avrebbero potuto fare qualcosa.
"Sistemeremo tutto."

Blaise guardò Pansy che osservava pensierosa il camino spento e sospirò: loro non capivano.
"Non penso che si sistemerà" ammise, senza dire che forse era meglio così. Prima o poi si sarebbe abituato. Abituato a stare senza di lei. O a vederla in giro. O con un altro. O...
La ragazza si voltò verso di lui. "Certo che si sistemerà. Lei vuole tornare con te, ne sono sicura".
Lui scosse le spalle e bevette un sorso di limonata. Stranamente, pensò a Ginny: il dolce e l'aspro erano mischiati così bene da rendere la bevanda perfetta. E la menta dava quel tocco in più. Lui l'aveva sempre bevuta così. Guardò il bicchiere e notò che c'erano due cubetti di ghiaccio: lui ne metteva uno solo, normalmente.
"C'è troppo ghiaccio" disse.
Pansy alzò un sopracciglio e fece uno strano sorriso. "L'hai bevuta. Finché non ti sei accorto che ce n'erano due, andava bene".
"Non mi piace se c'è troppo ghiaccio" insistette, appoggiando il bicchiere sul tavolino, stizzito ma senza appoggiarlo sopra al suo sottobicchiere.

Pansy sorrise a quel gesto di cui non si era accorto. "A volte si può provare qualcosa di diverso, sai?"
Lui sbuffò sonoramente. "Faccio già cose che non ho mai fatto, non dire ancora che sono rigido".
La ragazza continuò a sorridere. "No, non sei più rigido. E grazie a chi?"

Blaise incrociò le braccia sul petto e la guardò fisso. "Smettila".
Odiava Pansy quando lo stuzzicava così e la odiò quando lei fece una risatina prima di tornare a bere. "Questo cambiamento ti scombussola, vero?"
Lui scosse il capo e fece cadere le braccia sul divano: si sentiva un po' stanco.
"Non so quando fermarmi. Non ci riesco."
Lei spalancò gli occhi. "In che senso?"
"Quando sono con lei provo cose... strane". Pansy annuì, loro ne avevano già parlato, effettivamente. "Quando è tornato Potter mi sono sentito..." Si bloccò, perché faceva fatica ad ammetterlo.
"Geloso?" continuò Pansy per lui.
Annuì: non voleva dirlo ad alta voce.
"Ma quando mi hanno accusato di aver rubato la lettera, non ci ho visto più. Davvero. Loro... Lei ha dubitato di me. E io..."
Pansy scosse le spalle. "Lei non ha mai pensato che tu potessi aver rubato la lettera. Non ci credo che ti ha accusato di averlo fatto".
Come? Blaise si bloccò. "Non lo pensava?"
Lei scosse la testa. "No. È per questo che avete litigato?"
Blaise si passò una mano sulla fronte: Porca Morgana!
"Io le ho detto..." Blaise si sentì un po' a disagio, ma Pansy dovette capirlo e si allungò verso di lui.
"Cosa le hai detto?"
"Che non potrei mai essere geloso di lei. Le ho fatto credere..."

Pansy aspettò che Blaise continuasse e quando non lo fece gli coprì una mano con la sua.
"Le ho fatto credere che non mi interessava. Come se non fosse importante. Le ho detto tutte quelle cose brutte..."
"Quali cose?"
"Che starei meglio senza di lei. Che da quando sto con lei non riesco più controllarmi, faccio cose che non vorrei, quasi... sì..." Il ragazzo si bloccò e alzò lo sguardo, che prima era rivolto al pavimento, su di lei.
"Istintive?" suggerì lei e lui annuì.
"Lo sai anche tu che non va bene essere... così!"
Cosa? Cosa sapeva anche lei? E poi essere come? Persone che si lasciano prendere dai sentimenti? A parte quando si è molto arrabbiati, di solito non erano cose così tremende e Pansy pensava che anche per Blaise non era un male essere meno controllato.
"Ma chi lo dice che non va bene? Tutti ci facciamo condizionare dai sentimenti, se non fosse così non saremmo umani e saremmo tutti uguali."
Istintivamente guardò la porta in direzione di dove era sparito Theo l'ultima volta: per fortuna, pensò.
"Come chi lo dice? Ti ricordi? C'eri anche tu quando mi sono spaventato e Bert è morto!"
Cosa stava dicendo? Cosa c'entrava Bert?


Blaise sospirò: lo aveva detto. Lo aveva nominato anche a Ginny, ma lei non avrebbe potuto capire. Pansy poteva, perché lei c'era. Forse se lo avesse spiegato anche alla rossa, lei lo avrebbe capito.
"Ma di cosa stai parlando?" La voce di Pansy, un po' dura e alta di tono, lo spaesò per un momento.
"Forse non ti ricordi dell'incidente con il toro..." Effettivamente non aveva pensato che lei potesse non ricordarlo.
"Certo che mi ricordo del toro, Blaise, ma non vedo come questo c'entri in questa conversazione!"
"Mi sono fatto prendere dal panico, Pansy. E non sono riuscito a mantenere il controllo. Se fossi rimasto calmo, lui ora non sarebbe morto."

Pansy sgranò gli occhi e spalancò la bocca in un gesto non calcolato. Quel ragazzo era fuori di zucca.
"Non avresti potuto fare niente. Era un toro e noi avevamo sei anni!"
Lui scosse il capo. Ma diceva sul serio?
"E invece avrei potuto. Se non mi fossi fatto prendere dal panico, se avessi mantenuto il controllo, il toro non si sarebbe arrabbiato, non ci avrebbe caricato e Bert non sarebbe morto!"
Pansy per poco non rise nervosamente. "Non è andata così".

Blaise alzò la testa e si mise dritto: cosa aveva detto?
"Sì che è andata così."
Ma lei scosse la testa. "Cosa ti ricordi?"
E Blaise iniziò a raccontare, un po' infastidito perché sembrava che lei volesse interrogarlo e un po' stranito perché non capiva le sue parole.
"Eravamo in Italia, dai parenti di papà. Giocavamo nei campi, per strada, nelle campagne... Lo facevamo spesso, ricordi? Io, te e Bert" iniziò e Pansy gli fece cenno di continuare.
"Quella volta eravamo nel recinto grande, quello dietro la tenuta, quello... quello del toro..." Si fermò, pensando a quel giorno. Loro non sapevano che il toro era fuori nel recinto, pensavano che fosse da un'altra parte. E invece...
"Sì, ricordo. Continua". Pansy prese il bicchiere ma non staccò mai gli occhi da lui.
"Il tuo cappello volò via. Era il tuo cappello preferito e tu ti mettesti a piangere, così io iniziai a correre, per recuperarlo."
Pansy corrugò la fronte, ma non disse niente.
"Mentre lo rincorrevo, mi sono allontanato e alla fine mi sono ritrovato davanti il toro, anche se lui era di spalle e non mi aveva visto, io mi spaventai. Iniziai a gridare: non mi aspettavo di vederlo e mi bloccai. Sapevamo che non avremmo mai dovuto avvicinarci al toro o infastidirlo, perché era pericoloso, ce lo avevano detto fin da quando eravamo piccoli, era una cosa risaputa.
Bert venne a prendermi per portarmi via, ma quando mi fu accanto, io iniziai a urlare ed agitarmi e lì, il toro si voltò e si accorse di noi. Probabilmente ci caricò spaventato dalle mie grida, ma io non riuscivo a smettere..." Fece una pausa, ricordando quel momento. "Poi venni messo in salvo, mi sembra che fosse stato mio padre, mi lanciò un incantesimo e io venni letteralmente spazzato via, oltre al recinto, mentre vidi il toro incornare prima Bert e poi mio padre... Sono morti a causa mia..."
Blaise abbassò lo sguardo. Se lui invece di urlare o agitare le braccia come aveva fatto, fosse tornato indietro in silenzio, senza agitarsi o perdere il controllo, ora sarebbero ancora vivi.
"Ti ricordi questo?"
Fu il turno di Blaise di corrugare la fronte: cosa intendeva?

Pansy sospirò e appoggiò il bicchiere sul tavolino. Lo fece lentamente, ma con sicurezza: non era andata in quel modo.
"Non sei stato tu a infastidire il toro."
Blaise non rispose, così alzò gli occhi su di lui e vide così tanti interrogativi nel suo sguardo che decise di andare avanti.
"Siamo andati a giocare nel recinto, è vero. Bert ci stuzzicava, come faceva sempre, ti portava via dal collo il fazzoletto rosso che avevi e tu ti incazzavi sempre. A me, invece, rubava il cappellino bianco a tesa larga che mia mamma voleva che mettessi quando uscivamo a giocare. Ti ricordi giusto: era il mio preferito.
Ma non volò via da solo: quando Bert si accorse del toro che dormiva, decise di stuzzicarlo e me lo strappò dalla testa lanciandolo nella sua direzione. Gli piaceva farlo, ormai aveva imparato bene e il cappellino volò via piatto e lungo, fino a posarsi sul suo muso.
Io urlai per il dispetto e ci alzammo tutti dal prato: lui rise perché sapeva che così lo avrei perso e noi demmo per scontato che saremmo usciti dal recinto: sapevamo tutti che il toro era pericoloso. Ma tu eri di spalle, probabilmente non lo avevi visto, così ti voltasti e iniziasti a correre per raggiungere il cappellino, guardando per aria.
Noi rimanemmo immobili: non ce lo aspettavamo. Poi sentimmo la voce dello zio che vi richiamò. Bert pensò che vostro padre lo avrebbe sgridato, così iniziò a gridare per dirti di fermarti, ma tu eri già lontano. Corsi anch'io, dietro di lui, eravamo tutti in pensiero per te: continuavi a guardare per aria e a correre. Ti fermasti solo quando il cappellino si abbassò nel suo volo, soltanto che si fermò sul muso del toro, infastidendolo e lui si agitò, nervoso, tentando di toglierselo di dosso. Tu ti eri bloccato nel vederlo e Bert ti aveva quasi raggiunto: lui era più grande e correva più forte di me.
Poi, tutto d'un tratto, mi sentii bloccare e trascinare via: lo zio Antonio mi fece un incantesimo, mi immobilizzò e mi spedì oltre il recinto, per mettermi in salvo. Fece la stessa cosa con te, subito dopo che Bert ti aveva raggiunto.
Lo vidi tentare di fare la stessa cosa con Bert, ma mentre correva gli cadde la bacchetta e si fermò per cercarla, ma non la trovò, nell'erba, così riprese a correre, sempre gridando. Quando raggiunse tuo fratello, il toro aveva iniziato a caricarlo e lo zio si mise in mezzo, tentando di proteggerlo con il suo corpo." Pansy si fermò, perché quello che era successo dopo, comunque, lo sapevano: il toro li aveva uccisi a cornate tutti e due.

Blaise sbatté gli occhi. "È davvero andata così?" chiese, in un sussurro, perché, anche se credeva ciecamente a Pansy, non riusciva a capacitarsi del fatto di avere ricordi diversi.
Lei annuì, continuando a guardarlo.
Il ragazzo si alzò e poi, incapace di pensare lucidamente, si passò una mano fra i capelli, un po' agitato. Subito dopo si risedette, come se fosse in trance. Non era stato lui a provocare il toro con le sue grida, quindi?

Pansy si alzò dalla poltrona e lo raggiunse sul divano, sedendosi vicino a lui.
"Non sei stato tu a far arrabbiare il toro. Non è stata colpa tua. Eri solo lì e hai gridato perché lo stavano facendo tutti, visto che avevamo tutti paura..."
"Non sono stato io?"
"No" insistette. Per un attimo pensò che lui non le credesse. "Vorrei dirti che possiamo guardare il mio ricordo, ma il pensatoio di mio padre è a casa sua e..."
Lui la guardò e la interruppe. "Ti credo. So che non mi mentiresti mai su una cosa del genere".
Lei annuì.
Pansy non raccontò tutto il resto: che Bert era un bambino viziato ed egoista che i parenti italiani gliele davano tutte vinte visto che era l'erede del casato di famiglia e che era corso da lui solo perché aveva capito che suo padre aveva visto quello che era successo e pensava di essere sgridato, perché non voleva rovinare il ricordo che Blaise aveva del fratello, visto che non era necessario.

Blaise si guardò intorno, come se vedesse quel salottino per la prima volta e notò che il ghiaccio della sua limonata si era sciolto tutto.
"Scusami, vado a casa."
Lei si morse un labbro e Blaise capì che non voleva lasciarlo andare.
"Starò bene" la rassicurò e la ragazza annuì.
"Prometti di mandarmi a chiamare in caso contrario?"
Lui fece un cenno di affermazione con il capo.
"Si vede benissimo che stai mentendo!" esclamò e Blaise ebbe la visione di lei molto più piccola mentre gridava dietro a suo fratello.
Blaise sorrise. "Te lo prometto davvero" disse e questa volta era sincero a tutti gli effetti. "Ma ora ho bisogno di stare da solo".

Pansy si fece bastare le sue parole e lo salutò abbracciandolo: lui metabolizzava le cose così, da solo, come i gatti. Forse ci avrebbe messo un po' a digerire la cosa, ma ce l'avrebbe fatta.

***
Ginny sospirò guardando l'orologio a pendolo nel salotto della Tana.
"Uno zellino per i tuoi pensieri..."
La rossa si voltò alla voce della madre, per poi alzare le spalle per liquidare la cosa. "Niente di così importante..."
"Sai, a volte la vita è strana... Poco tempo fa ero preoccupata perché non tornavi a casa e ora..." La strega fece apparire due tazze sul tavolino davanti al divano e fece cenno alla figlia di sedersi.
Ginny si sedette soltanto perché era troppo stanca per disubbidire. "Ora?" chiese, prendendo una tazza.
"Ora che sei sempre a casa sono ancora più preoccupata, tesoro mio."

Molly si sedette accanto a Ginny e prese l'altra tazza.
"Dovresti stare attenta a quello che desideri, allora."
La strega fece finta di non cogliere il sarcasmo della figlia.
"Non riesci a dormire?" le chiese e lei alzò di nuovo le spalle, subito prima di guardare nella tazza, poi sorrise.
"Mi hai fatto la cioccolata calda anche se è estate!" esclamò, contenta, e subito dopo bevette un sorso come se fosse una gelida serata invernale.
Anche Molly sorrise. "Quando posso far felice la mia bambina triste, cerco di farlo". Le accarezzò la testa e le spostò una ciocca di capelli dietro a un orecchio.

Ginny sentì le lacrime pungerle gli occhi. "Oh, mamma..." si avvicinò a sua madre e le appoggiò la testa sulla spalla.
"Ancora sogni?" Le chiese e Ginny annuì. Sua madre le mise il braccio sulle spalle e la strinse un po' a sé, baciandola sulla testa.
"Ti va di raccontarmelo?"
"Cosa?"
"Il sogno che ti fa stare male. Quello di... Bellatrix" spiegò Molly.
Ginny sospirò: non le piaceva raccontare i fatti suoi, ma sembrava che parlare del suo sogno, ogni volta, lo rendesse più piccolo, qualcosa di più facile da affrontare.
"Ti ricordi quando mi ha lanciato la maledizione che mi ha quasi preso?"

Molly annuì, incapace di dire qualsiasi parola: era stato un momento bruttissimo, se Ginny non avesse schivato quella maledizione, ora lei starebbe piangendo due figli. Si era spaventata così tanto che per la prima volta in vita sua aveva offeso un'altra donna. Non che non lo se lo meritasse, ma non era mai successo.
Poi Ginny continuò. "Io sogno lei che mi lancia l'incantesimo e io lo guardo arrivare, ma non mi muovo, non faccio niente per schivarlo..."
La ragazza si fermò, sospirando, come se improvvisamente fosse stanchissima. Ancora con il braccio sulle spalle, la strinse un po' di più.
"Mi dispiace. Potrebbe essere per colpa mia? Perché vi ho mandato via, decidendo di affrontarla da sola?"

Ginny si staccò dalla madre velocemente, per guardarla in faccia: cosa stava dicendo? "No! Tu ci hai salvato la vita! A tutte e tre". Si ricordava perfettamente che lei, Hermione e Luna facevano fatica, nonostante fossero in tre, a tenere a bada Bellatrix. Sua madre le aveva salvate, decidendo di prendere il loro posto.
"Sai, non volevo che partecipassi alla battaglia. Primo perché potevi farti male e secondo perché non te lo saresti mai scordato. Per fortuna non hai maledetto nessuno, altrimenti i tuoi incubi potrebbero essere peggiori."
Ginny corrugò la fronte. "Mamma... Anche tu hai avuto gli incubi?"

Molly sorrise tristemente. "Io sono forte, ce la faccio. Non pensavo però che tu potessi soffrirne così. Mi dispiace, sei sempre la mia bambina e proverò in tutti i modi a proteggerti, anche se non ce n'è bisogno, visto come te le sai cavata bene".
Ginny corrugò la fronte. "Io me la sono cavata bene? Per poco non mi prendeva!"
La donna posò su di lei uno sguardo colmo d'amore. "Non ho mai dubitato di te. Avresti potuto ucciderla, lo so. Ti ho visto: sei forte e agile, hai schivato la maledizione ed eri subito pronta a contraccambiare. Ma vedi, togliere la vita a qualcuno è devastante. E non volevo che tu ti portassi dietro questo fardello. Anche se sembra che non sia servito a niente, visto quanto stai male..." sussurrò.


Ginny la guardò con affetto e riuscì a capire solo in quel momento ciò che aveva fatto davvero: non solo le aveva salvato la vita, ma aveva tentato di salvare la sua anima da un fardello pesante. Harry era caduto in depressione per quello. Perché, anche se sai di essere nel giusto, anche quando l'altra persona è una cattiva persona, una decisione di questo genere te la porti dietro per sempre e potrebbe anche distruggerti quanto una maledizione senza perdono. Abbracciò la donna. "Grazie, mamma" sussurrò. "In verità, è altro che mi impedisce di riposare..."
Sua madre le accarezzò i capelli ma non le chiese niente e lei apprezzò tanto che lei non insistesse.
Il fatto che non fossero i soliti sogni a tenerla sveglia, la facevano quasi preoccupare. Quando lei e Harry si erano lasciati, non era andata così. È vero, sapeva benissimo che non c'era altra scelta, che lui non stava bene e che era stata una sua decisione lasciarlo, ma aveva sofferto comunque.
Ma ora era diverso, sapeva che Harry sarebbe stato bene e che lei se la sarebbe cavata, in un modo o nell'altro.
Sua madre tirò fuori un biscotto di pastafrolla e glielo fece intingere nella cioccolata. Ginny rise. Come quando era bambina e lei e la madre si accoccolavano davanti al camino aspettando che arrivasse il giorno in cui i suoi fratelli sarebbero tornati da Hogwarts per le vacanze di Natale.

Molly, felice di veder sorridere la figlia, sospirò silenziosamente: a volte era difficile, stare sul bordo della vita dei figli a controllare che tutto filasse per il verso giusto e raccogliere i pezzi quando succedeva qualcosa che non si era previsto. E quando invece tutto andava bene, i figli non si facevano neanche vedere...
"Mamma, tu sai cos'è il Magician Directory?" La domanda di Ginny la riportò alla realtà e al presente.
Che domanda strana! "Sì, che lo so: è il libro in cui vengono scritti gli alberi genealogici delle famiglie magiche residenti nel Regno Unito".

Ginny alzò un sopracciglio, sorpresa: lo sapeva davvero!
"Oh! E ne hai uno da farmi vedere?"
Sua madre annuì e si alzò, andando verso la porta del salotto e impugnando la bacchetta. "Ho quello di quando è nata Vic. Ne compro una copia, in edizione economica, quando c'è un cambiamento grosso nella nostra famiglia, tipo quando siete nati voi o Bill si è sposato".
Ginny, sbalordita di non sapere una cosa del genere, non chiese se per caso lo avesse comprato anche dopo la morte di Fred.
La strega, con un incantesimo non verbale, appellò il libro, che volò fra le sue mani e si diresse di nuovo verso di lei.
Sua madre le allungò un libro più ridotto rispetto a quello che aveva visto a casa di Maddie, ma con le stesse scritte, anche se più piccole e con un carattere meno decorato.
Lo sfogliò, come aveva fatto la volta precedente e si fermò sulla pagina della sua famiglia: come aveva già notato, era uguale a quello già visto.
Svogliatamente, come se dovesse farlo di nascosto, sfogliò ancora le pagine per vedere le altre famiglie.
"Se stai facendo quello che penso, devi andare in fondo, quella è l'ultima lettera dell'alfabeto..."
Senza più cercare di nascondere niente, Ginny volò praticamente alle ultime pagine, fino a quando non trovò la pagina giusta: il nome di Blaise, nella pagina dedicata ai Zabini, seguito dall'anno di nascita, era sotto quello di Maddie e del padre, Antonio, che recava due annate, quella di nascita e l'altra, con la piccola croce in simbolo di morte: 1986. Sulla sinistra, accanto a Blaise, il nome di Robert Zabini aveva anche lui due date, 1976 e 1986.

Molly osservò la figlia tracciare con le dita delle linee immaginarie sulla famiglia che aveva appena conosciuto.
"C'è la stessa data di morte..." mormorò.
Lei non disse niente, ma annuì e Ginny si voltò verso di lei. "Tu lo sapevi?"
Annuì ancora in risposta e la ragazza tornò a guardare il libro. "Io no: Blaise non me ne ha mai parlato..."
Molly riprese il libro e lo chiuse. "Dovresti parlarne con lui".

Ginny sospirò: fosse una cosa facile!
"A volte bisogna mettere da parte l'orgoglio e fare il primo passo" disse la strega e la ragazza rise un po' nervosamente. Doveva dirlo a Blaise, non a lei!
"Anche se non so cosa è successo, so anche che spesso tante cose si risolvono soltanto chiarendosi. Va' da Blaise e parlagli: sono sicura che riuscirete a chiarire almeno metà delle questioni in sospeso."
Ginny, che di orgoglio ne aveva a bizzeffe, non spiegò alla madre, così come non lo aveva detto a nessun altro, che in verità Blaise non la voleva perché non la riteneva alla sua altezza. Aveva forse giocato con lei, o chissà, forse ci aveva anche provato, ma non essendo scattato niente non aveva fatto sul serio. Lei non poteva contestargli niente, perché era stata la prima a non voler ufficializzare la cosa e lui le aveva detto che non giudicava tale comportamento. E la cosa le aveva anche fatto piacere!
"Vedremo. Grazie per la cioccolata, mamma."
Si alzò e si incamminò verso la sua stanza.

Molly rimase a guardare la figlia andare via con lo sguardo più triste del mondo e sospirò: c'erano delle volte che aver protetto Harry Potter dal Signore Oscuro le sembrava una bazzecola in confronto all'aiutare i figli nelle questioni amorose.

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