22: dove si tenta un depistaggio, ma non funziona un granché
Kim non aveva mai augurato la morte a nessuno: nell'educazione che le era stata impartita, influenzata fortemente dagli insegnamenti del Confucianesimo, i sentimenti come l'odio o il rancore erano considerati molto pericolosi e andavano soffocati con la ragione e la meditazione, per mantenere il mondo un luogo di pace e rispetto.
Però con Sunday Byrd, suo malgrado, avrebbe volentieri fatto un'eccezione.
Non aveva pensato molto a lui dopo tutto il parapiglia del giorno prima, ma se c'era una persona che avrebbe meritato, secondo lei, di finire in pasto al demone, quella era senza ombra di dubbio il signor Byrd. Tuttavia non era poi così sorpresa di vederlo in piedi, vivo, vegeto, anche se un po' pallido e con uno strano luccichio verdastro negli occhi: le bestie come lui non morivano mai.
"Non fate movimenti bruschi" sibilò Esteban, stringendo lentamente i polsi della bambina, che subito emise uno di quei suoi urletti. Kerli ebbe la prontezza di spirito di piantarle una mano sulla bocca – con il rischio di essere morsa – ma ormai era chiaro a tutti che il danno era bello che fatto.
"Cosa facciamo?" bisbigliò Jozefien, completamente nel panico. Kim non lo trovava di certo inspiegabile, dal momento che anche lei era paralizzata dall'orrore. Sunday non era stata una bella persona quando era cosciente, chissà che diavolo era divenuto mangiando una – una? Non era nemmeno certo che non si fosse divorato tutto lo scrigno – caramella verde.
"Prendiamo le scale" rispose Esteban, senza distogliere gli occhi da quelli di Byrd. "Ci muoviamo lentamente, senza dargli le spalle e...".
Le parole gli morirono in gola quando dall'angolo da cui il capo dell'animazione era spuntato, comparve un altro energumeno e poi un altro, probabilmente sbucati dalle molte camere presenti sul ponte. Kim fu illuminata da un barbaglio improvviso di lucidità: chissà quante persone si nascondevano oltre le porte delle cabine del ponte Otto. Quanti sonnambuli poteva richiamare quella creatura che avevano catturato? E cosa poteva far fare loro?
"Andiamocene da qui" ringhiò a bassissima voce, dando l'esempio e muovendo un lento passo all'indietro. Gli altri tre non ebbero a ridire e fecero lo stesso, ma Byrd e i suoi due amici non avevano intenzione di seguire la politica del demone e non appena colei che li aveva richiamati iniziò a muoversi, loro fecero lo stesso. Dopo due passi, la loro camminata divenne una corsa.
"Veloce, veloce, veloce!" urlò Kerli, iniziando per prima a correre a rotta di collo verso le scale. Facendo due scalini alla volta Esteban, la fotografa e Jo distanziarono i tre, ma quando la ragazza si accorse che Kim non riusciva a starle dietro, l'afferrò per mano, quasi sollevandola. Kim non sapeva evitare di lanciare alle sue spalle occhiate terrorizzate. Aveva avuto paura con il mostro, ma essere inseguiti da Byrd non era meno spaventoso. Non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se le avesse messo le mani addosso.
Avevano ormai raggiunto il sesto ponte, quello in cui si trovavano gli altri, quando Jozefien si rese probabilmente conto che sarebbe stata una follia. Prese per le spalle Kim e le diede una spinta in avanti, ansimando: "Nascondetevi da qualche parte. Fatela star zitta. Ci vediamo dopo".
"Cosa?" urlò Kim, ritrovandosi tra Kerli ed Esteban. Ma Jo non la stava più guardando. Si era fermata in cima alla rampa di scale che avevano appena finito di percorrere e lì rimase fino a quando Byrd e gli altri due sonnambuli non le furono a un tiro di scoppio. Dopodiché scattò di lato, nell'ennesimo corridoio, prendendo una strada diversa da quella degli altri. Fu subito chiaro, con la stessa intensità di una saetta nel mezzo di una notte nera, che l'intento di Jo era quello che distanziarli dalla bambina. Esteban e Kerli non se ne accorsero nemmeno, impegnati com'erano a correre, ma a Kim improvvisamente mancò il fiato. Si fermò, con il cuore a mille e il fiatone, congelata dall'orrore di quello che Jo aveva appena deciso di fare. Aveva visto scomparire i tre uomini dietro di lei. Probabilmente, non udendo più la voce della bambina, avevano semplicemente inseguito la preda. Kim non sapeva se Sunday avesse ancora un barlume di coscienza, ma se così era non vedeva l'ora di chiudere le sue mani su Jozefien. Non riuscì a tollerare quel pensiero: nessuno doveva toccarla. Nessuno doveva farle del male. Jo era quanto di più prezioso ci fosse su quella nave per lei e nessun fottuto Sunday Byrd avrebbe dovuto torcerle nemmeno un capello.
In preda a un delirio di coraggio, terrore e delirio di onnipotenza, Kim prese fiato e si buttò nella direzione che inseguita e inseguitori avevano preso. Non era difficile star loro dietro, per il rumore che i tre sonnambuli producevano correndo. Scese altre scale e percorse altri corridoi fino ad arrivare al ponte Quattro. Capì quasi subito che Jozefien li aveva portati lì perché vi era il ponte di passeggiata. Probabilmente pensava che la nebbia li avrebbe confusi, facendo perdere loro le tracce.
Dopo un lungo respiro, uscì dalla porta spalancata e immediatamente il gelo umido della foschia le si posò sulla pelle, facendola rabbrividire. Era ancora giorno, anche se non riusciva a vedere a più di un paio di metri da sé, dove tutto diventava compatto, grigio, simile a bambagia. Si mosse lentamente, un passo dopo l'altro, tentando di rimanere attenta e pronta a scattare per qualsiasi scricchiolio. Cercava con gli occhi la figura di Jozefien. Avrebbe voluto urlare il suo nome tanta era la sua angoscia, ma temeva di farsi scoprire. Voleva solo trovarla e rimanere con lei. Si sarebbero nascoste da qualche parte, non era importante dove. Ma dovevano farlo assieme.
Vide passare dinnanzi a sé tutta la sua vita quando una mano l'afferrò e la trascinò per terra, mentre un'altra si premurava di tapparle la bocca per stroncare sul nascere un urlo terrorizzato. Pensò di essere sul baratro della morte per una manciata di centesimi di secondo, prima di rendersi conto che quelle mani erano grandi, morbide, ma soprattutto calde.
"Ma sei impazzita?" le sibilò Jo all'orecchio, stringendosela addosso, nascosta da uno dei teli che coprivano le grosse scialuppe di salvataggio alle sue spalle. "Perché mi hai seguito?".
"Non potevo lasciarti da sola" ribatté Kim, con un nodo alla gola per la felicità di aver realizzato il primo dei suoi propositi. Si voltò di qualche grado e incrociò gli occhi sinceramente stupiti della ragazza. Avrebbe voluto gettarle le braccia al collo, ma si trattenne, perché il pericolo non era ancora del tutto scampato.
"Ti hanno seguito qui fuori?" domandò subito, passando alle cose importanti.
"Sì. Mi hanno appena superato, sulla destra. Ora dobbiamo rientrare di corsa e sprangare la porta. Okay?".
"Okay".
Jo fece un ampio respiro con la bocca e per dissipare il nervosismo aggiustò la frangia di Kim, facendole poi un sorriso. "Perfetta. Andiamo".
Si misero in piedi, mantenendosi basse per nascondersi meglio nella nebbia, e non appena furono sicure di essere sole per almeno una decina di metri, filarono velocissime verso la porta rimasta socchiusa. La oltrepassarono quasi senza toccare terra e immediatamente la chiusero, facendo calare la robusta barra di ferro che evitava che il battente si aprisse durante le mareggiate. Subito dopo si guardarono e senza volerlo un lieve sorriso si tese sui loro visi.
"Ce l'abbiamo fatta" disse Kim, incredula che il trucco avesse funzionato e che si fossero liberati dei sonnambuli.
"Già. Pensavo che fosse un piano suicida. E invece...".
"Suicida? Pensavi di non uscirne viva?".
"Beh, non è la prima cosa a cui pensi quando...".
Un cigolio improvviso alle loro spalle le fece trasalire violentemente, ma prima che Kim potesse voltarsi a fronteggiare la minaccia, la terra sotto i suoi piedi venne improvvisamente a mancare e, come in un sogno, le parve per un attimo di volare. La dura realtà dei fatti venne a chiedere il proprio conto quando la superficie della parete di sinistra della piccola hall in cui si trovavano venne a impattare con la sua schiena. I suoi polmoni espulsero tutta l'aria che potevano contenere e un dolore atroce partito dal bacino come un treno in corsa le piantò un metaforico chiodo nel cervello, togliendole per un secondo la vista, come se un petardo le fosse appena scoppiato davanti agli occhi.
Ma l'unica cosa scoppiata lì dentro era la rabbia di Byrd. Era proprio davanti a lei, ansimante, con un po' di bava alla bocca come un cane idrofobo, i pugni ben serrati e un ringhio nascente in gola.
Byrd. Byrd non si era fatto fregare come gli altri due sonnambuli: non si era perso nella nebbia ma aveva teso loro un agguato. Kim riusciva a intravedere le sue ginocchia tra le scintille di sofferenza che correvano per tutta la sua spina dorsale. L'aveva afferrata e l'aveva sbattuta contro il muro come una bambola di pezza e ora, lo sapeva, incombeva su di lei, pronto a continuare. Nella sua testa il sangue rullava come tamburi di guerra all'interno dei timpani e a malapena udì l'urlo di Jozefien.
"Giù le mani da lei, schifoso!".
La vide ergersi sopra Sunday, più alta di lui di quasi dieci centimetri, afferrarlo per le spalle e spingerlo via, nel tentativo di toglierlo di mezzo. Byrd, probabilmente preso di sprovvista per l'improvvisa interruzione, fece un paio di passi indietro e Jozefien si mise tra Kim e lui. Non aveva però previsto che anche quel briciolo di umanità che il signor Byrd aveva posseduto in vita – cosa davvero di qualità pessima, probabilmente eredità di una famiglia che di altruista aveva avuto ben poco – era andato totalmente estinguendosi con la sua metamorfosi a sonnambulo.
Lui si limitò ad accennare un sorriso. Un sorriso che non aveva nulla di allegro, divertito o sarcastico. Era solo un gesto istintivo, come quello che fanno i lupi mostrando i denti. Dopodiché alzò un braccio, chiuse la mano a pugno e prima che Jozefien si potesse rendere conto di cosa stava per succedere, le sue nocche si abbatterono in pieno sul suo zigomo destro.
Il colpo fu così forte che risuonò per tutta la hall, togliendo il fiato a Kim. Il viso di Jo si girò verso sinistra e la forza del pugno le fece perdere l'equilibrio. Cadde su un ginocchio, annichilita dal dolore e dalla sorpresa, ma subito dopo si ritrovò a terra a causa di un calcio che la fece piegare in avanti con la sola emissione di un singhiozzo.
"Jo! Jo!" gemette Kim, cercando di rimettersi in piedi per fermare quell'orrore. Sunday la ignorò e si mise a cavalcioni della ragazza. Le afferrò il viso con una mano e con la destra sferrò un altro cazzotto e poi un altro. Jozefien tentò di coprirsi il viso con un braccio, la bocca spalancata nel tentativo di gridare, ma un pugno sferrato con precisione sui denti le fece passare la voglia di farlo. Kim udì il rumore di qualcosa che si rompeva e trovò la forza di contrastare il dolore con la volontà: si gettò verso Sunday e si appese al braccio con cui stava per colpire nuovamente il viso ormai insanguinato di Jozefien, ma lui non parve nemmeno accorgersi di lei, perché se la scrollò di dosso senza esprimere emozioni e, quando non vi riuscì, utilizzò quella mano per prendere Jo per i capelli, mentre con l'altra le afferrava il collo.
"Lasciala! Lasciala, bastardo!" urlò Kim, isterica, cercando di scuoterlo e strattonandolo. "Lascia! Lascia, bastardo!".
Gli occhi di Byrd non la vedevano: il suo sguardo era concentrato sul volto di Jozefien, che aveva iniziato a boccheggiare e stava diventando cianotica. Kim lasciò il braccio dell'uomo e tentò di colpirlo in faccia, ma più cercava di staccarlo da lei, più lui stringeva la presa. Le gambe di Jo, che fino a quel momento aveva scalciato nel disperato tentativo di toglierselo di dosso, tremarono e si afflosciarono lentamente.
"Aiuto!" gridò Kim, con tono di voce straziante. Al diavolo il farsi scoprire e mangiare dal demone! Al diavolo qualsiasi cosa! "Aiuto!".
Impazzita dalla disperazione e dalla rabbia, morse il braccio di Sunday e lui finalmente la guardò. I suoi occhi erano vuoti, opachi come quelli di un uomo con la cataratta, ma dentro di essi brillava una piccola luce verde. Kim lo fissò paralizzata per un istante, pronta ad affrontare il suo destino ma, poi, udì un rumore bizzarro, come di un vaso di terra colpito da una freccia. Un suono prima di qualcosa che crocchia, subito seguito dal morbido fruscio di una sostanza molle tagliata a metà. Era un suono fuori luogo, certamente, e ancora più fuori luogo fu lo scintillio di una punta di metallo grigio che spuntò, come un grosso brufolo, dal centro della fronte di Sunday, spruzzando il viso di Kim di qualche goccia di sangue frammista a materia grigia.
Kim rimase a fissarlo così, senza parlare, con la bocca lievemente spalancata come gli occhi, tremante, incredula e terrorizzata. Un momento di stallo in cui perfino Byrd sembrò sorpreso dalla piega presa dagli eventi, ovverosia dal coltello da cucina che gli era stato piantato in testa e che gli aveva spaccato a metà il cervello, uscendo come la gemma di un fiore dalla sua corteccia frontale, mettendo fine alle poche sinapsi nervose ancora funzionanti. Scivolò su un lato molto lentamente, come se si stesse addormentando e, una volta toccato il pavimento, non si mosse più, in una posa di grottesco abbandono da marionetta, mentre sotto di lui iniziava a formarsi una piccola pozza di sangue scuro.
"Ragazza, stai bene?" domandò con un pesante accento slavo la donna bionda fautrice di quel gesto fatale. Doveva avere circa quarant'anni, era bassa e indossava una divisa verde scuro, composta da uno scaldacuore e pantaloni. Kim non l'aveva vista correre verso di loro e non sapeva nemmeno chi fosse. Non l'aveva mai incontrata in vita sua ma, in ogni caso, provò un'immensa riconoscenza verso di lei.
Allora Kerli aveva ragione, si limitò a pensare. Annuì, con una sensazione incipiente di depersonalizzazione in corso, poi si voltò di scatto verso Jozefien, tornando di colpo alla realtà.
"Jo..." bisbigliò, terrorizzata. Il viso dell'amica era una maschera di sangue e respirava a fatica. Kim si piegò su di lei, le prese la testa tra le mani e gliela alzò un poco, cercando di aiutarla a respirare, avida d'aria come sembrava.
"Va tutto bene" sussurrò, togliendole dagli occhi ciocche bionde impiastricciate di sangue. "È morto. È morto, Jo".
La donna sembrò voler confermare quanto detto dando un calcio ben assestato al cadavere di Sunday, togliendolo una volta per tutte dalle gambe di Jozefien, che parve riprendersi quel tanto che bastava per lanciargli uno sguardo terrorizzato. Si appese con entrambe le mani alle braccia di Kim e la guardò negli occhi. Kim non si sarebbe mai dimenticata quell'occhiata e tutto ciò che vi era contenuto. Dopo, Jozefien si mise a piangere in larghi singhiozzi, per il dolore e il sollievo di essere viva, nonostante tutto. Kim strinse la sua testa contro il proprio petto e mentre la cullava, si mise a pulire con il bordo della sua maglietta il sangue che le ricopriva il volto.
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