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18: in cui si gioca a rimpiattino

La paura è un sentimento bizzarro: chi ha paura, chi è codardo, scappa sempre il più velocemente e lontano possibile da una minaccia. Eppure molto spesso accade il contrario: congelati dal terrore, non si riesce ad sbattere le palpebre, mentre gli arti si raffreddano, gli intestini si contraggono e il cuore tenta di sfondare lo sterno o fare un salto su, fino alla testa.

Era questa strana considerazione che si dipanò nella testa di Kim, quando fiutò per la prima volta il puzzo del metano. Era una riflessione fuori luogo, quasi buffa, ma rispecchiava perfettamente la situazione. Congelata lo era davvero, lì, con un piede ancora sulle scale e la mano mezza posata sul corrimano, lo sguardo piantato nella schiena di Isidro, attendendo qualcosa, qualsiasi cosa che le confermasse che era tutto a posto, che doveva solo darsi un pizzicotto e svegliarsi ansante e sudata nella sua cuccetta troppo calda.

Però poi Sid parlò.

"Lo senti anche tu, vero?".

"È metano".

"Il metano non ha odore".

Kim non aveva idea di che cosa Isidro stesse parlando, ma non ebbe tempo di rifletterci: un rumore improvviso, seguito da una zaffata ancora più acre, fece trasalire sia lei sia l'uomo. Le teste scattarono in direzione di uno degli ascensori interni del ponte, da cui provenne un altro boato. Sembrava che qualcuno stesse prendendo a martellate le porte dell'ascensore, sempre più forte.

"Kim" ordinò Isidro, con voce tranquilla e modulata, come se stesse semplicemente chiacchierando. "Scendi le scale. Velocemente".

Kim non se lo fece dire due volte: il contrasto tra le parole e il tono dell'uomo le fece rizzare i capelli. Qualunque cosa stesse succedendo, non sarebbe finita bene. Scese gli scalini, prima lentamente, poi sempre più veloce, senza voltarsi, aggrappandosi al corrimano. Solo quando notò con la coda dell'occhio che mancavano un paio di gradini, si girò e con un balzo atterrò nell'Atrio, dove qualcuno aveva già iniziato a svegliarsi. Alzò gli occhi e vide che anche Isidro la stava raggiungendo, mentre ancora teneva gli occhi fissi sulla porta dell'ascensore da cui, con grande orrore della ragazza, aveva iniziato a filtrare quello che sembrava fumo grigio.

"Cosa succede?" latrò il signor Cornelis, scattato in piedi ma ancora privo delle coordinate spaziali.

"Abbiamo rivisto uno di quei bambini" spiegò in fretta Kim. "E subito dopo...". Indicò l'ascensore al ponte superiore. Florian Cornelis le andò incontro, lanciò un'occhiata a Isidro e poi valutò in un secondo il problema. Da grigio divenne cereo.

"Dobbiamo andarcene da qui. Signorina Phan, mi aiuti a svegliare tutti".

Non ce ne fu alcun bisogno: mentre Kim correva al divanetto di Siva, presso cui solo Bruno aveva iniziato a riprendere conoscenza, la ritmica percussione dei battenti si trasformò in un cigolio di metallo piegato e accartocciato, come quello che si sente quando un'automobile viene rottamata. Nel silenzio immobile dell'Atrio, risuonò come la carica di un cingolato nel bel mezzo di una guerra.

Mentre le persone ancora addormentate si svegliavano violentemente, Kim voltò il viso verso ciò che rimaneva delle porte dell'ascensore e la paura distorse il tempo, lo rallentò, per fare in modo che ognuno assaporasse adeguatamente il suo aroma.

Dalla cupa voragine, incorniciata da due fisarmoniche di lamiera, si allungò un qualcosa di solido ma non ben definito, circondato da una nebbiolina fumosa che saturò l'aria con il puzzo che Kim legava al metano. La cosa aveva due muscolose zampe posteriori su cui mosse un passo in avanti e anche due anteriori che stentarono per un attimo a lasciare la porta squarciata. Sembrò guardarsi attorno per un secondo, la testa confusa in una nube di vapori, ma quando la voltò lentamente verso il gruppo di umani al ponte inferiore, Kim riuscì a notare un paio di piccole corna ritorte, un lungo muso di canide e ben più di un paio di piccoli occhi bianchi e lattiginosi.

Il terrore che le aveva avvelenato il sangue qualche minuto prima non era niente al confronto di quello che provò incrociando il suo sguardo. Era così che si sentivano gli animali braccati da un predatore, quando questi intercettava i loro occhi? Perché Kim in quel momento ebbe la stessa reazione che avrebbe avuto un topo di fronte a un coyote: rimase immobile pur provando il feroce e totalizzante desiderio di correre, correre senza voltarsi indietro, correre per la propria vita senza curarsi di niente e nessun altro.

Passarono alcuni secondi senza che il demone – non poteva essere altro che quello, si rifiutava di credere che al mondo esistesse una chimera simile – muovesse un solo muscolo, quasi un minuto di semplice stallo. Poi, all'improvviso, accadde una cosa: Camila si mise a urlare.

Forse non si era completamente svegliata prima, forse l'istinto del topo in lei aveva avuto una conseguenza diversa rispetto a Kim, non importa: aprì la bocca e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, spezzando la tregua tra loro e la creatura, che alzò il muso ed emise un latrato orribile, più simile alla risata di una iena che all'ululato di un lupo.

"Correte" sibilò Isidro, il più vicino alla scala. "Ora".

Kim mise un atto ciò che il suo istinto gridava da circa cinque minuti: diede le spalle a quel mostro uscito dalle viscere dell'Inferno e scattò come una centometrista nella direzione opposta. Così fecero anche tutti gli altri. Jozefien fu sufficientemente sveglia da afferrare Camila per un braccio, prima di iniziare a correre, e quasi le costò caro, perché il demone scavalcò la balaustra con un balzo e piombò nell'Atrio facendo tintinnare ogni singola lampada. Kim udì l'esclamazione di sorpresa dell'amica, si guardò indietro e urlò il suo nome, ma Jo agitò malamente un braccio per dirle di non fermarsi. Non potevano fermarsi: anche se il gruppo avanzava separato, scavalcando ostacoli ed evitando cadute fatali lungo il corridoio in uscita dall'Atrio, si stavano tutti dirigendo verso un'unica grande entrata: quella del Lord Byron, il ristorante di prua. I primi ad arrivarci furono Sergio e Diego, che si gettarono contro le ampie porte di noce, le spalancarono e le tennero aperte, una ciascuno, per permettere agli altri di passare.

"Dai, Jo!" urlò Diego, mentre anche i signori De Mercy, dimostrando una resistenza ammirevole, superavano la soglia col fiatone. Kim scalpitò assieme a loro fino a quando anche Jozefien non fu con lei, dopo uno scatto per distanziare la creatura mefitica, i cui passi pesanti risuonavano troppo vicini. I due ragazzi lasciarono di colpo le porte che si richiusero troppo lentamente e furono subito dietro il gruppo degli altri, che intanto era salito al secondo piano del salone, infilandosi in un anfratto poco illuminato sul lato posteriore del bel ristorante dall'aspetto di club inglese, con i pannelli di legno alle pareti, le teste di cervo appese sopra ogni ingresso e sedie in stile Chesterfield. Avevano tutti il fiatone, ma cercavano di trattenerlo, per non emettere alcun rumore che potesse aiutare quel mostro a identificare la loro posizione. Attesero perfettamente immobili per più di cinque minuti, quasi senza respirare. La bestia non li aveva seguiti.

"Bene" principiò il signor Cornelis, cercando ammirevolmente di mantenere la calma. "Le cose sembrano essersi complicate ulteriormente. Urge piano d'emergenza".

"Cosa diavolo era quella cosa?" sibilò Rex, grondando sudore.

"Sembrava un animale" propose Siva. "Una specie di iena. Su due zampe".

"Era un demone" asserì Kerli, che era divenuta pallida, dall'aspetto quasi spiritato.

"I demoni non esistono" si impuntò Natalia, che probabilmente dava contro alla sua nemesi solo per mantenersi sana di mente nelle proprie radicate abitudini.

"Era un cazzo di demone, Natalia".

"No, non lo era".

"Qualsiasi cosa fosse" le interruppe Jozefien che, nonostante lo scatto, sembrava quella meno affaticata, "Ci vuole come minimo sbranare. Quindi dobbiamo trovare un posto in cui nasconderci".

"La signorina Dreyer ha ragione" confermò il signor Cornelis.

"Non ci sono dei sotterranei in questa nave?" domandò la signora Monroe, dimostrando per l'ennesima volta la sua scarsa conoscenza della vita in mezzo al mare.

"Le pare?" la rimbeccò Natalia, prima che lo facesse Sivashangari.

Kim sapeva che si sarebbero messe tutte a battibeccare, così concentrò le sue attenzioni sul signor Cornelis, che era palesemente intento a riflettere.

"Com'è la situazione al ponte Zero, signor Fischer?" sussurrò a bassa voce, approfittando dell'occasionale disturbo creato dalla cameriera argentina. Il macchinista scosse la testa, stringendo le mascelle.

"Troppo pericoloso".

"Puzzava" aggiunse Isidro.

"Esatto".

Il capo della sicurezza non parve contento della risposta, ma pensò che fosse meglio pensare ad altro. Rimase per un istante con lo sguardo fisso verso una sedia di un caldo color marrone, pizzicandosi la radice del naso con due dita.

"Il teatro" disse alla fine. "Ha le porte stagne".

Sia Isidro sia il signor Fischer approvarono le parole dell'uomo e si alzarono subito in piedi. Sid richiamò l'attenzione degli altri agitando una mano e quando tutti lo guardarono, disse: "Il teatro The Globe è il posto vicino più sicuro. Ci andiamo subito".

"Dove si trova?".

Kim si ritrovò a domandarlo con stupore: quasi un mese di vita sulla Emerald e nemmeno un'idea di dove si trovasse una delle parti più importanti della nave, che si estendeva per ben tre ponti. Incredibile come il suo mondo si fosse terribilmente ristretto.

"Sull'altro lato dell'Atrio" rispose Bruno al posto del signore filippino.

"Lei ci sta dicendo che vuole di nuovo attraversare l'Atrio?" domandò il signor De Mercy, che aveva capito più o meno il discorso. "E cosa facciamo con quella cosa?".

"Non possiamo stare qui" rispose il signor Cornelis. "Ci verrà a prendere, appena capirà che le porte non sono stagne".

I signori De Mercy si guardarono e si strinsero silenziosamente la mano, mentre Camila si aggrappava al braccio di Jozefien e con voce rotta dal panico sussurrava: "Por favor, no. Por favor".

"Dobbiamo, Camila" rispose Jo, staccandola dal suo braccio per sistemarle i capelli e farla ragionare. "Correremo più veloce di lui. Non ti preoccupare".

Kim guardò quella ragazzina spagnola con una spruzzata di gelosia altamente fuori luogo, chiedendosi perché mai non si fosse affidata a uno dei ragazzi presenti nel gruppo, piuttosto che a Jozefien. Quasi le avesse letto nel pensiero, Sergio lasciò il fianco dell'amico Diego e mosse un paio di passi verso di lei. Le sfiorò il braccio e le bisbigliò qualcosa in spagnolo non appena lei lo guardò. Gli rispose subito, ma Kim non udì di cosa stessero parlando.

"Il piano è semplice" disse il signor Cornelis. "Usciamo da qui e rimaniamo su questo ponte. Il teatro ha anche un'entrata superiore".

"Il demone rimane al ponte sotto, vero?" domandò On, che fino a quel momento non aveva mai fatto sentire la propria voce. "Non ci segue, vero?".

Aveva le lacrime agli occhi e le sue mani tremavano. Siva se ne accorse e se la strinse contro, accarezzandole la spalla.

"Così dovrebbe" rispose Florian, seppur a malincuore per la mancanza di fiducia perfino da parte di sé stesso. "Usciremo da questo lato. È meglio se lo facciamo subito".

"Non potremmo usare un'esca?" domandò la signora Monroe. Tutti la guardarono, ma fu Kerli a domandare: "Un'esca?".

La donna annuì e i suoi piccoli occhi marroni caddero su On. La ragazza sbiancò e Siva divenne tutta rossa dalla rabbia, ma Isidro troncò il discorso con un secco no.

"Dobbiamo solo correre".

Tutti annuirono e anche la signora Monroe fu messa a tacere. Si mossero in silenzio verso il portone più vicino e lo aprirono con cautela. Fu Bruno a offrirsi come vedetta: mosse qualche cauto passo fuori, controllò come una buffa mangusta la situazione e poi diede il via libera agli altri, che uscirono in fila indiana, a coppie di due. Kim fu felice di poter stringere nuovamente la mano a Jozefien.

"Di qui" bisbigliò il signor Cornelis, prendendo il corridoio che, costeggiando il ristorante, tornava verso l'Atrio, sul ponte in cui era stata divelta la porta dell'ascensore. Kim non era mai stata brava a pregare, ma ci provò lo stesso, mentre tentavano di muoversi rapidi e allo stesso tempo silenziosi, con il rischio di finire dritti in bocca a quel demone. Pregò le divinità dei suoi nonni di darle una mano a uscire da quel guaio e chiese a Buddha, anche se nessuno nella sua famiglia era buddista, di concedere a tutti loro di arrivare almeno al teatro senza ulteriori inconvenienti. Domandò solo questo. Non le parve davvero una gran cosa, rispetto alla richiesta di guarigioni miracolose o di amore eterno.

Forse era vero che non fosse molto brava a pregare, perché quando arrivarono nella zona dell'ascensore incidentato, il tanfo di metano fu uno schiaffo in faccia per tutti. Kim pensò subito che l'odore fosse semplicemente rimasto bloccato nel vano dell'elevatore, ma la creatura era risalita dalla tromba e non c'era alcun abitacolo: era tutto nero e oscuro, esattamente come la presenza alle loro spalle. Fu un attimo: Kim lanciò uno sguardo oltre la propria spalla destra e lo vide lì, ritto sulle sue strane zampe posteriori, a una ventina di metri da loro, in attesa, mentre la foschia nera nascondeva i suoi veri lineamenti. Non ci fu bisogno d'altro: senza neanche sapere dove andare, Kim prese una decisione, quella di sopravvivere. Strinse la mano di Jo e immediatamente scattò in avanti, sperando che anche gli altri la seguissero senza fare domande. Ovviamente questo accadde con una frazione di secondo di ritardo, qualche urlo, un paio di imprecazioni. Il demone rimase fermo dov'era, quasi che stesse dando loro un vantaggio, ma poi si calò in avanti, appoggiò sul pavimento le zampe anteriori e si gettò all'inseguimento, latrando.

Kim non ricordava di aver mai avuto così tanta paura in vita sua. Ora da topo si era trasformata in volpe e quello che la inseguiva era un grosso, orrendo cane da caccia.

"Di qui!" urlò il signor Cornelis, gettandosi a rotta di collo su una piccola scalinata di una decina di scalini, che portava al caldo atrio d'ingresso del teatro. Non tutti si avvidero in tempo delle scale e fu proprio On a scivolare e aggrapparsi al corrimano. Fece per aprire la bocca per chiamare in aiuto Bruno, un passo più avanti di lei, ma la signora Monroe le tappò la bocca con una manata ben assestata, mentre la superava, senza alcuna pietà. Fortunatamente Rex chiudeva la fila, affaticato dai suoi chili di troppo, e raccolse la povera ragazza dolorante, gesticolando verso Siva che era tornata indietro con il panico in volto dopo averla persa.

"Ce l'ho, ce l'ho! Corri!".

L'entrata del teatro si palesò davanti ai loro occhi all'apice di una piccola salita. I più scattanti, Bruno, Diego e Sergio, corsero subito ad aprire le porte, ma questa volta quando la prima persona la superò, il demone era ormai loro addosso.

"Merda" imprecò Jo a denti stretti. "Non facciamo in tempo".

Non fu l'unica ad accorgersi del problema: anche al signor Fischer fu chiaro fin da subito. Si fermò per un secondo, si guardò attorno e poi, con lucidità estrema, si limitò a fare uno sgambetto proprio alla signora Monroe, che lo stava raggiungendo. La donna perse l'equilibrio, cadde, non riuscì a frenare il suo corpo e ruzzolò alla base delle scale dove prima aveva tentato di offrire in sacrificio al demone la piccola cameriera thailandese. Kim la udì urlare disumanamente mentre si gettava oltre la soglia del teatro, poi sentì la puzza della creatura e ancora oltre il grido del marito.

"Sarah! Oddio, Sarah!".

L'ultima visione che Kim ebbe dei signori Monroe fu il rubizzo signore inglese caracollare in direzione della moglie, le mani di sua moglie che gesticolavano nel vuoto e il muso aguzzo della bestia calare su di lei a denti – lunghi, sottili come spilli, un'infinità – scoperti.

Poi, le porte del teatro si chiusero. 

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