6: dove gli italiani si fanno riconoscere sempre
La sveglia suonò con una crudeltà impensabile per un oggetto inanimato. Kim negò a sé stessa di aver davvero sentito quel terribile fracasso. Mugugnò e tentò di voltarsi nel letto, strizzando gli occhi, ma il suo gomito urtò sonoramente contro il muro. La scossa elettrica che le fece formicolare il braccio la costrinse a svegliarsi bruscamente. Fu solo per miracolo che non tentò di mettersi seduta, rischiando di prendere una testata al letto sopra, le cui doghe erano incurvate a causa del peso di Jozefien.
Nel momento stesso in cui notò l'oscurità a righe grigie scure e chiare sulla sua destra, si ricordò che non era stata rapita dal suo letto a casa dei suoi genitori ma che si trovava nella sua nuova cuccetta. Con un sospiro si lasciò cadere nuovamente sul basso cuscino, che le aveva provocato un leggero ma fastidiosissimo dolore nella regione cervicale. Chiuse gli occhi per un secondo, ma subito dopo il lamento atroce del letto superiore le fece intendere di non essere l'unica a essersi accorta del richiamo della sveglia. La luce della plafoniera della loro cabina si accese e penetrò nella sua alcova quando una delle mani di Jo scostò bruscamente la tendina.
"Buongiorno" disse a testa in giù, con gli occhi ancora socchiusi perché non abituati alla luce. Kim emise un lento respiro prima di rispondere: "Ciao".
Si fregò gli occhi, piegando il collo all'indietro per tentare di far cessare quella fastidiosa sensazione. Le doghe sopra di lei scricchiolarono e poi un tonfo, seguito dall'improvviso buio, le fecero intendere che Jozefien si era ufficialmente alzata.
"Va bene se occupo prima io il bagno?".
"Fai pure".
Jo scomparve quasi subito oltre la porta bianca del loro bagno e Kim si concesse gli ultimi due minuti a letto. Il suo primo giorno di lavoro sarebbe iniziato nel giro di quarantacinque minuti. Il cuore, a quel pensiero, iniziò a batterle nelle tempie. Cominciò a ripassare la lezione che si era preparata mentre compiva il viaggio verso Venezia e si tranquillizzò, anche se di poco, quando i nomi degli asana le tornarono alla mente in modo fluido.
Quando Jo finì di vestirsi – alla velocità della luce – Kim si appropriò del bagno e cercò di sbrigarsi. Dovevano ancora andare in mensa, fare una colazione veloce e raggiungere i ponti superiori per essere pronte ad accogliere i passeggeri. Si lavò, si infilò in un reggiseno sportivo e per caso, mentre tentava di abituarsi a quello spazio angusto dall'aria tropicale, lanciò uno sguardo alla sé stessa nello specchio. Era sempre stata una ragazza dall'aria semplice, non brutta ma neanche eccezionalmente bella. Un viso comune a molti altri: un piccolo ovale con un naso un po' appiattito e largo, occhi a mandorla, bocca sottile. L'unica cosa strana era la frangia, che ormai era cresciuta folta fino a coprirle le sopracciglia. Aveva i capelli lunghi e quando faceva la coda – proprio come avrebbe fatto anche quel giorno – il suo aspetto assumeva improvvisamente le parvenze di una ragazza liceale. Le piaceva sembrare più giovane della sua età, ma con il trascorrere del tempo e la maturità incombente, si era sempre più sentita a disagio. Forse avrebbe tagliato la frangia. Sì, forse l'avrebbe fatto. Sarebbe stato come accettare il suo divenire adulta.
Un passo alla volta, si disse, legando i capelli con un laccetto trasparente. Prima iniziamo a lavorare, poi mi taglierò la frangia. Ho ancora tempo.
***
Una discreta folla presidiava già il Lido di Miranda: signore di mezza età o più attempate, un paio di stangone bionde, qualche uomo con un po' di pancetta e un quartetto di italiani si erano riuniti nel punto in cui il personale aveva già sistemato una trentina di tappetini verdi. Kim prese un bel respiro, avvicinandosi con un sorriso. Accese il microfono e salutò i presenti con un Namasté.
"Io sono Kim, la vostra insegnante di yoga".
Lo disse in inglese, francese e tedesco: le tre lingue più diffuse sulle navi da crociera della Crown, le tre che le erano state richieste. Conosceva anche qualche parola di spagnolo, italiano e russo, ma non si arrischiò. Le persone rimasero in silenzio, ma si posizionarono sui tappetini. Kim pensò che fosse un buon inizio.
"Oggi inizieremo con una lezione di Hatha Yoga. Troveremo il nostro equilibrio e nei prossimi giorni vedremo come controllare la nostra energia interiore" spiegò, sedendosi con la schiena dritta e le gambe incrociate. Concentrata com'era, non si rese immediatamente conto che il quartetto di italiani, due donne e due uomini di mezza età, avevano cominciato a lanciarsi occhiate strane. Chiuse gli occhi, inspirò ed espirò. Li riaprì e disse: "Prima di imparare gli asana, ci concentreremo sugli esercizi di respirazione diaframmatica. Serviranno a rilassare corpo e mente e a riequilibrare i primi due chakra. Quando noi inspiriamo, il diaframma scende e i polmoni possono riempirsi. Quando espiriamo il diaframma sale e i polmoni possono svuotarsi completamente. Faremo quindi esercizi di Pranayama".
Kim fece vedere come fare una volta, poi aggiunse, sempre ripetendo nelle tre lingue: "Il nostro obiettivo è rendere il nostro respiro più lungo nel tempo. Suddividiamo il respiro in quattro fasi: inspirazione, ritenzione a polmoni pieni, espirazione, ritenzione a polmoni vuoti".
Fece un'ultima dimostrazione, poi accennò un sorriso e i suoi allievi capirono che era giunto il loro momento. Iniziarono tutti a respirare un po' troppo rumorosamente e Kim subito li corresse, mostrando loro che non dovevano gonfiare l'addome nel momento dell'espirazione. Si risedette sul tappetino e sincronizzò il respiro.
"Ora chiudete gli occhi e rilassatevi. Io conterò per voi i secondi delle quattro fasi".
Tutti fecero come richiesto, ma quando la ragazza disse di inspirare e si mise a contare i secondi della ritenzione a polmoni pieni, la voce di uno dei quattro italiani si alzò sgradita nell'aria tranquilla del mattino.
"Ooooom".
I vicini dell'uomo che aveva alzato la voce persero la concentrazione e Kim voltò immediatamente la testa verso di lui. Stava ridacchiando, ma la donna accanto, una signora mora di circa quarantacinque anni, gli tirò una gomitata e Kim pensò che la questione si sarebbe risolta come una goliardata. Fece un sorriso per far capire loro che andava tutto bene e riprese: "Riproviamo. Inspiriamo...".
Ci fu un respiro collettivo e non le piacque molto quando l'uomo molesto di poco prima inspirò rumorosamente con il naso, come se stesse tirando di coca.
"Tratteniamo il respiro...".
Fortunatamente ci fu silenzio.
"Espiriamo...".
L'uomo decise di buttar fuori l'aria emettendo anche un fischio e nuovamente i suoi vicini si agitarono, lanciandogli occhiatacce. Kim chiese di rifare l'esercizio altre due volte, nonostante la sua preoccupazione nei riguardi del fastidioso passeggero fosse in aumento. Al terzo respiro rumoroso e alle prime risatine da parte dei suoi amici, la ragazza ne ebbe abbastanza.
"Bene. Ora che sappiamo come respirare, vediamo un asana. Iniziamo con una figura classica: la posizione del cane che guarda in giù. Come prima cosa, mettiamoci in Vajrasana, la posizione del diamante".
Kim si mise seduta con le gambe piegate sotto il fondoschiena, la schiena dritta e le mani posate sulle cosce. Tutti la imitarono, anche il fastidioso gruppetto. Sperò che con un po' di movimento sarebbero stati buoni, forse erano solo un po' annoiati dagli esercizi di respirazione.
"Ottimo" disse contenta. "E ora..." Kim fece per mettersi a quattro zampe per mostrare come mantenere l'equilibrio spostando il peso sulle braccia prima di alzare il bacino, ma in quel momento tutte le sue speranze furono ridotte in cenere da una vampata di delusione.
"Scusa".
Il disturbatore era tornato alla carica, questa volta in maniera esplicita. Aveva parlato in italiano, ma quando Kim lo guardò accennò una frase in un inglese maccheronico palesemente esagerato.
"Scusa, girl, but noi no capish chell tu che dish" disse deciso, lanciando occhiate compiaciute ai suoi amici, che tentavano di non ridacchiare come quindicenni. Il cuore di Kim iniziò a battere velocemente: non aveva previsto che avrebbe avuto problemi di questo tipo con i passeggeri. Non si era preparata mentalmente al problema.
"Mi scusi" rispose, cercando di mantenere la calma, nell'inglese più chiaro che le riuscì. "Parlo solo queste tre lingue".
"Eh! Ma come?" esclamò l'uomo, che aveva ormai l'attenzione di tutti i presenti, chi curioso chi scocciato dall'inopportuna conversazione. "E noi italiani? Signorì!".
Kim cominciò a non comprendere quello che lui le stava dicendo, perché l'italiano aveva preso la via di un dialetto a lei sconosciuto. Notò le occhiate nervose degli altri presenti, così decise di troncare lì quella farsa.
"Mi dispiace, signore" disse molto lentamente, quasi certa che in realtà il cinquantenne la stesse prendendo in giro solo per far ridere i suoi immaturi amici. "Non serve che voi capiate ogni cosa. Basta seguire ciò che faccio".
Per chiarire il concetto sorrise e ricominciò l'esercizio, ma ormai l'italiano aveva in circolo un mix letale di testosterone e adrenalina e non aveva alcuna intenzione di fermare il suo gioco crudele. Aveva sicuramente capito di aver a che fare con una novellina.
"No, bella" disse, in modo tale che Kim non capisse. "Non penso proprio. Io non chiedo, io pretendo che tu parli italiano, bella".
"Claudio, ti guardano tutti" ridacchiò quella che doveva essere sua moglie, coprendosi la bocca con una mano per nascondere un sorriso.
Kim si ritrovò senza sapere cosa fare. Avrebbe voluto ignorarlo, ma quando tentò di concentrarsi sull'esercizio e rispiegarlo da capo, l'uomo alzò nuovamente la voce, questa volta distraendo tutti e rompendo la morbida quiete del mattino.
"Ehi! Ehi, parlo con te, ragazzina! Ti ho gentilmente fatto una richiesta e tu mi ignori? Guarda che sono io il cliente e tu devi farmi un servizio! Non ho pagato settemila euro per essere ignorato da te!".
Il tono aveva iniziato a essere aggressivo e questa cosa infastidì una signora attempata lì di fianco. A Kim parve di riconoscerla e fu certa che fosse lei quando la sentì apostrofare il tizio in francese. Era la donna che, a braccetto del marito, l'aveva salutata salendo sulla nave.
"Senta un po'!" disse, arrabbiata, guardandolo feroce da dietro gli occhialetti dalla montatura tonda che nel corso del primo esercizio le erano scesi sulla punta del naso leggermente all'insù. "Ha finito di far baccano? Questa povera ragazza vuole lavorare, se non l'ha capito!".
Probabilmente lo stempiato italiano non parlava francese, perché rimase a fissare la vecchietta sorpreso e un po' scocciato di essere stato interrotto. La ignorò dicendo qualcosa di simile a "Va, va'..." e poi riprese il suo discorso. "Senti, faccetta gialla, io sono venuto qui per farmi insegnare un po' di yoga, ma non capisco un cazzo se non parli in italiano. Io salgo su una nave che ferma a Venezia e pretendo di trovare personale che sappia parlare in italiano!".
Kim non aveva capito nulla, se non la difesa che la vecchia signora francese aveva mosso per lei e di cui le era profondamente grata. Non sapendo cosa rispondere all'uomo, disse solo: "Sono mortificata".
"Mortacci tua" rispose lui, mentre con fatica si alzava, seguito dalla sua banda ridacchiante. "Che vacanza di merda. Assumono le donnette dei nightclub e manco le educano".
Sua moglie lo afferrò per un braccio, ridacchiando, mentre tutti e quattro voltavano le spalle al gruppo per andarsene. Fu una fortuna che Kim non capisse così bene la loro lingua, perché si sarebbe sentita apostrofare con i peggiori epiteti.
Fu comunque sinceramente mortificata per l'accaduto, soprattutto notando che la maggior parte dei presenti, che non avevano capito le parole dell'uomo, la guardava in modo strano, come se pensasse che forse il tono polemico con cui aveva parlato fosse doveroso. Cercò di deglutire il disagio e la vergogna per quel primo incontro ravvicinato del terzo tipo, ma quando tentò di parlare, le parole non ne vollero sapere di uscirle dalla gola. Fortunatamente non passarono nemmeno trenta secondi prima che la signora francese facesse sentire nuovamente la sua voce.
"Vada avanti, cara" le disse decisa, con un sorriso troppo lucido e bianco per essere vero. "Ci siamo liberati dei bifolchi".
I presenti che capivano il francese sorrisero e Kim si sentì meglio. Fu finalmente in grado di spiegare con successo l'asana del cane che guarda in giù, anche se per tutto il resto della lezione non fu in grado di pensare ad altro che all'imbarazzo che aveva provato.
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