9: dove galeotta fu Palma di Maiorca
Palma di Maiorca luccicava sotto il solleone: le bianche navi ancorate nel porto riflettevano la luce accecando chiunque vi posasse lo sguardo e l'acqua era così blu da strappare ai turisti esclamazione di stupore. Kim osservava la costa completamente tappezzata da alti condominii candidi e risaliva con lo sguardo i pendii verdeggianti che portavano al Castello del Belvedere. Si concedeva quel piccolo lusso, dopo la solita lezione di yoga del mattino. Appoggiata alla balaustra del ponte Bronte, valutava la bellezza della città catalana. La trovava particolare, come una donna di etnia mista. Aveva tratti arabeggianti – lo sapeva, l'aveva letto sul programma del giorno consegnato ai passeggeri, in cui ogni tanto compariva un trafiletto informativo sulla città visitata – ma era vestita con ricchi abiti spagnoli. Allo stesso tempo quei bei vestiti avevano iniziato a consumarsi a causa del turismo poco responsabile. Maiorca era una splendida isola, ma il mercato immobiliarista aveva iniziato a tendere i suoi artigli su quel panorama. Kim non pensava che quei condominii bianchi fossero gradevoli da guardare. Sì. Palma di Maiorca doveva essere stata una favorita di harem vestita con la ricercatezza spagnola e l'opulenza araba, ma ormai non era altro che una quarantenne che tentava di stare al passo con i tempi e conservava gelosamente solo qualche gioiello, ricordo dei tempi andati: il Castello, la Cattedrale di Santa Maria, il Palazzo dell'Almudaina.
"Kim!".
Kim si voltò, abbassando lo sguardo verso le scale che portavano ai ponti inferiori. Jo si stava sbracciando, come al solito. Aveva un sorriso a cinquantadue denti.
"Kim, muoviti! Scendiamo a terra!".
"Scendiamo a terra?" ripeté lei. Jozefien si mise a ridere e urlò un sì, dopodiché le fece ampi cenni di seguirla.
"Non possiamo scendere così, con i vestiti della compagnia. Andiamo a cambiarci".
Kim la raggiunse e si accorse solo con qualche secondo di ritardo che Jo l'aveva come al solito stretta con un braccio. Trovò divertente il pensiero di essere divenuta quasi immune a qualcosa che l'aveva turbata fino a un paio di giorni prima. Le sorrise, concentrandosi sul suo odore di caffè e crema solare. Jo era costretta a mettersene ingenti quantità per evitare di ustionarsi al sole, nonostante la sua pelle avesse ormai un bel colorito ambrato.
"Chi ti ha detto che possiamo scendere?".
"C'era un avviso fuori dalla porta di Byrd. Oggi rimangono Alicia e Manuela e gli animatori per i bambini. Noi siamo libere per un po'".
"Non ci speravo" confessò Kim.
Presero l'ascensore e nel giro di cinque minuti si ritrovarono in cabina, impegnate a capire cosa indossare. Kim si ritrovò a fissare l'armadio che condivideva con Jo e si accorse con una punta di divertimento che nessuno avrebbe potuto scambiare i loro vestiti: i suoi avevano tutti colori tenui e tagli classici, mentre quelli della sua coinquilina erano super colorati e tra di loro non vi era nemmeno una gonna.
Jo allungò un braccio sopra la sua testa e pescò una canottiera azzurra con una delle sue stampe un po' troppo appariscenti – uccellini? Kim non ne era certa – e mentre si toglieva la polo della compagnia, disse: "Mai stata in Spagna?".
Kim le lanciò un'occhiata distratta, ma distolse subito lo sguardo quando notò che Jo era mezza nuda. Perché aveva quel dannato vizio di cambiarsi davanti a lei come nulla fosse? Scosse impercettibilmente la testa, recuperando i propri abiti.
"No. Te l'ho detto: sono stata solo a Venezia".
"Ti piacerà. Oggi è una bella giornata e Palma sarà assolata".
Durante la settimana non aveva mai sentito Jozefien così eccitata. Sorrideva come una bambina e non riusciva a stare ferma. Kim si ritrovò con un sorriso stampato in faccia e capì che la cosa risultava contagiosa.
Quando entrambe furono pronte, Kim recuperò una borsetta in cui ebbe cura di infilare la sua tessera e il documento di appartenenza alla nave, dopodiché seguì la collega all'uscita dal ponte Zero. Passati i controlli, fu inaspettatamente bizzarro per la ragazza rimettere un piede a terra e più precisamente sul molo di cemento di Palma. Per un secondo ebbe una sensazione di vertigine e una strana sensazione alla testa, ma prima di spaventarsi inutilmente si ricordò di quello che aveva letto sulla guida per aspiranti lavoratori in mare: era sempre un po' traumatico tornare sulla terraferma e i suoi sensori dell'equilibrio ci avrebbero messo del tempo per capire che non si rischiava più di cadere a causa del moto ondoso.
"Eccoli là" esclamò Jo, iniziando ad agitarsi al suo fianco. "Ragazzi! Ehi, ragazzi!".
Kim si irrigidì, ma poi notò le quattro persone in loro attesa. Erano ragazzi giovani, all'incirca della loro età. Dovevano essere amici di Jo. Non se ne stupì più di tanto.
I quattro, due maschi e due femmine, la salutarono in coro. La più alta del gruppo - nonché l'unica che non avesse tratti neolatini - notò subito Kim e le tese una mano con un sorriso enorme, accentuato da un viso magro e lungo. Aveva capelli lisci, castani, legati in una coda che stava lentamente scivolando, liberando piano piano tutte le ciocche. Era secca e allampanata e al collo portava una grande macchina fotografica.
"Kim, Kerli Konno. Kerli, Phan Kim" le presentò Jo, per poi aggiungere: "È una delle fotografe della nave".
"Giusto, forse non l'aveva notato" commentò l'altra, mentre la mano di Kim scompariva tra le sue dita lunghe e ossute.
"Con noi sarà più facile" fece notare uno dei due ragazzi, quello d'aspetto più grande e con la pelle color bronzo. Entrambi vantavano capelli neri e lucidissimi passati a gel, ma quello che aveva parlato aveva il volto da uomo adulto, mentre il secondo possedeva ancora una certa rotondità adolescenziale. Kim sapeva che non erano meticci: i tratti erano proprio quelli che aveva visto, su guide, nelle popolazioni indigene del Sudamerica. Perù? Bolivia?
"Parla per te, Diego" lo rimproverò immediatamente l'ultima appartenente al gruppo, una ragazza piccola, leggermente rotonda, con occhi grandi e crespi capelli castani trattenuti da un cerchietto. Aveva una smorfia dipinta in viso e guardava gli altri due come se il più grande avesse detto una bestemmia. "Io non lavoro nel vostro ristorante".
"Ma rimani pur sempre una cameriera" chiarì Diego, ignorandola e facendo un passo avanti verso Kim. "Diego Velasco, piacere".
"E Sergio Juan Morales" si impicciò subito quello più piccolo, scostando l'amico per afferrare la mano di Kim. La ragazza dietro di loro sbuffò, si cinse il busto con un braccio e alzò l'altro in un accenno di saluto. "Natalia".
"Ciao a tutti" disse Kim, un po' imbarazzata dalla situazione. Jo le diede un colpetto sul gomito come a ricordarle che andava tutto bene, dopodiché guardò sorridendo la fotografa e batté un paio di volte le mani.
"Contenti di essere a terra?".
"Tantissimo" confermarono i due camerieri.
"Non ne potevo più di fare foto a gente che di fotogenico ha solo i vestiti. E a volte neanche quelli" aggiunse Kerli, giocherellando con la macchina fotografica. "Almeno oggi potrò fare qualche foto decente".
Si avviarono lungo il molo in direzione della città, chiacchierando del più e del meno. Ci volle ben poco a Kim per scoprire che aveva avuto ragione a supporre che i due ragazzi fossero boliviani, non si stupì più di tanto quando Natalia affermò la superiorità degli argentini rispetto agli altri popoli neolatini e alzò le sopracciglia quando Kerli disse di essere un'estone purosangue. Non aveva ancora conosciuto nessun nordeuropeo – a parte Jozefien – nello staff.
"E come mai lavori in crociera?".
"Perché in qualche modo la mia laurea in lingue la devo sfruttare. Qui in più posso coniugarla con la mia passione per la fotografia".
"Anche se nessuno compra mai nulla" scherzò Natalia, che si teneva scostata dal branco in movimento. Kim non pensava fosse molto simpatica, ma gli altri sembravano abituati alla sua strana presenza. Forse era semplicemente il suo modo di fare.
Kerli la ignorò opportunamente, ma rilanciò con quella che alla ragazza parve proprio una frecciatina: "Avrei potuto fare anche la cameriera con la mia laurea in lingue, ma fortunatamente mi è andata bene e non mi tocca servire ciccioni maleducati".
"Simpatica" convenì Natalia, con una smorfia. Forse le laureate in lingue lì erano due e non andavano molto d'accordo.
Fortunatamente Jo agì come giudice di pace ed evitò l'accrescersi della tensione, dicendo: "Vorrei portare la mia amica a visitare il castello del Belvedere. Vi va?".
"Io preferirei andare in spiaggia" comunicò Natalia.
"Io pensavo di fare un paio di compere" rispose, più timidamente, Sergio. "Magari una penna o una calamita. Eva fa la collezione".
Tutti annuirono e Kim pensò che Eva fosse la sua fidanzata. Il gruppo si scisse non appena raggiunto il bivio per il castello: Sergio e Natalia si avviarono verso il centro turistico della città, mentre il resto dei presenti prese la via che saliva verso l'altura del castello. Jo si mise a chiacchierare con Kerli e Kim, rimasta silenziosa – per sua volontà: trovava rilassante il chiacchiericcio delle due – non si accorse che Diego, un po' a disagio perché impossibilitato a rientrare nella conversazione, le si era messo a fianco. Era l'unico dei tre che respirava con la bocca e sembrava particolarmente affaticato a causa della salita.
"Quindi... tu sei nuova, vero?" le domandò, tra un sospiro forzato e l'altro. Kim annuì.
"Sono sulla nave da una settimana".
"Forte. Sei collega di Jo?".
"Più o meno. Sono insegnante di yoga".
"Oooh!". Lo sforzo dell'esclamazione lo costrinse a portarsi una mano al petto, con un mezzo sorriso. "Devi essere una specie di contorsionista! Super flessibile!".
Kim gli lanciò uno sguardo come a valutare se stesse scherzando e non appena i suoi occhi incrociarono quelli del ragazzo, lui arrossì lievemente sotto la pelle color bronzo. Non era affatto brutto: aveva occhi leggermente a mandorla, un naso dritto, lungo e largo e un volto dai tratti molto marcati. Calò un breve silenzio imbarazzato tra i due, fino a quando lei decise che stare zitti era peggio di sentire le sue battute forse a doppio senso.
"Tu, invece? Sei cameriere? Non ti ho mai visto al buffet".
"Non sono del buffet. Sono del Lord Byron".
"Ah... non ci sono mai stata. È bello?".
"Molto. Anche se Natalia dice che è più bello il Lady Montagu". Diego fece una smorfia e Kim accennò un sorriso. "Non penso proprio! Con tutte quelle passamanerie rosa antico... va bene solo per i vecchi".
"Ma il Lord Byron non è tutto in legno, come un club privato inglese?".
"Appunto per questo mi piace".
Kim pensò che Diego, con un club privato inglese, non ci azzeccasse assolutamente nulla. Ma non lo disse.
"Da quanto lavori sulla nave?".
"Da gennaio. Prima abitavo a La Paz. Tu vivi in Europa?".
"No. Sono di Ho Chi Minh".
"E ci tornerai, quando finirai i tuoi mesi? Io non ho molta voglia di tornare a La Paz, ma tra un po' dovrò farlo. Non saprei cosa fare in attesa di reimbarcarmi".
Kim non aveva mai pensato al ritorno: era un problema troppo distante nel tempo per curarsene. Ciononostante non poté impedire al suo stomaco di torcersi un poco: avrebbe dovuto tornare a casa? E poi? Sarebbe ripartita? Avrebbe fatto tutto da capo? Kim ci pensò attentamente. Non era sicura di voler risalire su una nave da crociera tanto presto. Già aveva un sacco di dubbi riguardo quello stesso viaggio, figuriamoci programmarne di futuri. Meglio non pensarci.
"Ehi, gente". Jo li riportò entrambi alla realtà. Nonostante sembrasse lunga a causa della salita, la strada per il castello non necessitava di più di venti minuti dal porto. "Siamo arrivati".
Si trovavano dinnanzi a strisce pedonali che davano su una scalinata di pietra grigia, ai cui lati si estendeva un muretto di pietra gialla. Oltre la scalinata Kim notò una torretta dello stesso caldo colore. Tutto ciò che li circondava era chiaro e brillava sotto la luce del sole. Il profumo dell'estate misto al vociare dei turisti e al calore mise allegria alla ragazza. Era proprio ciò che si era aspettata di trovare in un luogo di villeggiatura. Forse la dimessa Donna Palma aveva più assi nella manica di quanto facesse credere.
"Entriamo e saliamo" decretò Kerli, già con l'occhio sul mirino. "Voglio fare qualche foto degna di questo posto".
La biglietteria era gremita di persone ma la fila scorreva veloce e nel giro di un quarto d'ora i quattro si ritrovarono sul piatto tetto dell'edificio da cui si godeva del panorama dell'intera città e del porto. Kim si calcò sugli occhi gli occhiali da sole e sorrise quando notò la loro nave alla fonda.
"Questo castello è stato costruito come residenza estiva dei re nel 1300, su volere di Giacomo II" lesse Diego dal dépliant che aveva preso prima di entrare. Kim non sapeva se trovare divertente o fastidiosa la continua presenza al suo fianco. Si diceva di non essere maleducata, ma avrebbe preferito stare zitta o sentir ciarlare Jozefien. Invece Diego l'aveva proprio presa in simpatia. "È considerato un esempio più unico che raro di castello in stile gotico catalano a pianta circolare. Beh, ha senso. Sembra un'enorme ciambella".
"Sì" concordò Kim.
"O un copertone d'automobile".
"Meglio la ciambella".
"Forse hai ragione".
Kim fu grata a Kerli quando la chiamò per fare qualche foto. Non pensava di essere fotogenica e non amava i flash, ma fu lusingata dall'insistenza con cui Jo volle una foto con lei.
"Questa ve la stampo quando torno sulla nave" disse Kerli.
Kim stava per allontanarsi dalla sua coinquilina, quando Diego si mise di nuovo in mezzo.
"Posso partecipare anche io?".
"Certo!" esclamò Jozefien, afferrando Kim per metterla in mezzo a entrambi. Diego le circondò delicatamente le spalle con un braccio e la ragazza sospirò mentalmente.
Sulla via del ritorno, Jo le fece presente ridacchiando che il signor Velasco aveva sicuramente un debole per lei. Kim non rispose: l'ultima cosa che voleva era un sudamericano che le facesse la corte.
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