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14: in cui cala la nebbia

Non appena varcarono la soglia del buffet i presenti si voltarono a guardarli in un unico movimento collettivo. Kim riconobbe quasi tutti: c'erano Sivashangari e On, Isidro, Rex e un uomo alto, segaligno, di circa cinquantacinque anni. Indossava una camicia bianca sopra pantaloni neri e il colorito cinereo accompagnato da marziali capelli brizzolati dava l'idea che fosse appena saltato fuori da una delle fotografie in bianco e nero che erano sparse lungo i bei corridoi della nave da crociera. Lo riconobbe dopo un attimo di confusione: era il responsabile della sicurezza, Kim l'aveva conosciuto durante l'esercitazione obbligatoria. Non l'aveva più visto da allora.

"Oddio grazie" disse Jo, sospirando sollevata. "Almeno voi siete a posto".

"Cos'è successo?" insistette Kim, a cui la risposta premeva più di tutto il resto. "È una specie di esercitazione? Stanno male? Cos'è successo?".

L'uomo grigio prese la parola dopo essersi schiarito la gola. "Non lo sappiamo. Non è mai accaduto e...".

Mentre l'uomo parlava di inutili chiarificazioni sul livello di sicurezza medio della nave, Kim osservò gli altri presenti. Seguì lo sguardo terrorizzato di On, che faceva saettare occhiate per tutta la sala e si rese conto che anche nel buffet c'erano quegli individui stranamente in trance, sia persi in mezzo a sedie, tavoli e poltroncine, sia impalati dietro il bancone. On era visibilmente terrorizzata: respirava velocemente con veloci movimenti ritmici e la sua pelle, normalmente giallastra, aveva assunto una tinta perlacea. Era seduta al fianco di Sivashangari e non c'erano dubbi sul fatto che le stesse tenendo la mano.

"Il punto è un altro, Florian: c'è qualcosa che funziona?".

Improvvisamente il cicaleccio formale del capo della sicurezza fu interrotto dalla pratica domanda di Isidro. L'anziano steward stava in piedi al fianco dell'amica, le mani arrovesciate sui fianchi e la schiena dritta come un fuso. Non dava segno di aver notato gli spiritati tutt'attorno. Era l'unico a non avere la paura nello sguardo: sembrava più che risoluto ad arrivare al punto della situazione il più velocemente possibile.

Il signor Florian Cornelis, Kim si ricordò improvvisamente il suo cognome, ritombolò nel disagio. Con due dita tentò di allargare il colletto della camicia inamidata, rivelando una chiazza di sudore sotto l'ascella sinistra.

"È una domanda alquanto complessa, signor Rabago. E non sono certo che io possa dare queste informazioni a...".

"Florian".

Isidro lo interruppe di nuovo e questa volta il suo viso assunse una durezza nuova, che rese le rughe attorno ai suoi occhi di granito. Improvvisamente non sembrava più il gioviale organizzatore di party, ma un vecchio zio intransigente e autoritario. A quel richiamo il signor Cornelis non seppe resistere.

"Ebbene" principiò insicuro, pizzicandosi il labbro inferiore, "Sembra che ci sia un problema di collegamento con la cabina di comando".

"In pratica non rispondono" tagliò corto la cameriera Tamil, seccata. "Ovviamente. Non avete notato che siamo circondati da una massa di sonnambuli?".

"Non li definirei così" commentò timidamente l'uomo, per poi tornare subito al punto della questione. "In ogni caso...".

"Hai tentato di contattare la terraferma?".

Doveva essere un'abitudine molto radicata, quella di Isidro. Cornelis non sembrava nemmeno prendersela per le continue interruzioni, tanto che rispose pazientemente: "Certo".

"E?".

"E... siamo in pieno Atlantico. Le comunicazioni non sono così efficienti".

"Ma come diavolo fa a mantenere questa calma!?" si impicciò improvvisamente Rex, che fino a quel momento aveva passeggiato nervosamente alle spalle di Siva e On. Probabilmente era arrivato al buffet dopo non aver trovato nemmeno una persona cosciente nelle cucine. "Ci siamo svegliati in un incubo! La nave bloccata nel mezzo dell'oceano, le radio non funzionanti, la gente in trance!".

"La nave è ferma?".

Fu Jozefien a porre la domanda e immediatamente calò un silenzio carico di cattivi presagi su tutti i presenti. Il sangue ghiacciò nelle vene di Kim. Dopo il primo momento di confusione e sensazione di irrealtà, quella strana, semplice consapevolezza aveva immediatamente riacceso tutti i suoi circuiti neuronali. Non era più un sogno: era la pura realtà. Nella notte era successo qualcosa di grave, davvero molto grave, e quello a cui stavano assistendo era il suo risultato. Ma cosa aveva potuto generare quel problema? E, soprattutto, come avrebbero potuto risolverlo?

"Signor Cornelis" esordì, cercando di non far tremare la voce, "pensa che sia una malattia?".

L'attenzione di tutti i presenti si spostò sull'uomo che, nervosamente, contraccambiò lo sguardo della ragazza. Deglutì a fatica e solo dopo aver aperto, chiuso e riaperto la bocca, disse: "Ho tentato di contattare la dottoressa Jay. Sono andato a cercarla nell'ambulatorio. Era... era nelle stesse condizioni degli altri".

"E se è contagiosa, questa cosa?" domandò subito Kerli, alla quale non era sfuggita la piega catastrofica della situazione.

"Non penso che lo sia, supposto che sia una malattia" ribatté Isidro, serio. "Sembra che ci sia stata una selezione accurata. Altrimenti saremmo tutti malati".

"Magari siamo immuni perché abbiamo, che ne so, un sistema immunitario eccellente".

"A me non sembra una malattia" commentò Jozefien.

"Cosa ne sai? Sei medico?".

"No, ma mi sembra difficile che...".

"Abbiamo tentato di svegliarli" aggiunse Kim. "Ma loro non ci vedono. Non reagiscono".

"Abbiamo fatto lo stesso" affermò di seguito Siva, mentre On per un secondo smetteva di tremare guardando i corpi rigidi dei croceristi e dei suoi colleghi. "Abbiamo fatto di tutto. Non rispondono. Sembra che non sentano".

"Non è una malattia" disse di nuovo Jo, testarda. Kerli questa volta la ignorò, si strinse le braccia attorno al corpo come se improvvisamente avesse un freddo terribile e con voce contenuta ma grave, mormorò: "Le navi da crociera piacciono ai terroristi?".

Tutti rimasero in silenzio per un poco, inquietati dalla nuova idea appena proposta. Alla fine fu Cornelis a farsi avanti. "Io non credo sia possibile. Se la mia radio non prende, dubito che possa farlo quella dei terroristi".

"Ah, perché lei conosce tutte le tecnologie più avanzate? Lei non ha idea di quello che hanno in mano i russi, glielo dico io".

"Perché mai un gruppo terrorista russo dovrebbe attaccare una nave da crociera?".

"Beh, che domande, signor Cornelis" si intromise Siva. "Per soldi".

Kim si chiese perché avessero più paura della possibilità di essere alle prese con un gruppo di terroristi che con una malattia. Perché si ha più paura degli umani che di un virus potenzialmente letale? Forse che con i russi avrebbero ragionato meno che con un batterio virulento?

"Avrebbero trasmesso un messaggio" stava dicendo il signor Cornelis, mentre il cervello iperstimolato di Kim si perdeva in futili riflessioni filosofiche, una palese ricerca di una via di fuga figurata da quell'enorme problema che nel giro di un'ora le aveva fatto rimpiangere Byrd. "Si sarebbero sicuramente accorti che il loro piano non è stato totalmente efficiente. Una frazione delle persone a bordo è ancora cosciente".

"Ci uccideranno, semplice" scalpitò Kerli. "Se sono russi, mica si faranno particolari problemi".

"Signorina Konno, la pregherei di smetterla".

"E perché?".

"Sta creando una situazione di profonda tensione".

"Forse non si è accorto, signor Cornelis, che nella situazione di profonda tensione ci siamo dentro fino al collo da stamattina. Da quando ci siamo resi conto che metà della nave è divenuta fantasma".

Mentre Kerli e Cornelis iniziavano a bisticciare, gli occhi di Kim incrociarono quelli di Isidro. L'uomo non aveva più parlato, concentrato com'era su chissà quali riflessioni. Si era posato un indice sulle labbra, come a chiedere silenzio, mentre i suoi occhi vagavano per il salone, ma non con il terrore di On: era come se stesse cercando qualcosa.

Quando anche Jo decise di immischiarsi nel discorso dei due litiganti esordendo con un: "Ragazzi, la tensione ora è alle stelle", Kim ebbe come una folgorante illuminazione divina. La sua mente razionale aveva preferito porsi una domanda diversa, rispetto a quella che gli altri si erano fatti: non si era chiesta chi o cosa avesse portato a quella situazione, ma come ci erano arrivati. Non era il momento di capire le cause o gli agenti del problema: bisognava semplicemente risolverlo al più presto.

"Perché noi?" domandò a voce alta, tanto alta da zittire gli altri.

"Perché noi?" ripeterono in coro Rex e Siva, anche se con una sfumatura diversa, come domanda a un'altra domanda.

"Sì. Perché noi non siamo in trance?".

"Non penso sia il momento di vedersi come prescelti di un'entità superiore" ci tenne subito a precisare Kerli, la cui più grande paura era perdere la razionalità in favore di misticismi privi di fondamento.

"Non intendo quello" si sbrigò a chiarire Kim. "Sto cercando una causa... pratica. Dobbiamo avere in comune qualcosa che ci ha impedito di fare quella fine".

Indicò con un dito una coppia di passeggeri inglesi, seduti uno di fronte all'altra, ciascuno con in mano una tazza di tè con correzione di latte, ormai molto probabilmente irrancidito. Si presero tutti un secondo per osservare quello spettacolo irreale e poi, molto lentamente, Isidro disse: "La ragazza ha ragione".

"Ve l'avevo detto io che può essere per il nostro sistema immunitario" insistette Kerli, che credeva fermamente nella sua ipotesi scientifica. Isidro questa volta negò le sue parole con un secco cenno della mano e, guardando Kim e poi il signor Cornelis, disse: "Sono successe cose strane recentemente?".

"Cose strane in che senso?" indagò il signor Cornelis, al quale visibilmente non piacevano affermazioni di questo tipo, che rischiavano di esulare dai suoi poteri di responsabile della sicurezza.

"Personaggi loschi, sparizioni, cose del genere?".

"Che io sappia no. E se fosse successo vi assicuro che lo saprei".

Kim tentò di rifletterci su. Cosa non avevano fatto lei e Jo che invece aveva fatto la maggior parte degli altri? Dov'era la differenza tra loro e i croceristi? Ripensò alla festa del giorno prima, ma subito scartò l'ipotesi: il barista Anthony ci aveva partecipato, eppure anche lui era divenuto un manichino dei grandi magazzini. Non era quello. Ma cosa allora? Perché loro erano stati risparmiati? A Kim l'ipotesi di terroristi non convinceva tanto quanto quella della malattia, ma forse avrebbe potuto essere l'unica, infausta risposta possibile.

Proprio in quel momento, nell'ovattato silenzio della nave, si alzò un grido di ragazzo, che fece balzare il cuore di tutti in gola. Siva scattò in piedi, subito seguita da On, mentre Kerli smise di tenere le braccia incrociate sotto il seno, mettendosi in una buffa posizione d'allerta. I muscoli di Kim si tesero dolorosamente a causa dell'improvvisa botta di adrenalina, proprio come quando si sta per scivolare da uno scalino bagnato, ma riuscì a contenere l'istinto primordiale che le ordinava di scappare e nascondersi quando riuscì a comprendere l'articolazione delle parole che venivano urlate.

"Heeey! Laggiù! C'è qualcuno?".

La voce apparteneva a Bruno e veniva dal Lido di Titania. Immediatamente Jozefien abbandonò il fianco di Kim e si diresse a grandi passi verso l'uscita, rispondendogli a voce alta: "Bruno, siamo qui!".

"Graças a Deus" si udì in risposta e poi solo piccoli e velocissimi passetti. Nel giro di trenta secondi il ragazzo caboclo giunse sulla soglia dell'ingresso al buffet. Aveva indosso la sua tuta grigia, ma era calata fino ai fianchi, con le maniche legate intorno alla vita. Indossava una maglietta bianca ed era sudato, pallido e senza fiato. Non sembrava per niente il farfallone che la sera prima aveva tentato di far sospirare tutto il parterre femminile del crew. "Ragazzi, dovete vedere una cosa".

I presenti si lanciarono sguardi confusi, mentre Bruno si rendeva conto con orrore della presenza delle persone paralizzate. Mentre tutti lo raggiungevano, chi più circospetto e chi meno, lui si affiancò a On, che non aveva mai lasciato il fianco di Siva. Le strinse la mano e lei gli rivolse un'occhiata terrorizzata. A fatica articolò tre parole, ma Bruno scosse la testa.

Uscirono tutti nel Lido di Titania e la prima cosa che colpì i loro sensi fu il livello di fredda umidità che si attaccò a pelle, vestiti e capelli ed entrò nei loro polmoni al primo respiro. I sensi di Kim, scioccati dalla novità, ci misero più di un secondo a focalizzarsi sul problema, ma quando il suo cervello ricevette le informazioni sensoriali, stentò a mettere assieme una spiegazione logica davanti a quello spettacolo.

Il Lido era invaso da una nebbiolina biancastra che impediva di vedere cosa ci fosse poco oltre il metro davanti a loro.

"Ma cosa..." bisbigliò il signor Cornelis.

"Nebbia?" domandò Kerli, alzando una mano e osservando sconvolta un piccolo banco grigiastro muoversi come pulviscolo, seguendo lo spostamento d'aria. Bruno fece loro cenno di seguirlo e salì con attenzione gli scalini che portavano ai ponti superiori. Kim si affiancò a Jo e fu un piccolo sollievo cercare le sue dita. L'unica cosa positiva di quella surreale situazione era non essere soli.

Ma la situazione doveva ancora peggiorare: la nebbia del Lido era solo la goccia di un oceano ben più vasto. Uno spesso strato di foschia bianca era calato sull'Atlantico, tutto attorno e sopra di loro: il cielo non era visibile e neanche l'acqua scura sotto di loro. L'Emerald sembrava essere sprofondata in una scatola piena di ovatta. 

"Stiamo calmi" dichiarò Isidro, che aveva viaggiato per mare abbastanza a lungo da conoscere i capricci della nebbia. "Potrebbe essere solo una spiacevole coincidenza".

"Questa non è nebbia normale, vovô" lo contraddisse Bruno. Si limitò ad alzare un dito, in direzione della prua. Tutti aguzzarono la vista, come se si aspettassero che la foschia si potesse aprire di colpo, mostrando qualcosa. Fu On la prima a rendersi conto di quello che Bruno aveva indicato. Emise un gemito di stupore, tirò la manica di Siva e mormorò: "Luci. Luci verdi".

Uno a uno iniziarono a notarle: erano piccole luci pulsanti, di un verde brillante ammortizzato dal bianco della caligine, che si muovevano lentamente e senza una direzione precisa. Come lucciole, pensò Kim, a cui ricordarono immediatamente gli sciami estivi di quei piccoli coleotteri bioluminescenti. Rimase incantata come gli altri per qualche istante di fronte a quel silenzioso ma affascinante spettacolo. Poi qualcosa nella sua testa emise un clic sordo: rivide al rallentatore sé stessa scartare una caramella verde brillante sulla tazza del gabinetto candido, la caduta della perfetta sferetta roteante, le sue bellissime sfumature cangianti.

Ed ebbe la sua risposta. 

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