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29: nel quale cala il sipario su una scena di mercato

"Chi è il prossimo?".

Quella domanda risuonò nell'immoto silenzio del ponte, rimbalzò contro ogni singola goccia d'acqua sospesa nell'aria e creò una sorta di eco di ritorno che fece accapponare la pelle. Eppure Kim la trovava sciocca, senza senso, addirittura buffa: era una frase da film, non da vita reale. Si sarebbe aspettata di udirla al cinema e non per bocca di un uomo vero. Un uomo che si era appena liberato di una persona viva nello stesso modo in cui probabilmente avrebbe lasciato cadere un mozzicone di sigaretta tra le onde. Il pensiero di Kim corse a immaginare la caduta di Audrey: era stato doloroso? Era accaduto come si raccontava e cioè che l'acqua aveva avuto la consistenza di una lastra di ferro oppure l'oceano si era proteso verso la ragazza e l'aveva accolta tra le sue gelide braccia, con quella possessività che solo il mare aveva? Kim, in preda alla debolezza, al dolore e allo shock di quello che aveva vissuto, ancora distesa tra le braccia di Jo, prese a ragionare sulle similitudini che accumunavano l'Atlantico a un amante geloso.

Intanto nessuno rispondeva alla provocazione del signor Fischer. Tutti lo fissavano ammutoliti, senza aver avuto il tempo di realizzare quello che era successo. Solo i singhiozzi di Anaïs rompevano ritmicamente quel silenzio.

"Cosa vorrebbe sentirsi dire?".

Era stata Siva a parlare. Siva, che teneva stretta a sé come una minuscola scimmietta On e fissava l'uomo ansante con sguardo d'acciaio. A Kim parve una tigre, algida e orgogliosa, pronta a battersi.

Il signor Fischer accennò un sogghigno che non aveva nulla di allegro. Il suo era un digrignar di denti. "Me lo dica lei".

"Non stiamo giocando, signor Fischer".

"Allora si faccia avanti e spieghi cosa nasconde".

L'attenzione di tutti si focalizzò su di lei e Siva capì, probabilmente, di essere stata messa alle strette. Kim lo comprese dal modo in cui aveva contratto la mandibola e sporto il mento, fulminando il signor Fischer con lo sguardo.

Nessuno si aspettava che sarebbe stata attaccata anche da un altro fronte.

"Ha ragione, Siva" affermò Esteban, gli occhi scuri e la fronte aggrottata mentre abbracciava Anaïs. "Ci devi delle spiegazioni".

"Spiegazioni" sibilò lei, voltandosi di scatto a guardarlo, come se le avesse appena morso la coda, una tigre aggredita da un branco di sciacalli. "State cercando un capro espiatorio? È questo che state facendo?".

"La bambina ha indicato lei" ricordò il signor Fischer, accennando a On. "E lei sa perché, signora. Lo sa eccome".

"Non è nulla che possa interessarvi".

"E invece io penso che lo sia". Il tecnico fece un minaccioso passo verso di lei e con voce fredda e indifferente aggiunse: "Forse non le è chiaro: per sopravvivere farei qualsiasi cosa. Non pensi che il bel faccino della sua ragazzina o le sue rughe possano convincermi a lasciar perdere. Perciò, se non vuole che lei – indicò per la seconda volta On – faccia direttamente la fine della pazza di poco prima...".

Nessuno avrebbe mai creduto che il signor Fischer fosse in vena di bluffare: men che meno gli anziani del gruppo.

"Diglielo, Siva" ingiunse stancamente Isidro. "Non metterla in pericolo".

"Sentito?" rincarò il signor Fischer. "Non la metta in pericolo".

Siva lanciò uno sguardo al suo vecchio amico, un'occhiata che Kim trovò indecifrabile, ma fu come se la tigre si fosse trovata in un'imboscata. Forse era risentimento, forse uno stupito rincrescimento. Fatto sta che dopo pochi istanti, Siva si arrese.

"On non dovrebbe essere qui. Su questa nave" disse a bassa voce, cercando di mantenersi calma.

"E perché?".

"Forza, Siva" insistette Sid. "Non ha senso nasconderlo ancora".

"Non ha ancora diciotto anni" sbottò la donna, senza ulteriori preamboli. Per un istante tutti rimasero al loro posto, cercando di capire come quell'informazione potesse risultare utile. Subito dopo la verità di quelle parole si materializzò in tutte le sue possibili e funesta conseguenze.

"È minorenne?" domandò Esteban, senza nascondere la sua sorpresa. "Come minorenne?".

"Come ha fatto a imbarcarsi?" chiese all'improvviso il signor Cornelis, la faccia contratta in un'espressione di mortificata sofferenza. Aveva piagnucolato fino a quel momento, Florian Cornelis. Aveva pianto stritolando tra le dita una foto stropicciata che si era appena infilato nel taschino della camicia. "La compagnia ha leggi molto chiare riguardo il lavoro minorile...". 

"Verranno a prenderla, allora" tagliò corto il signor Fischer.

"È un'idiozia! Come pensate che questi spiriti possano sapere che ha meno di diciotto anni? È...".

"Non importa come e perché. È una bambina e quegli altri la vogliono per portarla con loro. Dobbiamo liberarcene".

Lo scatto di Sivashangari fu immediato, brusco e in un certo senso perfino violento: spinse dietro di sé On e le si parò davanti, una piccola donna dalla pelle scura e i capelli venati d'argento emanante la più grande e disperata forza di volontà che Kim avesse mai avuto l'onore di osservare.

"Dovrà prima buttare fuori bordo me" gli disse, fronteggiandolo. Diede uno sguardo a ognuno di loro. "Tutti quanti dovrete farlo. Io non lascio On".

Il signor Fischer fece per dire qualcosa, ma Jozefien lo interruppe.

"Non vogliono lei più di quanto non vogliano tutti noi" affermò decisa e, prima che Kim potesse rendersene conto, si era staccata da lei, alzandosi per immischiarsi nella piccola baruffa. Senza più il suo appoggio, Kim perse l'equilibrio e si ritrovò accasciata sul gomito destro, il suo corpo scosso da tremori. La gamba fasciata generò una scarica di pura sofferenza quando tentò di muoverla. Per un attimo vide tutto nero e la sua testa, già sconvolta, iniziò a dare una lettura personale della realtà. Vide Jo traballante – ma lo era davvero? – avanzare verso Siva, per fare muro con lei. Notò Bruno avvicinarsi a On, che si era tappata la bocca per non singhiozzare terrorizzata, e prenderla per mano.

On. On le ricordava qualcosa. Qualcosa di piccolo e tenero. Una piccola e spugnosa Bánh bò di riso. Una nuvola bianca trascinata sul mare. Un pulcino giallo e pigolante in una cesta da mercato.

Il signor Fischer stava dicendo qualcosa, ma Kim ora faceva fatica a sentire, come se il dolore le avesse tappato le orecchie. Vide che anche altre persone – Diego, poi Sergio, poi Rex – si erano unite alla discussione, dalla parte di Siva. Sentiva le loro voci come se fossero stati tutti sott'acqua, ed era una sensazione così strana che Kim iniziò ad avere sonno.

"Non cambierà nulla, con lei o senza di lei!".

"Questa ragazzina non doveva essere qui".

Perché On il pulcino si trovava sulla nave? Perché era stato messo in una cesta da mercato? Riuscì a immaginarsi quella piccola creaturina spaurita, venduta per poche monete, al banco della carne. Giovane! Di ottima qualità! Di anni non ne doveva avere nemmeno sedici, questo all'improvviso le fu chiaro, in un guizzo di lucidità. Sembrava giovane perché lo era. Era piccola, un piccolo anatroccolo cresciuto prima del tempo. Non sarebbe stato né il primo né l'ultimo al mondo, solo l'ennesimo. L'ennesima bambina privata di una dignità.

Kim rammentò quello che aveva pensato poco tempo prima dell'esplosione: On parlava davvero male l'inglese, chissà come aveva passato le selezioni.

Forse per lei non c'era stata alcuna selezione. Forse era semplicemente stata acquistata. Alla gente brava a far soldi non erano sempre piaciuti gli schiavi a basso costo? Cosa c'era di più scontato del figlio di una famiglia povera? Una famiglia di disperati che avevano bisogno di contante o, semplicemente, di liberarsi di una bocca da sfamare. Un pulcino giallo che aveva tanta fame.

"Non lo capite? Se la teniamo con noi sarà la nostra condanna!" stava urlando il signor Fischer. Le sue parole avevano attraversato la nebbia in cui la mente di Kim era immersa. "Dobbiamo lasciarla qui!".

La loro condanna. Kim avrebbe voluto dirgli che si erano condannati nell'esatto istante in cui non avevano mangiato la verde caramella che era stata loro offerta in dono. Non era quello che aveva detto anche Deirdre, che le caramelle sarebbero state il loro unico palliativo?

"Può anche ammazzarci tutti" rispose Siva. "Ma non verrà a capo di niente".

Certo che no. Il metodo più semplice sarebbe stato scegliere le caramelle. Vita-in-Morte era stata tanto gentile da concedere loro quell'ultimo regalo.

"Vita-in-morte" bisbigliò tra sé Kim, le palpebre socchiuse, nel disperato tentativo di non addormentarsi. "I bambini".

Perché quel vecchio e sadico spirito aveva scelto proprio i bambini? Perché non le donne o i giovani uomini o semplicemente a caso?

"Nessuno le torcerà un capello" aveva appena ringhiato Siva, rivolta a Fischer e a Esteban. "C'è un limite alla sopportazione".

Sopportazione. Che strana parola in uno strano contesto. La mente di Kim immaginò un piccolo paperotto giallo, il becco spalancato come a chiamare la mamma, stretto tra le dita tozze e sporche del venditore.

Sopportazione. Minorenne. Una bambina sfruttata.

All'improvviso la ragazza ebbe la folgorazione di un pensiero atrocemente verosimile. Vide il pulcino terrorizzato sbattere piccole alucce gialle che a ogni battito diventavano più ampie, bianche e potenti. Anche il becco dell'uccellino mutava, si allungava, zampe forti e una nobile testa si agitavano furiosamente per liberarsi dalla stretta del venditore, un'apertura alare ormai di due metri.

Una bambina sfruttata. Tanti bambini sfruttati. Tante ingiustizie. Capri espiatori dei capricci e dei desideri degli adulti, sempre, costantemente in loro balia. Non potevano decidere niente, sottostando come bamboline, pulcini e topolini alle decisioni degli altri, nel bene e nel male.

Deliziose prede per qualcosa più grande di loro.

"È... è lei" gridò Kim, o almeno le parve, perché nessun vero suono uscì dalla sua bocca. "È lei l'Albatros".

Sapeva che era d'importanza capitale saperlo, perché forse avrebbero potuto trovare una scappatoia a quella situazione, ma non ebbe il tempo di ripeterlo o di dirlo per la prima volta: mentre ancora tutti litigavano, tipici adulti incapaci di vedere oltre il proprio naso, piccole ombre nere si mossero nella nebbia. Kim ebbe a malapena il tempo di perdere i sensi, stroncata dalla paura e dalla sofferenza, prima che uno sciame di bambini calasse su tutti loro, fantasmi dagli occhi vuoti che un giorno erano stati sacrificati nel nome di qualcuno di cui non sapevano niente.

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