40: in cui si protegge ciò che si ama
Caricare la loro bomba artigianale non era stato particolarmente difficile: erano bastati tre uomini per trasportarla fino al ponte Quattro e poi sul retro del piccolo motoscafo. C'era stata un po' di paura riguardo il peso dell'enorme molotov, ma la barca non si era inclinata né aveva dato segno di volerlo fare, ancora appesa com'era alle sue grosse funi di metallo. Tutto era andato bene, ma ora toccava combattere un ultimo nemico: il tempo.
L'isola era sempre più vicina. L'Emerald si muoveva molto lentamente, ma già si riusciva a osservare con più cura il cimitero delle navi presenti nella baia e avevano scoperto che i relitti erano più di quanti si potesse immaginare.
Solo Diego era stato lasciato sul ponte di passeggiata, dopo le operazioni di spostamento: armato della pistola più grossa, la Colt del signor Fischer, era stato posto di guardia al prezioso motoscafo. Tutti sapevano che, nel momento in cui fosse stato designato il guidatore, Diego sarebbe anche assurto al compito di novello Caronte e avrebbe dovuto aiutare la persona scelta a compiere le giuste manovre per essere calata in acqua.
Kim non avrebbe mai voluto essere al suo posto: le sue responsabilità erano non solo pericolose ma anche ingrate. Era certa che quel ragazzo tanto buono non se lo meritasse.
Non riusciva a non pensare a lui perfino mentre sedeva assieme a tutti gli altri nell'Atrio degli Smeraldi. Kim pensava che fosse particolarmente ironico il fatto che tutto sarebbe finito proprio nel luogo che l'aveva sedotta da bambina e che l'aveva trascinata in quell'incubo. Che l'ultimo grande atto di quella enorme tragedia fosse in procinto di concludersi in quell'angolo di paradiso ingannatore dove tutto era iniziato.
"Abbiamo bisogno di una persona. Una sola" ringhiò per la terza volta Delia, in piedi, la mano sinistra stretta attorno alla sua pistola. "Abbiamo una manciata di minuti per decidere".
Quell'assemblea aveva il gusto della condanna. Lo stanco cervello di Kim non riusciva a non proiettare immagini provenienti dai più svariati telefilm polizieschi, distraendo la ragazza dal drammatico problema fondamentale: nessuno aveva intenzione di candidarsi per quell'impresa. Ovviamente nemmeno lei. Diego era stato scartato a priori: avrebbe potuto essere molto utile per i sopravvissuti rimasti sulla nave ed era anche per questo motivo che si trovava sul ponte di passeggiata, solo. Nessuno degli altri, però, aveva ricevuto la grazia del consenso comune. La riunione era iniziata da un minuto e mezzo e tutti, tranne Delia, erano rimasti in silenzio. Kim compresa: seduta accanto a Jo, cercava di non ripetersi in continuazione come quella situazione fosse assurda. Lo era. Così terribilmente assurda da dare dolore.
"Allora?" disse ancora la donna, con tono aspro. Finalmente qualcuno rispose.
"Dovrebbe andare la signora" rispose il signor Fischer, appoggiato allo schienale di una sedia, additando Sivashangari. "È lei la causa di tutto, no?".
Siva impallidì ma Isidro, che la teneva per mano, scattò subito in sua difesa.
"Follia" rispose, rabbioso. "Siva ha già subito abbastanza".
"Rimane il fatto che sia colpevole".
"Stronzate! Gli unici colpevoli sono i suoi boia, come te".
"Perché non il signor Cornelis?" si intromise svelta Natalia, lanciando uno sguardo che a Kim parve piuttosto avido verso il pover'uomo che non riusciva a stare seduto e camminava avanti e indietro alle spalle di Delia. "Lei è il capo della sicurezza, no? Saprà come si guida un motoscafo".
Il signor Cornelis, sentitosi chiamato in causa, si fermò e fissò la ragazza con uno sguardo che ribaltò lo stomaco di Kim.
"Ho due figli" bisbigliò, con una voce che grondava lacrime, lanciando occhiate impaurite e imploranti a tutti gli altri. "Io... Per favore...".
"Perché non lei, signor Fischer?" tagliò corto Camila, che aveva ormai dimostrato la sua natura coraggiosa. "Mi sembra che lei sia un esperto".
"Perché io sarò più utile su questa nave con tutti voi" rispose quasi ringhiando l'uomo, minacciando la giovane spagnola con i denti. Se avesse avuto la pistola, probabilmente gliel'avrebbe puntata contro.
Kim ebbe un moto di disgusto per quello a cui stava assistendo, quel lento processo in cui ancora tutti si muovevano cauti, proprio come grandi felini nella stessa gabbia di uno zoo: quanto tempo ci avrebbe messo Delia a usare l'arma? In quanto tempo uno di loro si sarebbe ritrovato la canna alla tempia, scortato come una vittima sacrificale al ponte Quattro? Per quanto ancora si sarebbe giocato alla piccola democrazia?
Era tutto così irreale. Così disgustoso. Un giro alla roulette russa. Questo stavano vivendo. Un branco di pecore terrorizzate aizzate da quei due, tre lupi famelici e pronti a tutto pur di sopravvivere. Nessuno degli altri parlava per paura di attirare l'attenzione su di sé.
Lei non avrebbe proposto nomi. Non avrebbe partecipato a quel gioco al massacro.
La mano di Jo si strinse attorno a quella con cui Kim si stava tamburellando sulla coscia. Trasalendo si voltò verso di lei, ma la ragazza le fece un sorriso, per quanto preoccupato, e mormorò a bassissima voce: "Controllo che Diego stia bene. Torno subito".
Kim corrugò la fronte e fece per porle una domanda, ma il suo nome fu tirato in ballo nell'assemblea e lei si girò a fronteggiare Esteban, che aveva timidamente pronunciato quelle tre lettere.
"Forse sai guidare una nave" aggiunse timidamente, distogliendo lo sguardo dal suo per la vergogna di essersi abbassato a fare il suo nome. Kim lo fissò, arresa all'evidenza di aver avuto a che fare con un codardo, ma Delia intervenne prima che il silenzio fermasse il cuore del ballerino: "È zoppa. Di poca utilità. Perché non proprio tu, Esteban?".
"Mai guidato un motoscafo" rispose rapidamente lui, impallidendo.
"Io propongo Rex" provò di nuovo il signor Fischer, questa volta con un tono più infido del precedente. "Avevi detto di aver guidato una barca da giovane, vero?".
"Rex non si tocca" digrignò i denti Delia, voltandosi a fronteggiare Fischer. L'uomo sostenne il suo sguardo freddo e sogghignò feroce.
"Allora, donna, penso proprio toccherà a te".
"Scommettiamo l'utilità che avrai tu una volta morto?".
"Sai anche riavviare dei motori in panne, Cebotari?".
La pistola iniziò a fremere nelle mani di Delia, così Fischer comprese probabilmente di star giocando con il fuoco. Pigramente voltò lo sguardo e con indifferenza indicò una delle persone a caso.
"Uno di loro, donna. Possiamo estrarre a sorte".
Delia posò su di loro uno sguardo indagatore e Kim comprese che la democrazia sarebbe crollata in uno, al massimo due minuti. Era stato il branco di pecore a dare il potere in mano al lupo. Ora lui avrebbe deciso chi sgozzare e sarebbe stata tutta colpa loro.
Istintivamente tese una mano a cercare quella di Jozefien, un tremore irrefrenabile aveva contagiato braccia e gambe. Con stupore e successivo orrore, si accorse e realizzò che Jo era uscita. Confusamente cercò di capire perché e dove fosse andata, si tranquillizzò per un secondo, poi fece un veloce calcolo e si rese conto che era fuori da quasi cinque minuti. Era troppo? Troppo poco? Quanto tempo ci voleva ad arrivare al ponte Quattro? Dipendeva se avesse corso o meno.
Con un senso di nausea alla bocca dello stomaco, Kim tornò ad ascoltare la conversazione e notò la serpeggiante inquietudine dei presenti. Delia stava chiedendo a Bruno se avesse mai guidato una piccola imbarcazione e il ragazzino negava con l'ardore di chi stava mentendo. Kim lo sapeva: la sua gente abitava sui fiumi. Probabilmente Bruno su una nave ci era nato.
Il suo pensiero corse di nuovo a Jo. Si voltò nervosamente a dare un'occhiata alle scale e alla porta dell'Atrio: niente. Si chiese se non fosse incappata in un qualche demone vagante o in una banda di bambini. Il pensiero le fece congelare il sangue.
"Ho una famiglia!" stava piagnucolando in quel momento Sergio, la vittima successiva. "Lo giuro, non ho mai nemmeno avviato una barca! Vengo dalle montagne!".
Avviare. Barca.
Il tempo rallentò e ogni cosa si congelò in un istante perfetto, come quando uno specchio scivola da un ripiano e si infrange al suolo: una frazione di secondo eccezionale in cui i frammenti di vetro, prima di volare da ogni parte, sono ancora un'unica massa venata di crepe.
Così fu l'attimo che servì a Kim per voltarsi lentamente verso il ripiano del bar dove, come aveva fatto al bar Narcisi, aveva lasciato le chiavi del motoscafo.
Il vetro dello specchio si infranse in una miriade di pezzi quando si rese conto che non c'erano più.
***
La gamba ferita urlava tutto il suo sdegno per l'indecoroso trattamento mentre Kim si gettava sulle scale che portavano al ponte superiore, senza fiato per la salita e per la paura. Il terrore le permetteva di respirare a fatica, le serrava la gola e le riempiva lo stomaco di macigni. La sua mente non faceva altro che ripetere la stessa frase, ormai ossessiva.
Fa che non l'abbia fatto.
Quando arrivò al ponte Quattro, si gettò di peso contro il maniglione antipanico e lo aprì, corse per un'altra manciata di metri lungo il corridoio che puntava all'esterno e quando raggiunse l'ennesima porta, ci balzò contro, perdendo l'equilibrio.
Il portellone si spalancò con un cigolio atroce, Kim appesa come una naufraga alla sua maniglia. Artigliò con lo sguardo il ponte e quando si rese conto di essere in tempo, lasciò la presa e si gettò a capofitto in una corsa claudicante.
"Jozefien!" urlò furibonda, rivolta alla schiena della ragazza, che stava abbracciando Diego. Jo si staccò dal ragazzo, si voltò e lo stupore sul suo viso scatenò la rabbia cieca dell'amica, che si scagliò contro di lei a pugni chiusi.
"Sei una maledetta stupida!" gridò, con il desiderio di picchiarla, punirla per quell'idiozia, tentando di colpirla goffamente. "Una maledetta idiota!".
Jozefien si riprese in fretta dalla sorpresa e non le fu difficile afferrare i polsi sottili di Kim per fermarla. Kim si agitò furiosa, ma quando si rese conto che non si sarebbe mai liberata, si mise a piangere e sputò velenosamente: "Sei una bugiarda schifosa. Me l'avevi promesso!".
Jo la guardò sofferente, con tutte quelle ecchimosi ormai divenute verdastre, ma Kim non le diede il tempo di difendersi. Con uno strattone si liberò e sibilò: "È l'ultima volta che fai la stupida. Non farai questa idiozia".
"Devo, Kim" rispose semplicemente lei, più calma di quanto Kim avrebbe voluto sentire. "Devo farlo".
"Cazzate! Tu non devi fare niente!" strillò. "Tu ora torni di là con me e...".
"No" ribatté Jo. A Kim si mozzò il fiato dall'orrore di quella risposta.
"Ora torniamo di là!".
"No, Kim. So guidare questa barca. Nessuno degli altri sa farlo come me, probabilmente".
"Sì, invece! Ora torniamo di là e spediamo chiunque altro ma non te!".
Kim pestò i piedi per terra, furiosa, ma Jo scosse la testa con quella calma che la stava facendo impazzire. Kim quasi si dimenticò di parlare inglese, farfugliò due o tre parole in vietnamita, poi si raccapezzò e con il profondo desiderio di prenderla per il colletto della polo e scuoterla fino a farle male, si mise a piangere.
"Non me lo avresti nemmeno detto" disse, singhiozzando come una bambina, talmente disperata da pensare di poter far sentire in colpa Jo con quelle ingenue parole.
"Te ne saresti andata, così! Senza dir niente!" urlò, per poi indicare Diego, pallidissimo e nell'ombra alle spalle della ragazza bionda: "Avresti salutato lui e non me! Non me! Io non valgo niente per te!".
In quel momento odiava perfino lui.
Jo le si fece incontro, gli occhi lucidi, spaventata dalla sua reazione, ma questo non fu altro che benzina sul fuoco: Kim si ritrasse e continuò: "Ma tu mi avevi promesso che non avresti più fatto cose stupide! Sei una bugiarda! Una schifosa bugiarda!".
"Kim...".
"Bugiarda!".
"Kim!".
Più velocemente di quanto Kim si sarebbe mai potuta aspettare, Jozefien bruciò la distanza che le separava, spinse verso il basso i suoi piccoli pugni già serrati, afferrò saldamente il suo sottile viso ovale e, prima che l'altra potesse aggiungere altro, si abbassò su di lei.
Kim pensò che le avrebbe dato un pugno per farla stare zitta.
Invece Jo, dopo un secondo di incertezza, la baciò.
I suoi pensieri, in quel preciso istante, si azzerarono. Blackout completo. Rabbia e risentimento scomparvero, così come le lacrime. Diego. Il ponte di passeggiata. La Emerald. L'isola. L'oceano Atlantico.
Rimasero solo le labbra di Jozefien sulle sue. Una lacrima tiepida precipitata sotto il suo zigomo. Le mani sempre troppo calde sul suo volto.
Kim dimenticò di respirare. Scordò perfino di avere gli occhi aperti, di possedere degli arti, di essere viva, fino a quando Jo non si staccò da lei, solo per posare la sua fronte contro la propria e a occhi chiusi sussurrare, tra le lacrime: "Non avrei saputo come dirti addio".
Kim non seppe cosa dire. Non esisteva una dimensione reale di quanto appena successo: era successo e basta, senza che Kim capisse perché. Rimase a fissare Jo come se non la riconoscesse, senza riuscire a distogliere la mente dal suo ricordo, senza riuscire a distogliere gli occhi da quelli azzurri di Jozefien.
La ragazza fece scivolare le mani sul collo di Kim, per abbracciare a coppa il suo viso. Aggiunse: "Siete la mia famiglia. Tu sei la mia famiglia. È così che funziona".
"No" miagolò a fatica Kim, ma Jo annuì e questa volta le fece un sorriso dolce, intenerito, innamorato.
"Sì invece. Proteggo ciò che amo. Tutto qui".
Senza aggiungere altro, sollevò il volto e le diede un bacio in fronte, uno di quei suoi piccoli baci che aveva cominciato a darle quando si erano ritrovate, dopodiché si staccò, fece un passo indietro, sorridendo tra i lucciconi, e piegò la testa in quel suo modo sciocco e amabile. Kim rimase immobile, preda della più nera e confusa disperazione, afasica e priva di forze. Desiderò morire quando Jo mormorò: "Ne parliamo quando torno".
Non le rivolse un altro sguardo: le diede le spalle, tornò da Diego e gli fece una carezza. Gli sussurrò qualcosa, il ragazzo annuì timidamente e poi lei si volse verso il motoscafo. Mise il piede sulla scaletta. Un altro. Ed eccola seduta. Fece un gesto d'assenso a Diego e lui mosse due passi verso il piccolo pannello di controllo che regolava il verricello.
Kim rimase lì, sospesa in una bolla di orripilata incredulità, la mente ancora rivolta al bacio, intenta in uno stolido tentativo di analisi dell'accaduto.
Non sapeva cosa fare. Cosa pensare. Cosa dire. Non poteva essere successo davvero. Niente di quello che stava vivendo poteva essere reale.
Il rumore sibilante del motore dell'argano sembrò permettere al tempo di tornare a scorrere. Jo sciolse le funi che tenevano la barca unita al ponte, mentre il verricello entrava in funzione e il motoscafo cominciava a essere calato.
Una grande, totalizzante paura colse di sorpresa Kim. Il ricordo del bacio sbiadì. Nella sua mente pulsava solo un allarme di pericolo.
Senza controllare in modo senziente le sue gambe, mosse un passo, poi un altro, un altro ancora, fino a trasformare quella camminata in una corsetta claudicante.
Raggiunse Diego e lui fu colto di sorpresa dallo spintone con cui Kim lo allontanò dalla leva che teneva abbassata. Il motoscafo ebbe un moto d'arresto che fece sfuggire un'esclamazione di sorpresa a Jo.
Kim fissò con occhi ardenti lo spaventato ragazzo e con voce bassa ma a lettere molto chiare, disse solo una cosa.
"Fammi salire".
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