Epilogo: in cui si spiega come si realizza un sogno
A volte Kim si chiedeva perché nella sua vita succedessero determinate cose.
Se lo domandava con un certo fastidio, dal momento che le sembrava di essere piuttosto brava ad organizzare la sua esistenza e puntualmente qualcosa – o meglio, qualcuno – le faceva saltare ogni piano ben elaborato.
Per esempio, in quel preciso istante, Kim percepiva seccata che sarebbe arrivata in ritardo, e non per colpa sua.
Di nuovo.
"Jozefien, se non ti sbrighi..." brontolò, con un miagolio arrabbiato molto simile a quello che Genie, la gatta di casa, impegnata in quel momento a sonnecchiare sul letto, impiegava quando l'ora della cena era giunta da più di mezzo minuto e i suoi straccetti di salmone ancora non si vedevano nella ciotola.
"Un secondo ancora!" gridò Jo, dietro la porta del bagno. Kim sospirò, si rese conto che il suo sospetto riguardo al ritardo sarebbe divenuto presto realtà e, come ogni volta, si arrese. Tornò in camera e si sedette sul letto, a fianco della gattina nera, che si degnò di osservare la padrona di sottecchi con i suoi occhi color ambra, prima di tornare a riposarsi. Kim allungò una mano e le accarezzò il piccolo orecchio macchiato di bianco, mentre con l'altra si aggiustava la gonna del suo grazioso ma severo tubino nero.
Il delicato movimento risvegliò in lei il pensiero di quello che sarebbe successo quel giorno e il suo cuore riprese a battere all'impazzata.
Sorrise, senza poter fare altrimenti, emozionata, spaventata e ansiosa. Avrebbe voluto sdraiarsi sul letto, tra i pesci tropicali del copriletto, ma temeva di spettinare il suo caschetto di lisci capelli neri: le arrivavano alla gola e la frangia era scomparsa, finalmente. Li aveva tagliati per la laurea di Jozefien, quasi un anno prima.
Cercò con gli occhi la foto dell'evento, una tra le venti che ricoprivano la parete a sinistra del loro letto. Eccola lì: Jo in tacchi e tailleur, capelli rossicci tirati in una bella treccia, frangia – ebbene sì, era stata solo una vittoria di Pirro: la frangia era ricomparsa nella loro vita, più precisamente sulla fronte di Jo – e corona d'alloro, abbracciata a lei, che per l'occasione aveva addirittura osato con un vestitino rosso. Al suo fianco appariva minuscola e ancora ricordava bene i commenti dei presenti, che avevano ironizzato bonariamente sul fatto che sembrasse una bambina.
Era stato uno dei momenti più felici degli ultimi anni. Kim non era mai stata così orgogliosa di qualcuno prima di allora.
Certo, non erano sempre stati rose e fiori: lei e Jo avevano dovuto combattere contro molti ostacoli in quei tre anni e mezzo. Prima di tutto non era stato facile far accettare ai signori Phan che la loro unica figlia femmina aveva una ragazza ma, quando Kim aveva temuto di dover scegliere tra l'amore e il rispetto per la propria famiglia – cosa tra l'altro avvenuta in Vietnam, nella sua vecchia casa, per la quale erano partite dopo quasi tre mesi di convivenza a Venezia – i suoi genitori avevano dimostrato di essere in grado di accettare, comprendere e, infine, apprezzare. Ora non solo amavano Jozefien, ma addirittura la signora Phan, la buona apprensiva signora Phan, dimostrava di avere un debole per lei. Kim fece scivolare lo sguardo su un altro paio di foto, più piccole di quella della laurea, scattate entrambe a Ho Chi Minh. In una compariva anche sua madre, che sorrideva incantevole, le ciocche ormai venate d'argento, orgogliosa come non mai di come l'áo dài, il vestito tradizionale, stesse bene alla sua fidanzata. Anche An adorava Jo, principalmente perché poteva vantarsi della sua conoscenza con i suoi amichetti del calcio.
Ovviamente, però, i problemi non erano terminati lì. Kim non aveva previsto che sarebbe passata da essere la scettica alla gelosa della coppia.
Quando Jozefien aveva iniziato l'università – pagata dalla Crown Cruise – a Ca' Foscari, Kim si era trovata a fronteggiare un problema molto pruriginoso: l'irruzione improvvisa di un esercito di sconosciuti nella sua vita. Sicuramente avrebbe potuto immaginare che Jo avrebbe stretto facilmente amicizia, ma questo non aveva impedito a lei di avere crisi di gelosia nei confronti di ogni essere umano possibile. Non erano stati mesi allegri e c'era voluta tutta la buona volontà di Jozefien per far digerire a Kim la questione delle amicizie.
Fortunatamente le cose si erano aggiustate, con il tempo. Kim aveva imparato a fidarsi e piano piano gli amici di Jo erano divenuti anche suoi. Di uno in particolare, ovverosia quello che non avrebbe affatto gradito il loro ritardo.
"Martino si lamenterà!" urlò, verso il bagno.
"Martino si arrangia!" fu la lapidaria risposta.
Kim scosse la testa e sospirò. Pensò al fatto che avrebbe voluto uscire di casa prima anche per non rischiare di incrociare il signor Zecchin, l'irritante figlio bigotto della loro vicina di casa, che quasi ogni giorno portava i suoi due bambini dalla nonna ed era fermamente convinto che una coppia lesbica li avrebbe traviati. Kim non lo sopportava ma tollerava la sua petulante presenza solo perché i suoi figli, Jacopo e Glenda, erano quanto di più buono ci fosse.
E poi la faceva ridere che quell'uomo potesse credere davvero nel potere omosessualizzante della loro gatta.
"Finito!".
La porta del bagno si spalancò e Jo fece la sua magnifica comparsa in camera. Kim si prese il tempo di valutare l'abbinamento tra pantaloni neri e camicia verde, la presenza dei soliti, dannatissimi tacchi e il trucco.
Si alzò dal letto, fece un passo verso di lei, la guardò negli occhi e disse: "Hai di nuovo il rossetto sbavato".
Jo alzò gli occhi al cielo, ma piegò ubbidiente le ginocchia per farselo sistemare.
"Avresti potuto mettere un vestito" le disse, cancellando con un dito la sbavatura di rosso. "Ti sarebbe stato bene".
"Niente vestiti" rispose Jo, tendendosi a darle un bacio. "Lo sai".
"Jozefien! Il rossetto!".
Fu tutto inutile: Kim si lasciò baciare, anzi, la baciò a sua volta, sorridendo al pensiero che avrebbe avuto un'impronta scarlatta sulle labbra e di sicuro questo avrebbe fatto arrabbiare Martino.
Il gioco valeva la candela.
***
"Voi due siete incredibili".
Non avevano nemmeno avuto il tempo di aprire la porta laterale del locale ed entrarci in sordina che Martino aveva espresso il suo giudizio. Incredibile.
"Scusa" disse Kim, guardandosi intorno per controllare che fosse tutto in ordine, pasticcini e salatini compresi. "Colpa di Jo. Come al solito".
"Ah, guarda. Quella era la mia unica certezza. Comunque complimentoni a entrambe, voglio proprio vedere cosa succederà una volta che avremo aperto. Vi ricordo che dovrete essere qui ben prima delle nove, per accendere i PC e controllare le mail e...".
"Marty" lo interruppe Jo, mentre rovistava nella borsa per cercare le chiavi dell'ingresso principale. "Abbiamo capito".
Martino, ventidue anni e un fisico che non rendeva giustizia all'età, si alzò dalla poltroncina su cui stava sfogando il proprio fastidio. Kim ebbe modo di accorgersi che il progetto di farsi crescere la barbetta continuava a procedere inesorabile, ma quel poco pelo scuro, in associazione ai capelli impomatati e alla carnagione olivastra, gli davano un'aria da esotico figlio di immigrati siciliani in terra statunitense, nonostante fosse al cento per cento autoctono della laguna veneziana.
"Avete capito ma non avete imparato".
Come tutta risposta, Jo gli tese le chiavi, sorridendo. "A te l'onore."
Martino non era una persona rancorosa: accettò con sufficienza le chiavi e andò a grandi passi alla porta, dove c'era già qualcuno. Kim ne era orgogliosa: si era impegnata tanto con la pubblicità. Probabilmente quel giorno sarebbero passati solo Stella, l'altra loro vicina di casa, e i suoi amici. Ma andava bene così.
Martino aprì, salutò chi era in attesa dando un vero e proprio benvenuto e fece un impercettibile cenno a entrambe. Kim prese fiato, strinse la mano di Jo. Si guardarono, si sorrisero e seguirono assieme Martino.
Fuori dal locale, sotto una vetrina già piena di manifesti di luoghi bellissimi, c'era una bella insegna. Raffigurava una piccola nave tracciata a gesso su uno oceano oscuro, tra piccole luci verdi ed eleganti serpenti marini. Era la prima volta che Kim la vedeva in tutta la sua interezza e l'emozione le troncò il respiro.
"La nave dei sogni" lesse, stupita di come suonasse il nome che aveva scelto con Jozefien.
"Agenzia di viaggio" continuò Jo, mentre attorno a loro i futuri nuovi clienti si complimentavano e qualcuno già chiedeva di entrare per il rinfresco.
"Un applauso alle migranti saffiche che ce l'hanno fatta!" gridò Martino, scatenando le risate e lo scroscio di applausi. Kim desiderò morire sul posto dopo quel commento urlato all'ingresso di una delle calli più frequentate del sestiere di Dorsoduro, ma Jo scoppiò a ridere, la sollevò in un abbraccio e la baciò lì, davanti a tutti, aizzando fischi di approvazione.
Kim mise da parte la vergogna, l'onore e l'imbarazzo: aveva imparato a farlo da quando stava con Jozefien. Aveva imparato com'era vivere secondo le proprie inclinazioni, pensando più al presente, meno al futuro e ancora meno al passato.
In fondo, era così che un sogno veniva realizzato.
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