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21: dove una vecchia conoscenza si rifà viva

Disserrarono le porte trattenendo il fiato, con il cuore sospeso nel limbo evocato dal terrore di trovarsi muso a muso con il demone, rimasto ad attendere pazientemente, come un vero cacciatore, che le sue facili e ingenue prede aprissero da sole la scatoletta in cui si era rinchiuse. Kim, Jo e tutti gli altri, escluso il signor Cornelis, erano appostati nella galleria, nascosti tra le poltroncine o dietro le colonne, gli occhi puntati sui battenti, in attesa del leggero soffio e del cigolio che avrebbero decretato la loro apertura. Kim si chiese se fosse normale provare una sensazione simile al dolore in momenti di tensione così intensi. Le era già successo in passato, quando era una ragazzina convinta che il male più terribile che potesse capitarle nella vita fosse un'insufficienza in matematica, e mai quella sofferenza fisica era risultata essere tanto forte. Ora, mentre aspettava l'apertura della porta, aveva gli occhi in fiamme, un dolore pulsante a livello dello sterno e un formicolio diffuso in tutti gli arti. Aveva letto da qualche parte che era ancora una volta l'adrenalina a causare tutti quei sintomi, per preparare il corpo a reagire alle evenienze. Avrebbe preferito di gran lunga che le proprie ghiandole surrenali rispettassero il suo desiderio di rimanere calma, come tentava di fare il suo cervello. Era tutto ciò di cui necessitava in un frangente del genere.

All'improvviso si udì il leggerissimo sibilo e, subito dopo, lo scricchiolio della serratura. Kim udì qualcuno trattenere il fiato rumorosamente, ma la porta rimase dov'era: non venne divelta, non venne accartocciata, nemmeno aperta. Forse il loro ragionamento era corretto e avevano fatto bene ad attendere il mezzogiorno, prima di tentare l'impresa. Dopo pochi secondi, una figura si staccò dal gruppo e si avvicinò rapida e guardinga alla porta: era stato Bruno a proporsi come sentinella, dopo essersi classificato come l'uomo più in forma e più veloce tra tutti i presenti. Era un onere da eroe, ma il ragazzo, dopo una poca dignitosa caduta di stile dovuta a quei maledetti bambini che tanto gli ricordava gli spiriti del folklore, ci aveva dormito su e aveva deciso di riprendere, per quanto possibile, il controllo sulla propria vita. Con una mano che tentava di trattenere il tremore, socchiuse la porta di uno spiraglio e dopo un secondo di esitazione diede una sbirciata che tenne il fiato di tutti in sospeso. Alla fine si ritirò, facendo un cenno di assenso.

"Non c'è nessuno" disse, ma Kim notò che aveva assunto uno strano colorito pallido. "Però non sarà facile uscire da qui".

"Perché?" inquisì Siva, uscendo dal proprio nascondiglio per dirigersi verso di lui, seguita cautamente da tutti gli altri.

"Non c'è un bello spettacolo".

Ognuno non poté fare a meno di avvedersene da solo, non appena Bruno spalancò una delle due porte. Il primo senso che venne colpito fu l'olfatto: c'era un odore ferroso e dolciastro nell'aria, frammisto a un bouquet di altre sostanze – uova marce, metano, acido cloridrico – che dava immediatamente il voltastomaco. A Kim ricordò la puzza del casotto in cui suo nonno teneva gli strumenti utilizzati per macellare gli animali e subito dopo si rese conto di quella associazione mentale: nel piccolo atrio davanti a loro si trovava un triste e macabro scenario. Il corpo della signora Monroe, riconoscibile grazie alla testa che, a differenza di quella del marito, era ancora intatta, stava esattamente nel punto in cui lei era scivolata. Il demone le aveva squarciato il petto, tuffandoci dentro la testa, e dalla maglietta stracciata si intravedeva, bianco come la cera, un piccolo seno staccato di netto e connesso alla proprietaria solo attraverso un sottile peduncolo di muscolo. Probabilmente il mostro non aveva trovato di suo gradimento la carne stoppacciosa della signora, almeno non tanto quanto quella del signor Monroe che, tra i due, aveva riportato i danni maggiori. La sua faccia era un fuoco d'artificio esploso, rosso e bianco, con i denti ben visibili, le orbite cave e un pezzo di cervello affacciato da una finestrella aperta nella fronte. Con orrore Kim si rese conto che ciò che si era immaginata udendo i rumori prodotti dalla bestia non si scostava di molto dalla realtà: la pancia di Bert Monroe sembrava esplosa e gli intestini erano srotolati in una lunga collana grigiastra sulla moquette della hall. Era da quelli che proveniva gran parte della puzza, anche se, così fece notare il signor Fischer, il fatto che lo stomaco fosse stato bucato e il liquido al suo interno fosse andato a mescolarsi e digerire gli altri organi formando un brodo disgustoso nella cassa toracica a mo' di scodella, di sicuro non aveva aiutato.

Diego si portò una mano alla bocca e corse a vomitare in un angolo, seguito a ruota da Audrey e Anaïs. Anche Kim avrebbe voluto farlo, ma non c'era niente nel suo stomaco da tirar su. Guardò Jo e vide che anche lei sembrava aver avuto lo stesso pensiero. Il signor Cornelis, cereo come mai prima di allora, fece un passo avanti, dando le spalle ai cadaveri.

"Bisogna fare due cose: trovare uno di quei bambini e recuperare beni di prima necessità".

"E come la mettiamo con il macellaio?" domandò Natalia, che non aveva fatto una piega di fronte a quello spettacolo, indicando gli ormai defunti signori Monroe.

"Quella bestia emana un odore molto forte" le rispose Isidro che si trovava al fianco di Siva. "Ci accorgeremo della sua presenza, nel caso si avvicini a noi".

"E se succederà, torneremo immediatamente qui" concluse il signor Cornelis. "Cosa che faremo in ogni caso, prima del calar della notte. Questo è il posto più sicuro".

Convinti tutti, chi più chi meno, si diressero a passi lenti e attenti verso l'Atrio degli Smeraldi, pronti a scattare per qualsiasi rumore o comparsa di fetore. Nel percorso si resero ben presto conto che il demone doveva aver avuto molta fame, dal momento che i signori Monroe non erano state le sue uniche vittime: trovarono un torso di donna abbandonato dopo una lunga stradina di sangue, qualche brandello di carne saldato a un paio di jeans e, una volta giunti nell'Atrio, il cadavere mezzo spolpato del giovane uomo con lo chignon a cui Jozefien aveva tirato uno schiaffo il giorno prima. Il mostro si era particolarmente accanito su di lui, tanto che la testa sembrava ormai unita alle estremità inferiori solo da una nuda e sanguinolenta colonna vertebrale. A Kim ricordò una carogna di gnu dopo il passaggio delle iene, come si vedeva sempre nei documentari sull'Africa. Questa volta a vomitare fu lei. Espulse un liquame giallastro dal gusto amarissimo, bile, che le lasciò in bocca il sapore dell'orrore e la mente in preda al panico. Furono le braccia di Jo a sostenerla mentre rigettava l'anima.

"Ecco, fatto" le disse alla fine, pulendole la bocca con un fazzoletto. "Ora va meglio".

Non era vero, ma fu felice di poter contare sul suo sostegno fisico, mentre riprendevano la spedizione, alla ricerca di un bambino. Kim ebbe il molesto presentimento che avrebbero fallito e, quasi un'ora più tardi e tre ponti dopo, questo si trasformò in una certezza.

"Scomparsi" affermò costernato il signor Cornelis, che aveva guidato la spedizione. "Com'è possibile?".

"Probabilmente anche loro escono di notte" chiosò Kerli, che aveva scattato non poche fotografie ai cadaveri incontrati per via. La sua spiegazione parve logica a tutti perciò, anche se con qualche dubbio, decisero di approfittare delle poche ore del dì per soddisfare i propri bisogni primari. Tornarono nelle cucine, dove Rex controllò le scorte presenti nei frigoriferi e fece incetta di tutto ciò che poteva sfruttare lontano da fonti di refrigerazione.

"Non c'è molto" disse nervoso. "La maggior parte del cibo è stoccato nelle celle frigorifere al ponte Zero".

Radunarono panini ormai raffermi, frutta di piccola taglia e una confezione sottovuoto contenente prosciutto. Nei frigoriferi c'erano carne, pesce e verdure che iniziavano a deteriorarsi, ma la paura di attirare qualcosa cucinando era troppa. Si decisero a mangiare in piedi quelle poche cose, facendo a turno per sfruttare la risorsa del bagno lì vicino. Kim si ripulì la bocca con una mela e scoprì quasi subito di avere ancora lo stomaco sconvolto. L'allontanò da sé, trattenendo il desiderio di vomitare di nuovo, e cercò di distrarsi osservando gli altri. Erano tutti intenti a consumare quel pasto frugale. Tutti, tranne Siva e i signori De Mercy. I tre, dopo un attimo di incertezza davanti alla frutta e al pane, si rivolsero a bassa voce al signor Cornelis, intento a stipare le scorte in una busta di plastica. Kim aguzzò le orecchie e sentì dire una parola, ripetuta più volte: insulina. Ci mise un secondo a capire, ma subito dopo ricordò che Sivashangari aveva parlato di diabete e non sarebbe stato strano che anche gli anziani signori avessero lo stesso problema.

I suoi sospetti furono confermati quando il signor Cornelis, dopo aver annuito gravemente un paio di volte, tossì richiamando l'attenzione di tutti.

"Abbiamo un problema di natura medica" spiegò con il suo solito modo formale. "I qui presenti signora Ram Kumar e signori De Mercy hanno bisogno di insulina per nutrirsi senza correre rischi".

"Sta al ponte Zero" comunicò subito Diego, nel tentativo di rendersi utile. "Dove c'è l'infermeria".

"Troppo lontano. I signori De Mercy abitano al ponte Otto. Propongono di andare lì".

Si trovarono tutti d'accordo sulla scelta di destinazione, ma il signor Fischer pensò fosse il momento di sollevare una critica. "Non ci andremo di certo tutti, vero?".

"Quella era l'idea".

"Il ponte Otto ha corridoi stretti. Ci sono solo cabine. Non sarebbe molto furbo incastrare tutti quanti lì. Se venissimo attaccati, saremmo condannati".

"Bastano un paio di persone" si trovò d'accordo Natalia.

"Va bene" si arrese il signor Cornelis, dopo aver chiesto ai signori De Mercy se avessero qualcosa in contrario. "Chi si offre volontario?".

Vi fu un attimo di silenzio drammatico, poi Jozefien fece un passo avanti, in contemporanea con Kerli. Kim ebbe un tuffo al cuore vedendo quella proposta così, senza starci molto a pensare, avanzò anche lei di un passo.

"Tre" affermò Florian, annuendo. "Bene. Se...".

"Vengo anche io" lo interruppe Esteban, probabilmente punto nell'orgoglio di ritrovarsi al sicuro quando tre giovani donne rischiavano la vita. Il capo della sicurezza annuì di nuovo e si fece consegnare dai signori De Mercy la tessera con cui aprire la loro cabina.

"Sono nel primo cassetto dell'armadio" spiegò a Kim la signora De Mercy. "I flaconi e gli aghi sterili".

Detto questo, i quattro non persero altro tempo e si avventurarono oltre le porte della cucina.

***

La camera dei signori De Mercy non era una suite, ma poco ci mancava. Era una delle poche camere con balcone che si trovavano a poppa. Durante la navigazione i due anziani avevano potuto salutare le città da cui la nave si allontanava e la scia di spuma candida sull'acqua azzurra, ma ora tutto ciò che le ampie finestre mostravano era un mare di nebbia dai bagliori verdastri. Kim lo osservava con un senso di stupefatta inquietudine, affascinata e allo stesso spaventata da ciò che aveva davanti. Era davvero nebbia? E quelle luci dove si sistemavano nello spaventoso quadro soprannaturale del loro futuro?

"Una cabina di lusso" commentò Esteban, intento a osservare una bella abat-jour a forma di arabesco color smeraldo. "Si trattano bene, i signori".

"È un viaggio per festeggiare le loro nozze di diamante" spiegò Kerli, sfiorando delicatamente i giornali di bordo e i biglietti indirizzati ai signori De Mercy dalla compagnia. "Sessant'anni assieme. Praticamente l'eternità".

Kim si avvicinò a Jozefien, che stava cercando nell'armadio le penne di insulina e un profumo intenso, un mix di colonia maschile e naftalina invase le sue narici. Le era sempre piaciuto lo strano odore con cui la sostanza anti-tarme impermeava ogni capo di vestiario: sapeva di antico, di rassicurante. Immaginò che i signori De Mercy ne avessero l'armadio di casa pieno e che fosse rimasto attaccato ai loro vestiti anche in valigia. Jo aprì il cassetto giusto e vi trovò dentro una confezione di flaconcini e uno di aghi, più altre pastiglie, di sicuro una farmacia portatile. Si mise tutto in tasca.

"Non si sa mai" disse. Kim annuì e allungò la mano a prendere il bigliettino che era rimasto nascosto fino a quel momento sotto le scatolette di medicinali. Era di carta pesante, color crema e portava la scritta, circondata da un grazioso decoro di fiori, delle congratulazioni di matrimonio. L'aprì, non riuscendo a contenersi dal dare un'occhiata, e scoprì una lunga letterina, vergata in grafia pulita ed elegante, dai due figli della coppia. Si chiamavano Béatrice e Damien ed erano i responsabili della presenza dei genitori sulla Emerald. Quello era il loro regalo per le loro nozze di diamante.

"Possiamo portare anche questa?" domandò Kim, mostrandola a Jo. "Potrebbe essere di conforto".

Jozefien le diede uno sguardo e poi accennò il sorriso, così Kim se la infilò in tasca.

"Siamo a posto" avvisarono, mentre Kerli ed Esteban erano passati a occhieggiare nel bagno.

"Grande. Tagliamo la corda" disse il ragazzo, mentre le altre tre lasciavano la cabina. Kerli fu la prima a mettere un piede nel corridoio e, infatti, fu da lei che provenì la bizzarra esclamazione di stupore in estone.

"Bingo" mormorò eccitata, ritirandosi immediatamente nella stanza e schiacciando i piedi a Esteban, mentre cercava di togliere rapidamente l'obiettivo alla fotocamera. "Ne ho visto uno".

Kim si irrigidì non appena comprese a cosa la fotografa si stesse riferendo, ma Jo fu più sveglia. "Dove?".

"Sì è appena infilato in una cabina, due o tre porte oltre questa. Mi sembrava una bambina".

"Dobbiamo intrappolarla".

Esteban si fece avanti, spostando Kim come se nemmeno l'avesse vista. Doveva avere un frullato letale di testosterone ed epinefrina in vena.

"Le blocchiamo la ritirata e la prendiamo" affermò sicuro di sé. Kerli fu subito d'accordo, ma Jo non sembrava convintissima di un piano così grezzo.

"E se si ribella?".

"È una bambina".

Kim ripensò al fatto che anche quella che aveva visto con Isidro era una bambina. Una bambina che era probabilmente stata in grado di richiamare un demone.

"Proviamo" propose Kerli. "Al massimo scappa".

Non c'era altro tempo per pensare o per discuterne: la cosa andava fatta. Con passo felpato tutti e quattro, Esteban in testa, uscirono nel corridoio illuminato e si incamminarono lentamente verso la porta indicata da Kerli. In effetti era socchiusa e al suo interno si udivano scricchiolii e sibili.

"Eccola lì" bisbigliò l'estone, indicando il bordo di una gonnellina bianco sporco con qualche strappo che si agitava nello spiraglio della porta. Esteban annuì e, guardando le altre, alzò una mano con tre dita tese. Ne abbassò una. Poi due.

Poi il battente si spalancò e la bambina si mostrò sotto le luci del corridoio. Per poco a Kim non scappò un urlo, ma Kerli e Esteban non furono così pronti di riflessi. Gridarono e anche quella piccola cosa ossuta emise una sorta di rauco lamento, spalancando una boccuccia secca, in un viso dalla pelle incartapecorita. Kim ci aveva visto giusto: non c'erano bulbi oculari nel volto di quella bambina di non più di nove anni. Si trovavano solo due nere cavità vuote su cui, in questo caso, ricadeva qualche ciocca spettinata color paglia, sfuggita dal fazzoletto rosso stinto che portava in testa. Indossava un piccolo corpetto marrone nascosto da un breve scialle dello stesso colore della gonna e sembrava uscita da un romanzo dell'Inghilterra dell'Ottocento.

Riuscì a pensare e a valutare tutto questo nel giro di dieci secondi, perché subito dopo Esteban si slanciò su di lei nonostante l'orrore e l'afferrò nel momento in cui la bambina tentava di sfuggire tra le loro gambe. Sul suo viso comparve una smorfia mentre tratteneva con una sola mano entrambi i suoi polsi.

"Presa! Cristo, è come tenere in mano un mucchio d'ossa" ringhiò, mentre la creaturina si dibatteva, sibilava e lanciava quei piccoli urletti.

"Dobbiamo farla star zitta" disse Kim, non sapendo perché si sentisse tanto inquietata. "Subito".

La bambina udì le sue parole e voltò la testa verso di lei. Kim si trovò inchiodata, trafitta da quelle nere cavità, da cui sembrava provenire uno sguardo fantasma, ma carico di odio. Si sentì mancare il fiato dalla rabbia che quella piccola cosa mostruosa esalava e le stava riversando addosso semplicemente guardandola – perché lo sapeva, lo sentiva, che con o senza occhi la bambina riusciva a vederla – ma non capì perché fino al momento in cui Jo emise un singhiozzo d'orrore e le afferrò una spalla con violenza. Kim si voltò a guardarla: prima vide il suo viso, divenuto bianco come latte, poi notò il movimento alle proprie spalle. Si girò e lo vide.

Si trovava all'inizio del corridoio, le mani chiuse in due pugni e gli occhi emananti bagliori verdi.

Sunday Byrd era tornato. 

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