8: in cui ci sono bambini maleducati e viscidi superiori
Dopo Bari fu il turno di Messina e subito dopo quello di Roma. La Emerald non faceva che fermate di poche ore, dando agli ospiti la possibilità di mettere il naso fuori dalla nave giusto per il tempo di fare rifornimento. Troppo brevi le pause e troppi i passeggeri sempre a bordo per permettere allo staff di respirare l'aria della terraferma. Kim non aveva previsto che le sarebbe mancata così presto. Quando aveva aperto gli occhi, la seconda mattina, si era come sentita in una bara: la cabina era calda e stretta e le aveva fatto avere un mezzo attacco di claustrofobia. Se non fosse stato per Jozefien e le sue improvvise chiacchiere allegre nonostante l'orario improponibile della mattina, si sarebbe messa a urlare.
Febbre da cabina l'aveva chiamata la ragazza, quando aveva visto quanto Kim fosse pallida. Le aveva anche consigliato di non pensarci, perché altrimenti sarebbe divenuto un chiodo fisso e avrebbe avuto la sensazione di impazzire.
A Kim quelle parole avevano messo ansia e per tutti e due i giorni aveva cercato di concentrarsi sul lavoro. Fortunatamente gli italiani molesti della prima mattinata non si erano più presentati e lei aveva potuto svolgere le sue mansioni senza intoppi gravi, se non qualche dovuta ripetizione a passeggeri distratti che rischiavano di rompersi il collo praticando asana scorretti. Nulla di strano, in fondo. C'erano stati anche dei momenti divertenti, come quando Jo l'aveva convinta ad andare con lei al bar dell'equipaggio, un locale basso e illuminato da faretti azzurri e viola al ponte Zero, in cui si era concessa una Coca–Cola. Per un paio d'ore si era sentita leggera e serena. Non voleva ancora ammetterlo, ma Jozefien le faceva bene. Era quasi lusingata da tutte le attenzioni che le rivolgeva: da quanto aveva capito, Jo aveva un sacco di amici, eppure si prendeva cura di lei in modo impeccabile. Non aveva mai vissuto così a stretto contatto con qualcuno conosciuto da poco, ma si stupì quando disse a sé stessa che, in fondo, non sembrava essere così difficile.
Aveva anche rivisto le ballerine conosciute durante la sfilata e la signora indiana accompagnata dalla timida ragazzina orientale. Kim aveva indagato con Jo e aveva scoperto che aveva all'incirca diciannove anni e veniva dalla Thailandia. On, sì, era proprio questo il suo nome. Non le aveva mai rivolto la parola, ma non lo faceva praticamente con nessuno.
Pensava che tutte le conoscenze fatte fino a quel momento fossero apprezzabili, chi più chi meno. Erano stati tutti molto gentili con lei. Era uno dei pochi lati positivi in un lavoro che l'aveva delusa su quasi tutti gli altri fronti e che lo fece di nuovo quando, nella giornata di navigazione per raggiungere Palma di Maiorca, si ritrovò con l'ennesimo compito non previsto. Aveva già iniziato a fare sessioni di yoga pomeridiane ma, subito dopo la lezione, fu raggiunta da una comunicazione, un foglio stampato e firmato portato da un giovane cameriere colombiano. Byrd si era inventato un nuovo corso di respirazione per signore, che sarebbe iniziato da lì a trenta minuti al Lido di Titania. Kim sospirò, arresa: con la nave in mare aperto, il Lido sarebbe stato strapieno. Un luogo in cui difficilmente avrebbe potuto tenere una buona lezione, soprattutto di Pranayama.
Decise che in mezz'ora sarebbe riuscita a fare una capatina al bar per prendersi una bottiglietta d'acqua. Allo staff non era permesso acquistare prodotti dagli esercizi aperti per i passeggeri. Kim si diresse agli ascensori passando per il buffet, ma quando giunse davanti alle porte, si rese conto che non aveva alcuna voglia di soffocare all'interno di una di quelle cabine sempre profumate. Optò per le scale e iniziò a scendere i ponti dietro le quinte. Era arrivata a livello del secondo ponte, Austen, quando rischiò di essere investita.
Il ragazzino era stato troppo silenzioso mentre correva sugli scalini con la grazia di un furetto e quando Kim cominciò una nuova rampa andò a sbatterle contro senza accenno di frenata. Senza capire come, lei si ritrovò seduta dolorosamente su un gradino di metallo a sbalzo, mentre lui, il ragazzo, si aggrappava disperatamente al corrimano cercando di evitare, senza successo, la caduta di metà delle cose che aveva in mano. Quando il pesante rotolo di corda precipitò con un tonfo, Kim ebbe la prontezza di riflessi di afferrarne un capo prima che questa scivolasse via come un serpente negli spazi tra gli scalini.
"Oooh, desculpe, senhorita!" esclamò a voce alta, raccogliendo disperato tutto quello che era caduto. Kim fece per rispondergli con quel poco che sapeva di spagnolo, ma quando aprì la bocca si rese conto che quello non era spagnolo. La richiuse, tossicchiò e sorrise.
"Non è un problema. Scusa tu".
Il ragazzo, che dimostrava a malapena la sua maggiore età, smise di comportarsi come un animaletto nevrotico e la guardò negli occhi. Aveva un bel visetto ovale, con grandi occhi vispi color nocciola e una zazzera di capelli nerissimi. I tratti e la carnagione erano quelli di un caboclo, un meticcio brasiliano. Quando si rese conto che Kim non era affatto pericolosa e che non l'avrebbe ammonito, si aprì in un sorriso di denti grandi e bianchi.
"Grazie" le disse allegro, recuperando la fune. "Andavo di fretta, non ti ho proprio vista".
Era vestito con una tuta da lavoro grigia, che lo ricopriva dal collo agli stivali antinfortunistici. Doveva fare parecchio caldo in quello scafandro.
"Tranquillo".
Il ragazzo spostò tutti i suoi oggetti su un braccio e le tese la destra. "Io sono Bruno, incantato".
"Kim" rispose lei, un po' imbarazzata al pensiero di trovare molto carino un adolescente. Bruno la aiutò a tirarsi in piedi e subito dopo arrovesciò il braccio libero sul fianco.
"Sei nuova?".
"Sì. Sono qui solo da qualche giorno".
"Ah-a! Lo sapevo! Mi sarei ricordato di una senhorita carina come te, sai?".
Kim non credette subito di aver udito quelle parole così sfacciate da un ragazzino che aveva anche meno anni di suo fratello, ma quando dovette fare i conti con la realtà, non riuscì a non sorridere.
"Grazie. Sei molto gentile".
"Sono sincero" insistette Bruno. "Davvero carina".
"Ma non stavi correndo a perdifiato, cinque minuti fa? Ora hai tempo per chiacchierare?" gli disse con un sorriso nella voce. Lui alzò gli occhi al cielo con una nonchalance davvero graziosa e rispose: "Forse ho trovato qualcosa di più importante da fare".
"Mi dispiace, ma io devo andare".
"Togliendo così la luce alla mia vita?".
A metà tra il riso e la meraviglia per tanta insolenza, Kim scosse la testa, alzò una mano e lo salutò. "Penso che ti aspettino, su di sopra".
"Claro que sim, senhorita. Tutti aspettano Bruno Barbosa, ma pochi lo ottengono".
Detto ciò, l'impudente signorino riprese la sua folle corsa sulle scale, come se non si fosse mai fermato a tentare di sedurre una ragazza molto più grande di lui. Kim, divertita, decise che forse si sarebbe presa addirittura una bibita gassata.
***
Aveva trovato un buon angolino per fare la lezione ed era contenta che parecchie signore, quasi una trentina, fossero davanti a lei, nel rumoroso tentativo di regolare il proprio respiro. La musica sparata a tutto volume non era un problema, come neanche il chiacchiericcio di almeno centocinquanta persone. Kim era sufficientemente soddisfatta per apparire rilassata. Pensava che nulla, questa volta, avrebbe turbato il suo corso.
"Tratteniamo il fiato, così..." mormorò, mostrando alle sue studentesse come fare. "Questo per almeno cinque secondi, poi espiriamo...".
Ovviamente si illudeva.
Un urlo acutissimo squarciò la relativa quiete vacanziera del Lido e parecchie signore, compresa Kim, trasalirono. La prima cosa a cui la ragazza pensò fu che qualcuno si era fatto male, ma quando il grido si ripeté, più articolato di prima, si rese conto che apparteneva a un bambino, il quale aveva deciso che la madre andasse chiamata con una frequenza da sistema sonar. Lo individuò a bordo piscina, a pochi metri da loro. Era piccolo, biondo, con le guance porpora. Sicuramente un tedesco.
Kim fece un sorriso alle sue signore e disse: "Piccola pausa pubblicitaria. Ricominciamo. Inspiriamo...".
"Maaaaaaammmaaaa!".
Di nuovo l'urlo deconcentrò le presenti. Questa volta Kim cominciò a provare un po' di fastidio, soprattutto quando si rese conto che il marmocchio si rivolgeva a una bella signora che stava chiacchierando al telefono. Era sorda? Non sentiva suo figlio? Osservò il bambino fino a quando questi non parve acquietarsi, ma quando tornò alla lezione, il pargoletto decise che aveva testato a sufficienza l'attenzione della madre, così pensò di essere libero di fare quello che voleva. Con uno slancio da delfino abbandonò la piscina dei piccoli e, inseguito da un paio di amichetti, si mise a correre ridendo con un morbido tubo galleggiante rosso in mano. Prima che Kim potesse reagire, il trio virò nella loro direzione e falciò un paio di signore un po' troppo instabili sulle gambe, colpendo con il tubo, bagnato e gelido, tutte le malcapitate che capitavano loro a tiro. Quando anche una terza signora rischiò di scivolare sulle piccole pozze d'acqua che i bambini maleducati stavano lasciando ovunque, decise che ne aveva abbastanza e con un movimento inaspettatamente rapido acchiappò il ragazzino molesto per un braccio.
"Bambino, non puoi comportarti così" disse nella sua lingua, cercando di apparire gentile ma ferma. "Noi stiamo...".
"Maaaaaaammaaaaaaaa!".
Il furbo biondino lanciò un ululato tale da far voltare metà delle persone nel Lido, come se lo stessero scorticando vivo. Questa volta anche la signora madre si accorse di lui e Kim, non appena incrociò il suo sguardo, capì di essersi messa nei guai.
***
Quello di Sunday Byrd era l'ufficio più asettico che Kim avesse mai visto nella sua intera vita. Una scrivania, una sedia, un armadio di metallo e una poltroncina per la persona ospite. Kim sedeva proprio su quella scomoda postazione in finta pelle, rabbrividendo per l'orribile sensazione di avere quel materiale incollato alle cosce. Fissava un cofanetto di legno sulla scrivania, a fianco dello schermo del PC. Si chiedeva cosa mai potesse contenere.
Byrd non la guardava. Faceva finta di nulla, come se i due fogli che avesse davanti fossero più interessanti di lei. Kim sapeva che lo faceva apposta, per metterla a disagio. Aveva capito che tipo di uomo fosse, quello. Uno della peggior specie.
"Io vorrei sapere che cazzo ti è passato per il cervello" le disse all'improvviso, alzando molto lentamente gli occhi su di lei. Kim sentì un brivido lungo la spina dorsale. Non rispose subito e Byrd continuò: "Forse non ti è chiaro come funziona su una nave occidentale, carina: qui il cliente è sacro. Non puoi permetterti di sgridare nessun bambino e poi tentare di giustificarti con la madre. Tu qui non vali un cazzo, capito? Sei solo uno dei milioni di musi gialli che tirano a campare sulle navi da crociera. Sei sostituibile. Capito? Sostituibile".
"Quel bambino si stava comportando in modo poco corretto. Ha fatto anche cadere alcune signore che...".
"Me ne sbatto il cazzo".
Kim ammutolì per la risposta secca e volgare e abbassò gli occhi. Dentro di sé ribolliva di rabbia. Come potevano pretendere che non intervenisse, visto il macello compiuto da una banda di marmocchi viziati? Se fosse stata al suo posto, sua madre le avrebbe tirato uno schiaffo tanto forte da farla piangere per settimane. Perché era stata messa in punizione lei e non quel bambino? La donna tedesca lo aveva abbracciato e preso in braccio come se l'avesse appena salvato da un tentativo di rapimento. Dopodiché aveva iniziato a riempirla di improperi e Byrd era stato immediatamente chiamato.
"Tu devi solo servire i passeggeri. Devi solo ubbidire ai loro desideri. Se quel bambino avesse voluto sculacciarti con il serpentone di plastica, tu ti saresti dovuta calare le braghe. Capito? Non puoi vantare alcun diritto sui nostri ospiti. Altrimenti puoi sempre fare la tua valigia di cartone e andartene a fanculo a prostituirti nel tuo Paese. Chiaro?".
Kim era sconvolta. Aveva un principio di nausea e la stomacante sensazione di star vivendo un incubo a occhi aperti. Si sarebbe data un pizzicotto, se non fosse stata certa della realtà della situazione. Provava uno sdegno privo di controllo e allo stesso tempo non riusciva a credere che quella persona orribile avesse oltrepassato il limite della comune educazione di base, arrivando addirittura a mettere in dubbio la sua integrità morale.
"Come... come si permette?" domandò, tremando per la rabbia. Lui alzò le sopracciglia scure, sorpreso dalla domanda, poi si aprì in un ghigno. Allungò un braccio verso lo scrigno di legno, lo aprì con uno schiocco. Kim potè vedere chiaramente cosa contenesse e per un secondo dimenticò quello che stava accadendo: era pieno delle biglie verdi che avevano attirato la sua attenzione durante la sfilata nel Salone di Giulietta. Byrd ne prese una e se la infilò in bocca. Ecco cos'erano: caramelle.
"Chi ti dà da mangiare, carina?".
"Non lei".
"Sbagliato. Sono proprio io che ti nutro, cagnetta. Se voglio ti faccio licenziare. Capito? Anche seduta stante".
Kim non ribatté. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelle graziose sferette verdi. Non aveva bisogno di quel lavoro, in fondo avrebbe potuto semplicemente tornare a casa, ma avrebbe significato darla vinta a tutti i suoi detrattori. Quello che faceva iniziava a piacerle, per quanto pieno di sgradevoli sorprese. Non sarebbe stato quell'imbecille a mandarla via.
Byrd prese il suo silenzio come una dichiarazione di arrendevolezza, così sorrise con la caramella infilata nella tasca della guancia e questa volta si tese verso di lei. Kim aveva le mani posate sulla sua scrivania e l'uomo poggiò una delle proprie sulle sue. Quando la ragazza fece per ritirarle subito, lui strinse la presa.
"Sai" disse, "Potrei dimenticare ogni cosa se tu venissi a cena con me, domani sera. Potrei mettere una pietra sopra tutto quello che è successo e magari darti uno spazio più decente per i tuoi corsi. Che ne dici?".
Lo strattone con cui Kim liberò le mani funse da risposta. Guardò con disprezzo quell'uomo disgustoso e si alzò in piedi. Byrd tornò subito a riappoggiarsi alla propria sedia e si fece ricomparire in viso la sua espressione rabbiosa.
"Sei una stupida".
Kim provò il desiderio di sputare per terra come facevano le vecchie quando volevano allontanare il male, ma si limitò a dirigersi verso la porta. Quando si voltò per chiuderla con fermezza, le parve di notare uno strano bagliore verde smeraldo attorno a quella scatola di legno.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro