23: nel quale si aggiusta qualcuno e si diventa coraggiosi
Il ritorno di Jozefien in seno al gruppo destò le più svariate reazioni. Esteban, che aveva legato la bambina con un paio di fascette da elettricista fornite dal signor Fischer, divenne bianco come la cera, mentre Kerli, probabilmente resasi conto all'improvviso di non essersi affatto curata che tutti e quattro fossero giunti a destinazione, ingiallì dal senso di colpa. Il signor Cornelis si spaventò, Isidro si agitò e Natalia finalmente chiuse la bocca, troncando sul nascere l'ennesima lamentela.
Jo fu fatta sedere su una delle poltroncine del teatro – luogo in cui si erano ritirati in fretta e furia – e Siva, che mai fino a quel momento aveva espresso particolare dolcezza con lei, iniziò a medicare con cura le sue ferite, mentre On si sedeva ai suoi piedi, stringendosi alle gambe della ragazza.
Kim non aveva lasciato il suo fianco neanche per un secondo. Aveva sorretto Jo per tutto il tragitto con l'aiuto della laconica donna bionda e anche in quel momento la teneva per mano, notando con sgomento come sotto lo strato di sangue si nascondeva una trincea devastata. Il naso era rotto, una mezzaluna rossa segnava il punto in cui la cartilagine aveva ricevuto il colpo, l'anellino d'oro era scomparso, lasciandolo solo un piccolo buco sanguinolento; macchie violacee avevano iniziato a tessere un patchwork inquietante sulla trama di pelle chiara e le palpebre, gonfie e bluastre, non permettevano a Jo di mettere a fuoco alcunché.
"L'ha devastata" Kim udì Sergio sussurrarlo spaventato a Diego. Per un secondo fu preda del desiderio di avere uno scatto di rabbia nei confronti di quei commenti, ma subito si rese conto che era proprio quello che era successo: Byrd aveva devastato Jozefien. Certo: aveva tentato di ucciderla, come poteva essere altrimenti? L'avrebbe uccisa con le sue mani, a furia di botte e percosse. Senza alcuna umanità e senza alcun motivo. Come l'animale che era sempre stato.
"Sono irriconoscibile, vero?".
Kim tornò a concentrarsi su di lei e nella frazione di secondo che intercorse tra la domanda e il silenzio, notò che un incisivo era stato scheggiato.
"No. Sei sempre tu" le rispose Siva, scostandole il colletto della maglietta per controllare i segni delle dita che Byrd le aveva lasciato nel tentativo di strangolarla. "Sciocca e coraggiosa. Sempre tu".
Jo deglutì a fatica e quando parlò di nuovo, la sua voce tremò.
"Se non è morto?".
"Lo è" confermò subito Kim, stringendole delicatamente la mano che teneva tra le sue. "Ho visto la signora bionda ucciderlo. È morto".
"Ma se non lo è?" insistette Jo, mentre dai suoi occhi neri colavano due grosse lacrime.
"Lo uccideremo di nuovo" promise Siva, posandole una mano in viso per guardarla. "Tranquilla".
"Non può vivere di nuovo" interruppe la donna bionda con lo scaldacuore, comparendo alle spalle di Kim. Non aveva per nulla l'aspetto dell'assassina: i capelli erano tagliati in un grazioso caschetto ordinato, aveva la bocca a forma di cuoricino e un neo sopra il labbro superiore. Sembrava più una bambolina che un killer. "L'ho buttato fuori bordo. Se lo mangeranno i pesci".
"Delia" salutò a bassa voce Siva. Lei le fece un cenno, rapido e schietto, dopodiché fece per domandare qualcosa, ma venne interrotta da uno strillo all'ingresso del teatro.
"Delia! Stai bene!".
Kim ci mise più di un secondo ad associare la voce al volto di colui che aveva parlato, ma fu sicura di non star sognando quando Rex abbandonò le due borse della spesa che aveva con sé e corse ad abbracciare Delia, che diede l'impressione di rimanere rigida tra le sue braccia.
"Ciao" disse secca, senza però mascherare un sorriso. Rex sembrava invece sul punto di piangere, commosso e sollevato di vederla sana e salva.
"È del centro di bellezza" spiegò asciutta Siva, mentre lui la prendeva per mano e la accompagnava dagli altri.
Kim tornò a guardare Jo, che pareva essersi calmata. Non piangeva più e aveva chiuso gli occhi. Era esausta, aveva bisogno di dormire. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, prima di sussurrare: "Non sapevo che al centro estetico insegnassero a usare tanto bene i coltelli".
Siva alzò lo sguardo su di lei, in contemporanea con On, che stava accarezzando la mano libera di Jozefien. A Kim ricordava un gatto: stava sempre zitta, ma era presente nel momento del bisogno.
"Abbiamo avuto tutti una vita, prima di questa nave" rispose lentamente la donna Tamil. "E la Croazia è stata in guerra, negli anni della sua giovinezza".
Croazia. Allora non era russa. Kim non sapeva quasi nulla della storia d'Europa, se non quello che riguardava anche il Vietnam: le imprese coloniali, le guerre mondiali. Poco altro. Ma sapeva, dall'esperienza dei suoi nonni e dei suoi genitori, che la guerra poteva insegnarti molte cose, anche se eri un civile che temeva per la propria vita. Lo stava imparando anche a sue spese, ora, su quella nave. Lo aveva imparato mentre guardava Jo massacrata da un bastardo che lei non avrebbe saputo sconfiggere da sola.
Si disse che avrebbe dovuto girare armata, proprio come Delia. Non era una cattiva idea, dopotutto.
"Oh. Stavo dimenticando". No, Jo non si era addormentata. Si agitò di colpo, sfilò la mano dalla presa di Kim e trasse le piccole penne e le siringhe per l'insulina che avevano preso nella cabina dei signori De Mercy. Accennò un sorriso sbeccato e tese le piccole confezioni scricchiolanti a Siva. "Scusate il ritardo".
Sivashangari guardò sorpresa le piccole siringhe, poi sorrise. Kim non aveva mai visto sorridere quella donna e all'improvviso fu colta dalla rivelazione che in una vita precedente, molti anni prima, aveva dovuto essere bellissima. Le prese in mano e le consegnò a On, che senza alcuna indicazione si alzò e si allontanò, diretta dagli anziani signori francesi.
"Grazie, Jozefien. Abbiamo quasi finito" mormorò, tornando a medicare il suo labbro spaccato. Jo trattenne a stento una smorfia di dolore e Kim riprese la sua mano tra le proprie. Mentre lavorava, Siva si era piegata in avanti e il ciondolo della sua collanina era sfuggito dal colletto della sua camicia. Kim notò che era proprio un serpente. Un piccolo serpente d'oro, dagli occhi di giada. Era grazioso e lei si chiese se fosse un simbolo di buona fortuna, dato il grande amore dell'India per quei rettili privi di zampe.
Siva applicò un piccolo cerotto sul taglio che Byrd aveva aperto sul lato sinistro della bocca di Jo, poi rimase per un secondo in silenzio a fissarla. La ragazza aveva di nuovo chiuso gli occhi e questa volta sembrava essersi calmata per davvero. Kim la osservava sofferente, percorrendo con lo sguardo ogni singola ferita. Si domandò se un incisivo scheggiato avrebbe potuto essere messo a posto da un dentista e se il naso rotto le avrebbe dato problemi. Al pensiero che Jo si sarebbe sentita brutta davanti al suo riflesso nello specchio, un profondo senso di impotenza e di rabbia la colse impreparata. Sembrava passato così tanto tempo dal giorno in cui aveva giudicato i suoi occhi troppi grandi e il suo sorriso eccessivamente largo. Erano cambiate così tante cose.
"Lasciamola dormire" disse Sivashangari, facendo cenno a Kim di alzarsi. "Domani mattina sentirà dolore ovunque, ma è necessario che riposi".
"Cercherò degli antidolorifici. Non ne abbiamo trovati tra i medicinali dei signori De Mercy" mise in chiaro Kim, lasciando a malincuore la mano dell'amica e alzandosi, seguendo la donna. L'altra annuì, mentre On veniva subito loro incontro, portando una delle piccole confezioni di insulina.
"Come sta?" domandò con la sua delicata voce sottile, guardando Kim. Non si ricordava che le avesse mai rivolto direttamente la parola, perciò ci mise un secondo a rendersi conto che stava parlando con lei.
"Ora dorme".
"Starà bene?".
"Certo".
Non c'erano altre risposte da dare. Non c'erano insicurezze. Kim non dubitava che Jozefien si sarebbe ripresa al più presto. On la guardò con i suoi occhi a mandorla, meno sottili dei suoi, per poi fare un cenno di assenso con la testa. Subito dopo accennò un sorriso, che lasciò stranita Kim, e tornò al fianco di Siva.
Intanto il resto del gruppo si era riunito poco distante e una discussione più o meno accesa era in corso tra Esteban e il signor Cornelis. Kim notò che Audrey, Kerli e Anaïs sedevano tutte vicine, una più preoccupata dell'altra, così come Camila e Sergio. Delia era in piedi al fianco di Rex, che la teneva inspiegabilmente per mano. Si chiese se fossero una coppia, ma fu distratta dall'intervento di Isidro.
"È pericoloso. Florian ha ragione" disse autoritario, zittendo il giovane ballerino. "Non ti è bastato quello che è successo oggi? Vuoi che altra gente finisca come Jozefien? Ormai è notte! Se quella bambina può attirare i sonnambuli, quanto pensi che ci metterà a fare lo stesso con i demoni?".
"Stiamo perdendo tempo" criticò Esteban, facendo un ampio gesto alle sue spalle. Kim vi gettò uno sguardo e se ne pentì immediatamente: in un angolino poco illuminato, nascosta tra due poltroncine, era stata sistemata la bambina, opportunamente legata e imbavagliata. Nessuno aveva però coperto quei tremendi buchi neri che aveva al posto degli occhi e Kim se li sentì immediatamente addosso, carichi di un odio selvaggio e senza limiti. Distolse subito lo sguardo, tornando a guardare l'assemblea. Incrociò il viso di Anaïs e la vide guardare subito altrove, la pelle d'ebano diventata quasi grigia, impallidita. Doveva essere terrorizzata. Come darle torto.
"Non cambierà nulla" si intromise secca Siva. "Lo faremo domani mattina".
"Che cosa?" domandò Kim alla persona più vicina a lei, cioè Diego. Lui si voltò a guardarla, mantenendo le braccia incrociate e la faccia preoccupata.
"Tentare di comunicare con lei".
"Ah. E come hanno intenzione di farlo?".
"Con le buone o le cattive".
Non era granché come risposta, ma Kim immaginò che nemmeno lui ne sapesse a sufficienza, così lasciò perdere. Normalmente si sarebbe interessata alla discussione, avrebbe ascoltato attentamente e avrebbe tentato di aiutare, ma dopo quello che era accaduto con Jo, non aveva alcuna voglia di rendersi utile. Un velo di triste apatia era calato sulla sua testa e la mente tornava continuamente al ricordo disturbante della fiamma verde negli occhi di Sunday Byrd, al pugno con cui aveva abbattuto Jozefien e al rumore che qualcosa nel suo viso aveva prodotto, rompendosi. Non riusciva a perdonarsi di non essere stata in grado di difenderla. Byrd avrebbe ucciso prima lei, ma Jo si era messa in mezzo. Lei sì che l'aveva protetta, rimettendoci quasi la vita. E se non fosse stato per Delia...
"Kim".
La melodiosa voce della signora Eugenie riscosse Kim dal baratro dei propri sensi di colpa. I signori De Mercy erano seduti poco distanti dal gruppo. Avevano mangiato qualcosa e probabilmente aveva già sfruttato le tanto sudate pennette di insulina. Kim si avvicinò ostentando un sorriso e subito la signora continuò: "Grazie per averci portato queste".
"Di niente" rispose lei, sedendosi al suo fianco. All'improvviso fu colta da un profondo momento di debolezza e per un secondo vide tutto nero a causa della pressione. Forse l'adrenalina che le era scorsa nelle vene fino a pochi attimi aveva iniziato a essere smaltita. Male.
Eugenie le prese una mano tra le sue, piene di macchie dell'età, ma con graziose piccole unghie smaltate di rosso. "Ci dispiace per quello che è successo a Jozefien".
"Starà meglio" chiarì subito Kim, più a sé stessa che a loro. "Ora riposa".
Eugenie ed Erec annuirono e la ragazza si ricordò all'improvviso di quello che si era infilata in tasca prima di uscire dalla loro cabina. Pregò che non si fosse rovinata ed estrasse la letterina dei due figli della coppia.
"Mi dispiace" mormorò costernata, osservando le pieghe e la macchia color ruggine che aveva impregnato un angolino. "Non volevo rovinarla. Io... pensavo che sarebbe stata di conforto".
Eugenie sgranò gli occhi scuri dietro gli occhiali, accennò un sorriso e l'accettò dalle mani tremanti di Kim. Aprì il bigliettino e rilesse velocemente le belle parole che erano state dedicate a genitori molto amati, prima di tornare a guardare Kim.
"Grazie" disse, commossa. Erec tolse dalle mani della moglie la lettera, la chiuse e se la appoggiò in grembo. Abbozzò un sorriso e mormorò: "Non saranno affatto contenti di sapere in quale danno ci hanno cacciato".
"Erec" lo rimproverò subito la moglie. Il vecchio signore sghignazzò ed estrasse dalla sua scatoletta d'argento una nuova sigaretta. Ne offrì una anche a Kim, che declinò, dopodiché se la accese subito.
"Sessant'anni assieme si festeggiano una volta sola" decretò, aspirando il fumo, per poi rilasciarlo in un piccolo anello. "Purtroppo, nel nostro caso, non è andata benissimo. Però potremo dire di aver vissuto qualcosa di a dir poco incredibile".
"Ne usciremo" disse Kim, anche se non era sicura che potesse davvero succedere.
"Hanno speso così tanti soldi in questo viaggio" mormorò costernata la signora, probabilmente parlando dei figli. "Mi hanno detto che lo programmavano da mesi".
"Un risarcimento per la mancata luna di miele" aggiunse Erec, guardando la moglie, sorridendo con la sigaretta incastrata tra i denti. "Così hanno detto. Come se non ne avessimo fatti tanti, di viaggi, anche se non eravamo ricchi. No, Genie?".
C'era una certa amarezza nella voce del signor De Mercy e sua moglie se ne accorse, perché gli strinse la mano con cui non teneva la sigaretta e ne accarezzò il dorso macchiato con il pollice. Kim rimase a guardarli un po' incantata e un po' sfinita, chiedendosi com'era vivere per così tanti anni con una persona pur continuando a sopportarla e supportarla. La sua mente corse immediatamente di nuovo a Jo e al discorso che avevano fatto la sera della festa del crew, sul ponte di passeggiata. Ripensò a quello che le aveva detto sul suo ex ragazzo, sul fatto che era stato violento con lei. Probabilmente non era nemmeno la prima volta che Jozefien veniva picchiata: come poteva influire tutto questo sulla sua psiche? Era un incubo che tornava, ecco perché era così spaventata che Byrd non fosse morto.
Ma Sunday Byrd lo era. Morto e sepolto, sotto metri cubi d'acqua salata e nebbia. Non sarebbe tornato a minacciare l'incolumità di Jo. Nessun altro lo avrebbe fatto: avrebbero dovuto passare sul suo cadavere.
Kim si alzò, si congedò dai signori De Mercy ormai persi nei propri ricordi e andò a cercare Delia, per chiederle dove trovare una buona lama.
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