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16: dove compare una piccola mano

La spiegazione era stata semplice, immediata e funzionale. Kim era sottilmente orgogliosa di sé stessa, anche se c'era poco d'andar fieri in quel momento: aveva prodotto una correlazione scientifica che aveva tutti i termini giusti per divenire un'assunzione causa-effetto. Davvero incredibile, per una che nelle materie scientifiche non aveva mai brillato.

La sua tesi era stata enunciata in modo molto chiaro: erano comparse bizzarre caramelle verdi, bellissime e invitanti, in grandi vasi di vetro, scatoline e giare in tutta la nave. C'era d'aspettarsi che la stragrande maggioranza dei passeggeri le avesse notate e fosse stato preso dalla tentazione di assaggiarle. C'erano fior fior di studi scientifici che testimoniavano l'incapacità umana di dire di no a qualcosa di splendido e gratis, sicuramente. Dunque, moltissime persone si erano infilate in bocca almeno una di quelle perfette sferette color smeraldo. Per quanto riguardava l'equipaggio, beh, quella sicuramente era stata una parte più complessa: di sicuro pochi avevano osato rubare una caramellina messa lì apposta per gli ospiti, ma il problema era sicuramente stato evitato regalando a ciascuno dei lavoranti una caramella incartata, proprio com'era successo a Jozefien e a Kim.

Alla fine del discorso, per confermare a sé stessa e agli altri che la sua poteva essere non solo un'ipotesi ma addirittura la realtà dei fatti, aveva chiesto a ciascuno di loro se avessero mangiato una di quelle caramelle. La risposta che era giunta le aveva generato un moto d'orgoglio.

"Sì, anche io ho ricevuto una di quelle caramelle" aveva detto Sivashangari, con lo sguardo attento e consapevole. "Ma l'ho regalata. Non potevo mangiarla. Sono diabetica".

"Anche io l'ho regalata" aveva confermato Kerli, giocherellando con il bordo della propria camicia a quadri. "Pensavo sapesse di menta. E io odio le caramelle che sanno di dentifricio. L'ho data ad Alicia. A questo punto suppongo che lei non sia qui per questo motivo".

Anche gli altri confermarono che non avevano mangiato alcuna caramella: c'era chi l'aveva gettata via, chi aveva deciso di tenerla da parte per qualcuno di importante come aveva fatto Sergio per Eva, c'era chi, ancora, non l'aveva semplicemente vista, probabilmente perché il coinquilino se l'era aggiudicata per primo.

"Quell'idiota di Rodrigo" aveva commentato Bruno. "Ingordo come un porco".

Ora che avevano una spiegazione al problema, dovevano solo trovare una soluzione. Era questo quello che il signor Cornelis aveva detto. Ma la spiegazione del come non dava cenni sul perché, perciò nuovamente si erano riaperte dispute su ipotesi riguardanti un branco di terroristi, un'associazione di folli, si erano tirati in ballo perfino il governo e gli Stati Uniti, perché se qualcosa di soprannaturale avviene, di solito ci sono coinvolti gli USA, o almeno così aveva sostenuto Jozefien, anche se Kerli aveva tentato di difendere il suo punto di vista, affermando che al massimo quelli coinvolti potevano essere i russi, non di certo gli americani.

Si discuteva anche in quel momento, mentre Kim, soddisfatta di aver enunciato la propria tesi, si limitava a tradurre in francese la conversazione delle opposte fazioni alla coppia di signori francesi che, purtroppo, non conosceva altra lingua se non la propria. Nessuno sembrava essersi accorto di loro, seduti a un capo del tavolo, mano nella mano, silenziosi osservatori di quella mezza litigata. Gli altri passeggeri, ovverosia la ragazza spagnola e la coppia di inglesi, non facevano parte della discussione: Camila occhieggiava in giro, spaventata come On, mentre i signori Monroe parlottavano tra di loro a tratti, anche se per la maggior parte del tempo la signora se ne stava zitta con la bocca tesa in una netta riga orizzontale, che sembrava incisa nella sua faccia con un righello. A giudicare da come il suo sguardo non si posasse neanche per sbaglio sulle persone vestite da dipendenti del crew, ma fosse fisso sugli eleganti abiti del signor Cornelis, probabilmente avrebbe preferito ritrovarsi imbambolata da qualche parte come gli altri, intenta a fissare il vuoto e a perdere un filo di bava da un angolo della bocca. Incredibile.

A un certo punto, improvvisamente, mentre Natalia decideva di buttarsi nel discorso avviato dalla fotografa per darle contro, Rex sembrò perdere la pazienza. Non aveva detto molto fino a quel momento, ma l'ennesima discussione doveva aver messo a dura prova la sua pazienza.

"Che ore sono?" domandò a voce tanto alta da smorzare immediatamente ogni bisticcio. Tutti lo guardarono, ma fu solo il signor Cornelis a sollevare il braccio destro, spostare il polsino della camicia e osservare critico il quadrante del suo orologio d'acciaio.

"Le sedici e trenta" affermò professionale. I presenti si guardarono un po' sconcertati, increduli: era davvero passato così tanto tempo? Avevano discusso per ore senza rendersi conto della fame e della sete? All'improvviso i bisogni fisici primari tornarono a galla nelle menti e subito dopo negli stomaci di tutti.

"Sarà meglio recuperare le energie mangiando qualcosa" disse Rex, con decisione. "State diventando intrattabili e probabilmente è dovuto alla fame".

La logica elementare ma severa di quanto appena dichiarato non trovò smentite e tutti, senza ricevere un preciso ordine, si alzarono dalle poltroncine e dalle sedie del buffet in contemporanea. Kim, che era già in piedi a fianco di Jo, le sfiorò la mano e la guardò. Jozefien abbassò gli occhi su di lei e quando notò l'espressione terrea della ragazza, si aprì in un sorriso confortante.

"Hey, non è niente. Le cucine sono qui vicino. Dobbiamo solo scendere di un paio di piani e ci siamo".

Aveva ragione: Rex, divenuto pastore, portò a termine la transumanza dei diciassette compagni di sventura nel giro di quindici minuti. Il tempo di prendere l'ascensore in gruppi di nove, scendere al ponte Sei ed entrare nel regno segreto di cuochi e pasticceri: le cucine. Kim non era mai entrata in quel posto, non ne aveva il permesso. Solo gli addetti potevano permettersi di superarne le soglie, per motivi di ordine e igiene.

Igiene. Era proprio questa la prima parola che sorse nella testa di Kim, quando i suoi occhi si posarono sui lunghissimi banconi in acciaio inossidabile che fungevano anche da separatori per le diverse aree dell'enorme sala. Ogni cosa era bicromatica: i banconi, i frigoriferi e i fornelli erano grigi, i pavimenti, le piastrelle delle pareti, i piatti impilati sul bordo rialzato del mobilio e le lampade al neon, invece, erano bianchi. Non fu la sola a doversi schermare gli occhi, investita dal riflesso di tanta lucentezza. L'odore di disinfettante e di prodotti per la pulizia impregnava ancora l'aria: nessun cuoco aveva avuto il tempo, durante la notte in cui era accaduto il misterioso evento, di trovarsi nella zona, impegnato nel proprio lavoro. Solo sull'altro lato dell'enorme cucina, a più di trenta, quaranta metri da loro, un solitario e ritardatario lavapiatti fissava il vuoto con uno straccio in mano e un piatto rotto ai suoi piedi.

Tutti, tranne On e Camila, fecero finta di non averlo notato.

"Prendete gli sgabelli pieghevoli sotto i banconi" disse Rex. "Io cucino qualcosa. E, per favore, evitate di litigare prima che finisca".

***

Avendo già conosciuto Rex, Kim aveva fin da subito dubitato della veridicità di quel qualcosa. Ovviamente aveva ragione: il cuoco filippino, stressato dalla situazione assurda in cui si era ritrovato attore e dalle continue sterili chiacchiere degli altri, si spinse al limite. Nel giro di un'ora si ritrovarono sulla tavola improvvisata, mentre sedevano ai due lati di un bancone, una zuppiera piena di pasta e un vassoio carico di fettine di pollo passate in farina e limone.

"E se volete dopo preparo un dolce veloce" affermò, facendo le porzioni. Alcune persone, tra cui il signor Fischer e i signori Monroe, non si fecero ripetere due volte l'invito e iniziarono a mangiare, ma le due ragazze più giovani fissarono i propri piatti pieni senza sfiorarli. Kim afferrò una forchetta e si disse che doveva mangiare, se voleva mantenere il cervello sufficientemente attivo per capirci qualcosa in quell'enigma. Jo si infilò in bocca una forchettata di pasta senza stare più di tanto a pensarci. Forse era quello che doveva fare anche lei, in fondo.

"È tutto molto buono, Rex" disse Isidro, rompendo il silenzio che era calato su tutti loro a inizio pasto. "Davvero. Grazie".

"Non dovremmo mangiare qui, in realtà" osò dire il signor Cornelis.

"La situazione è quella che è" tagliò corto Siva. "Oggi possiamo fare tutto. Dubito che ci sarà qualcuno pronto a farci rapporto".

Nessuno rispose a quell'affermazione così terribilmente vera. Kim si sentì in colpa per il sentimento di euforia misto a terrore che l'aveva colta appena superate le soglie della cucina: non avrebbe dovuto essere contenta di trovarsi lì. Eppure non poteva esimersi da provare un isterico sentimento di libertà. Era la stessa emozione che aveva provato quando, a sei anni, aveva osato entrare nella camera da letto dei suoi nonni: sapeva perfettamente che quello non era il suo posto e che sarebbe stata punita se l'avessero scoperto, ma l'emozione era stata impagabile: le aveva fatto tremare le gambe, battere il cuore e agitare a tal punto da rischiare di urinarsi addosso. Pure in quel momento Kim avrebbe voluto andare in bagno e stringeva con forza le gambe, anche se non riusciva a pensare ad altro se non alla sua vescica gonfia. Era tutto così strano da apparire estraniante. Era come vivere nella sceneggiatura di un film e aveva la sensazione che prima o poi dei cameraman sarebbero saltati fuori e un regista bislacco avrebbe decretato la fine della scena. Quando sarebbe calato il loro sipario?

Kim si riscosse dai suoi pensieri quando Jo, sempre al suo fianco, si voltò dall'altro lato, distratta da qualcosa. Lanciò uno sguardo oltre le sue spalle e notò che Camila aveva attratto la sua attenzione sfiorandole il braccio.

"Io ero in vacanza con una mia amica" disse, con la voce vagamente tremante. "Si chiama Veronica. Stanotte non è tornata in cabina".

La domanda che trapelava da quelle parole apparentemente inutili fu palese anche a Kim. Forse era quello il chiodo fisso che aveva distolto la ragazza spagnola dalla discussione: era preoccupata per la sua amica. Come darle torto, visto l'andazzo?

"Non ti preoccupare, tesoro" rispose Jozefien, con il tono che Kim già conosceva così bene e che le causò un timido accenno di gelosia. "Sistemeremo tutto, in un modo o nell'altro. Sicuramente la compagnia tiene controllate le sue navi e le sembrerà parecchio strano che la sua ammiraglia sia scomparsa nel nulla".

"E la mia amica? Devo trovarla" insistette Camila. "Ho promesso a sua sorella di tenerla d'occhio".

"La troveremo. Se è ridotta così..." promise Jo. "Non potrà andare tanto lontano, non pensi?".

Camila stentò un sorriso e disse qualcosa d'altro, ma Kim se lo perse nel momento in cui il gentile signore francese la chiamò.

"Signorina Phan" disse, "Mia moglie avrebbe bisogno di andare in bagno, ma non sappiamo orientarci su questo ponte".

Kim scattò in piedi senza pensarci due volte e aiutò la signora a fare lo stesso.

"Grazie, cara. Sei davvero gentile" disse con un sorriso. I suoi denti erano troppo bianchi per essere i suoi, ma nel contesto sembravano naturali. La signora non era tutta rughe come il marito, al contrario: aveva un bel viso giovanile con capelli che dovevano essere stati neri a giudicare dalla carnagione e dall'accenno di colore delle sopracciglia. Kim non aveva di certo dimenticato l'elasticità che nascondeva sotto quegli abiti da nonna e gli occhiali spessi. Si era dimostrata una delle sue migliori allieve e quella che aveva continuato l'allenamento con maggior costanza. Era ammirevole.

"Posso chiederle come si chiama?" le domandò Kim, aprendo le porte della cucina e facendola passare per prima.

"Eugenie, cara. Tu se non sbaglio sei Kim".

"Esatto" sorrise lei.

"Mio marito si chiama Erec" aggiunse la signora. "Siamo i signori De Mercy".

Il corridoio oltre la porta di sicurezza che dava accesso alle zone del personale era illuminato. Tutta la nave sembrava essere accesa, nonostante fosse ferma. Kim non se ne intendeva di motori, batterie e generatori, ma sperava che tutto continuasse a rimanere acceso il tempo necessario affinché qualcuno della Crown si accorgesse del problema.

"Hey! Hey, aspettate!".

Kim e la signora Eugenie si voltarono nella direzione da cui erano venute e videro che Bruno stava correndo loro incontro. In mano aveva una sigaretta.

"Vi spiace se vi seguo? Esco a fumare".

"Vuoi fumare con la nebbia di fuori?" domandò Kim.

"Apro solo un poco la porta, promesso".

La ragazza sospirò, ma decise di non contraddirlo: forse era il modo del giovane di scaricare la tensione. Tutti avevano necessità di farlo.

Si fermò nei pressi del primo gabinetto che trovarono, mentre Bruno fece qualche altro metro, prese le scale e scese al ponte di passeggiata. Rimasta sola, Kim chiuse gli occhi, si appoggiò al muro a fianco dei servizi e notò che il cuore le batteva impazzito nel petto. Aveva paura, era inutile tentare di negarlo a sé stessa. Aveva paura e non aveva idea di cosa fare. Era stato bello capire che le caramelle c'entravano qualcosa con quel casino, ma non aveva saputo spiegare perché. Si lambiccava il cervello, eppure non riusciva a spiegarselo. Si posò una mano sullo stomaco e per un attimo, scossa da un brivido, strinse le gambe. La vescica le ricordò la propria esistenza e Kim si diede della stupida: si infilò nel bagno e poi subito in uno degli scompartimenti liberi. Mentre si occupava della questione, qualcuno bussò rapido alla porta, facendo sobbalzare sia lei sia la signora De Mercy, che nel frattempo si stava lavando le mani.

"Hey, ragazze" disse Bruno, con una voce strana, rotta dall'agitazione. "Penso di aver appena visto qualcosa di strano".

"Dove?" domandò Kim, che non ricordò minzione più breve e disperata, uscendo dal bagno con le mani appena sciacquate e già congelate. La faccia di Bruno la spaventò: era sbiancato.

"Sul ponte di passeggiata".

"E cos'hai visto?".

"Un bambino".

Kim guardò la signora Eugenie e tentò di mantenere la calma. Le disse di rimanere lì per un secondo, poi fece un cenno a Bruno. "Fammi vedere. Magari è un bambino spaventato che non ha risposto al nostro annuncio".

Il giovanotto annuì e le fece strada, accompagnandola ai ponti inferiori per uscire. Non appena Bruno aprì il portone, Kim si rese conto che era calato il buio e che la nebbia si era infittita. I suoi polmoni si riempirono immediatamente di quella foschia viscosa e fu con sforzo che non si mise a tossire. Si guardò attorno, prima a destra e poi a sinistra, ma non vide niente, anche se i fari esterni erano accesi. Non vedeva nemmeno la balaustra, a nemmeno due metri da lei.

"Bruno" sussurrò, anche se le sembrò una cosa stupida. "Qui non c'è nessuno".

"Ti giuro di sì" insistette lui, adottando lo stesso tono. Kim scosse lentamente la testa, preferendo pensare che il ragazzo brasiliano fosse stato suggestionato dalla paura per la nebbia, ma quando fece per richiudere il portone, notò un movimento con la coda dell'occhio, nel corridoio illuminato dietro di sé. Anche Bruno doveva averlo notato, perché si voltò di scatto. Nessuno dei due poté negare di aver intravisto una piccola manina infantile sparire oltre l'angolo.

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