35. Resta al tuo posto
Cou-cou!
Pensavate di non rivedermi più per parecchio tempo? Anche io 😅
Ma alcuni messaggi carinissimi da parte di voi lettori mi hanno dato una spinta incredibile e, il risultato, è stato riprendere a scrivere la Mietitrice. Assurdo come delle semplici parole su un social possano essere tanto potenti, ma se ora potete leggere il capitolo è solo merito vostro.
GRAZIE GRAZIE GRAZIE con tutto il mio cuore, non scrivevo da settembre e, per merito vostro, ora la Mietitrice sta ormai prendendo la forma finale.
Spero di non deludere le vostre aspettative, ci vediamo nelle note a fine capitolo!
Casa Ezustfat era un luogo silenzioso e accogliente per la quasi totalità dell'anno solare. Due erano gli eventi che portavano all'interno delle mura respiri estranei: il settimo giorno di gennaio, per ricordare la Maledizione degli Originali, e il quinto giorno di dicembre, quando tutti i consanguinei erano invitati a prendere parte al compleanno di Mătrăgună Ezustfat.
La donna non sopportava festeggiare la sua nascita in solitudine e, fin da bambina, l'intera tenuta si riempiva di parenti che giungevano per ricordarle quanto la sua progenie si fosse diffusa in modo capillare. La nonna non era Iris Ezustfat, ma portava sulle spalle molti più anni della sua ava e di questo ne andava, di mese in mese, segretamente fiera: era sopravvissuta a molti dei suoi discendenti grazie alla sua personalità intransigente e aveva intenzione di superare ancora parecchi compleanni, prima di lasciare ad altri il posto di più anziano della famiglia. Dall'alto dei suoi centocinque anni, aveva ancora l'autorità per decidere chi fosse degno o meno di ritenersi un Ezustfat e non avrebbe ceduto a nessuno quel diritto, non di sua spontanea volontà.
Quell'anno, Mătrăgună sapeva che avrebbe avuto a che fare con un'invitata di troppo e decise che la soluzione migliore per mantenere la pace, almeno durante la festa, sarebbe stata quella di ignorare senza ritegno il ramo morto della famiglia che non era ancora riuscita a potare.
Dragana, dal canto suo, non si sorprese che la nonna non l'avesse avvisata dell'avvenimento e fu solo grazie a Mac che potè prepararsi mentalmente alla serata. Le cugine non si parlavano da due giorni: dopo essersi assicurata che Àkos fosse tornato cosciente, Melissa aveva abbandonato il bagno con uno sguardo pieno di frustrazione e si era allontanata senza dire niente. Àkos aveva promesso a Dragana che avrebbero discusso di quanto accaduto al suo ritorno, perché il sole stava ormai calando e non era sicuro per loro rimanere lì, non con Sokrat. Aveva solo avuto il tempo di raccontarle in breve ciò che aveva visto e le frasi sconnesse che sua madre continuava a ripetere: un leone è la loro lex monetae; hanno la pelle dipinta dal sole; i leoni dorati sono qui sono. Dragana, alla fine, si era trovata da sola con quelle parole, ancora una volta senza risposte.
Quella domenica comprese che la festa era iniziata quando, uscita dalla sua camera, venne accolta dal borbottio proveniente dal piano inferiore. Scese le scale con calma, per permettersi di studiare la situazione, e fu sorpresa di ritrovarsi immersa in una folla di persone che in poche ore avevano rotto il silenzio tipico di casa Ezustfat. Tirò sulle cosce l'abito in lana nera che aveva comprato, anni prima, al mercatino dell'usato di San Zeno: come al solito, rispetto all'eleganza degli invitati si sentiva fuori luogo e, nonostante le calze pesanti non lasciassero scoperto neanche un centimetro di pelle, le parve che tutti gli occhi fossero puntati proprio su di lei.
Dragana alzò il viso al soffitto, dove festoni di fiori essiccati assorbivano la luce soffusa delle lanterne, creando macchie colorate sulle pareti in pietra. Seguì le lesene, accogliendo con lo sguardo il connubio tra la linearità dell'architettura e l'irregolarità delle fragili decorazioni.
Quando abbassò di nuovo lo sguardo tra tutti quegli sconosciuti, intravide l'unica persona che le sembrava di conoscere. La figura esile di Verica non era mai sembrata a Dragana più fuori luogo, in quel contesto fatto di adulti e parenti, ma la ragazza fu sollevata di poter andare a parlare con qualcuno che le avrebbe forse dato un po' di tranquillità.
«Cosa ci fai qui?» chiese Dragana con un velo di perplessità quando riuscì a raggiungere la bambina.
«Sono l'amica più cara di Mătrăgună, mi ha invitata come ospite d'onore, anche se non faccio parte della famiglia» le rispose lieve, usando il suo solito lessico articolato e poco adatto a una bambina.
Dragana annuì, anche se in difficoltà a credere che la nonna potesse davvero avere degli amici, e Verica mutò espressione sul proprio volto, prima di dirle: «Sono terribilmente desolata».
Quella che Dragana scorse, non solo nei tratti del viso, ma anche nell'inclinazione della voce, era effettivamente mortificazione. Pensò che le dispiacesse per la sua situazione familiare, o che avesse colto il suo sentirsi completamente a disagio, ma Dragana sospettò che si riferisse a qualcosa che lei non poteva ancora comprendere.
Non potè, però, chiederle ulteriori spiegazioni, perché Verica si voltò pochi secondi prima che la Nonna facesse il suo ingresso nella sala, accolta da uno scroscio di applausi e saluti.
Dragana fece qualche passo indietro per allontanarsi dalla folla e, senza accorgersene, urtò la spalla di uno degli invitati, interrompendo la sua conversazione.
«Scusa» sussurrò a fior di labbra, notando che tutto il gruppo che l'uomo stava intrattenendo si era voltato nella sua direzione.
Il silenzio improvviso la rese tesa, ma l'uomo si accigliò solo qualche secondo, prima di chiederle, con una spallata di incoraggiamento: «Tu che avresti fatto?».
«Io?» domandò confusa Dragana, sentendo su di sé gli occhi di tutti e cinque gli interlocutori.
«Sì, mi sembri una ragazza razionale: se fosse morto il tuo caprone migliore, quello di cui vai più fiera e che ti permette di sentirti superiore alla fattoria rivale, che avresti fatto?»
Dragana sbatté le palpebre, incapace di comprendere a pieno la situazione.
«Ne avrei allevato un altro, curandolo in modo da sostituire quello perso» tentò.
L'uomo la fissò serio, poi annuì con convinzione mentre si portava alle labbra un bicchiere ricolmo di vino rosso.
«L'avevo detto che è una ragazza razionale, questa» proferì, dandole un'altra spallata. «Però io non lo sono» sussurrò poi, sporgendosi verso gli altri invitati con sguardo complice.
«E cos'hai fatto?» chiese una di questi, sgranando di poco gli occhi per la curiosità.
L'uomo sogghignò, facendo un occhiolino a Dragana prima di rispondere: «L'ho fatto imbalsamare, il mio caprone. Me lo porto sempre appresso, legato in cima alla mia Campagnola. E passo tutte le mattine davanti alla fattoria dei Kozel, per far vedere loro il mio orgoglio!»
Dragana aggrottò le sopracciglia, ma la sua reazione non fu condivisa dagli altri invitati che, invece, esultarono con gioia brindando al caprone imbalsamato.
«Lascia perdere il cugino Absint, prima che imbalsami anche te. Vieni» intervenne Melissa con tono annoiato, sopraggiungendo alle spalle di Dragana con Nekh stretto tra le braccia. Nessuno parve fare caso a lei e Dragana approfittò della loro distrazione per seguirla lontano da lì.
Quel pomeriggio Melissa indossava un vestito che sembrava essere stato confezionato appositamente per far sfigurare chiunque altro. Le spalle e le braccia erano avvolte da un intreccio di pizzo che risaliva fino al collo, mentre il busto era cinto da un corpetto in raso, decorato sul davanti da una fila di bottoni in madreperla che si susseguivano fino ai piedi. L'immancabile tocco di rossetto rosso, unico accenno di colore oltre agli occhi di ghiaccio, rendeva la sua figura memorabile.
Melissa schivò senza difficoltà gli invitati, che si spandevano fino a riempire l'atrio d'ingresso e il salotto, dove i divani accoglievano gente che Dragana non aveva mai visto. Una volta raggiunto un angolo appartato, lasciò che il gatto si rifugiasse ai suoi piedi e si voltò verso Dragana con le mani posate sui fianchi.
«Prenditi un momento per spiegarmi da cosa vi ho salvati, l'altro giorno. Tanto la nonna i tuoi auguri non li vuole, puoi non perdere tempo a cercarla» le ingiunse, alzando le sopracciglia per pretendere una risposta.
«Non mi sembra il momento più adatto» rispose evasiva Dragana.
Incrociò le braccia sotto al seno, guardandosi intorno per capire se qualcuno le stesse ascoltando. Scorse tra la folla la professoressa Anaryfist, una figura silenziosa e circondata da quelli che, per le somiglianze fisiche, comprese essere membri della sua famiglia. Gli altri Mietitori Anaryfist la ignoravano, come se la donna cieca fosse solo un soprammobile da dimenticare, e Dragana si sentì più che mai in empatia con la professoressa trascurata dalla propria famiglia.
Insieme a loro, riconobbe due figure che era sicura di aver già visto tempo prima e subito ricollegò l'uomo biondo e la donna con i capelli ramati ad Àkos. Li aveva incontrati al Vizuină de Medvedev: erano Incubi che si occupavano di portare merce da fuori e, stando a quanto le aveva detto il ragazzo, sarebbero dovuti partire quella sera stessa. La nonna, quindi, non aveva invitato solo Mietitori.
«Qui sono già tutti ubriachi, nessuno fa caso alle piccole della famiglia quando la nonna apre la cantina.» Melissa allungò una mano per attirare l'attenzione di Dragana. «Non ignorarmi.»
«Ora ti interessi di me?»
Melissa sospirò, togliendo le mani dai fianchi e appoggiandosi con la schiena al muro alle loro spalle.
«La nonna aveva bisogno del mio aiuto e io non avevo voglia di parlare con te. Ma non posso ignorare di averti vista per la seconda volta in una condizione non ottimale e, in entrambi i casi, con te c'era Farkas. Non mi interessa quello che fai, ma serve poco per accorgersi che c'è qualcosa di strano: a scuola non parli quasi più con gli altri strambi, sei sempre rinchiusa in biblioteca e la notte giri per casa nemmeno fossi un Errante.» Si fermò, distogliendo lo sguardo che fino a quel momento aveva tenuto fisso sugli occhi di Dragana. «Se non ne vuoi parlare con me, chiedi consiglio a zio Mac. Ma non affogare nella tua disperazione, non vorrei che la tua assistente sociale incolpasse la famiglia di un molto probabile tuo crollo psicologico.»
Dragana chiuse gli occhi, appoggiandosi alla parete vicino a Melissa.
Erano giorni che non riusciva a riposare a dovere e le occhiaie che tutte le mattine si ritrovava a mascherare con l'ombretto le suggerivano che stava arrivando al punto di non ritorno. L'incontro di Àkos con Amalia era stato la pennellata che aveva saturato la tela: Dragana si rese conto che non poteva più ignorare il bisogno di chiedere aiuto. Si ritrovò a concordare con Melissa, perché dopo gli avvenimenti di due giorni prima era più convinta che mai a voler confessare tutto ciò che le stava accadendo a zio Mac, a partire dalle minacce che aveva ricevuto nelle settimane precedenti. Confidava nella pacatezza dell'uomo e nel suo senso critico.
«Non mi fido di te» sussurrò alla cugina, «ma parlerò con zio Mac.»
Melissa aveva già pronta sulla lingua una risposta tagliente, ma Dragana vide il volto della cugina cambiare repentinamente sotto il suo sguardo. L'indifferente freddezza che era solita ostentare si trasformò in un'espressione confusa e, quando le sue sopracciglia si abbassarono timorose sugli occhi spaventati, a Dragana non restò che voltarsi per capire quale fosse la fonte di tanto disagio.
Il suo sguardo venne immediatamente catturato da una donna che si stava avvicinando accompagnata dallo zio e Dragana non seppe come reagire quando ella la accolse con un sorriso cortese. Rimase immobile a osservare il viso della nuova arrivata, attratta da lineamenti che le sembrava di conoscere bene. Aveva già visto quelle labbra, anche se sul viso di un'altra persona: suo padre.
«Erica, cercavamo proprio te: c'è una persona che è impaziente di conoscerti» la accolse lo zio, allargando le braccia per coinvolgere in un abbraccio lei e la donna.
Dragana rimase in silenzio, lasciandosi cingere dal braccio dello zio e imponendosi di distogliere lo sguardo dal viso della donna, così familiare per lei: pensava che con il tempo si sarebbe dimenticata dei tratti del padre, della sua fronte alta, delle labbra sottili, della dolcezza che ne riempiva gli occhi, invece se ne ritrovava una copia sbiadita proprio davanti. Era un'opera contraffatta, con alcuni particolari fuori posto, ma del tutto confondibile con l'originale. E lei, colta di sorpresa, non poteva che aspettare che la donna le confermasse la propria identità.
«Di Crin non è rimasto proprio niente» le disse la donna con tono dolce, allungando una mano per accarezzare una ciocca dei suoi capelli biondi, «ma ce la faremo andare bene comunque.»
Dragana non riuscì a rispondere al sorriso amorevole della donna, se non con un'affermazione che ormai le risuonava nella testa da tempo: «Non devo andare bene ad altri che a me stessa».
La donna alzò le sopracciglia, accennando una dolce risata divertita.
«Ha preso dalla cugina Dalia, in quanto a schiettezza.»
«Mi sono fatta la pelle in questi mesi» specificò senza astio Dragana, lasciando intendere che le insinuazioni sul suo aspetto non le interessavano più.
Dragana lanciò un breve sguardo a Melissa, che si stava limitando a tenere gli occhi fissi sul pavimento e aveva accolto tra le sue braccia Nekh, come se il gatto potesse assumere la funzione di uno scudo.
«Scommetto che mia figlia ti ha insegnato i valori della vita come solo lei sa fare» riprese a parlare la nuova arrivata.
Dragana aggrottò le sopracciglia e solo allora la donna allungò un indice, facendolo oscillare tra lei e Melissa.
«Albăstrea Ezustfat» chiarì. «Se l'albero genealogico non mi inganna puoi chiamarmi zia Albă, almeno tu: lei rifiuta di chiamarmi mamma da tempo.»
Albăstrea ignorò la possibile risposta di Dragana, perché decise in quel momento di rivolgersi alla figlia con un'occhiata carica di affetto simulato. Prese il volto della ragazza tra le mani, ma Melissa si sottrasse subito al tocco gentile della madre, facendo un passo indietro e posizionandosi più vicina a Dragana.
«La mia dolce fogliolina di Lamiacea» la salutò Albăstrea con tono melenso, ignorando il rifiuto della figlia. «Aspetto ancora le tue lettere di risposta, sono stanca delle conversazioni a una sola direzione.»
Tutto, nell'aspetto della donna, suggeriva dolcezza, ma Dragana iniziava a sospettare che non fosse altro che un'arma a doppio taglio: Albăstrea anestetizzava la propria vittima con sorrisi amorevoli e parole soavi, prima di attaccare con grazia. E con l'intento di ferire.
Dragana poteva sentire tutta la tensione che Melissa stava cercando di dissimulare in presenza della donna e la avvertì ancora più chiaramente nel tono titubante della cugina, che aveva perso la sicurezza con cui di solito si esprimeva: «Ho poco tempo, in questo periodo».
Albăstrea scosse la testa con un sorriso divertito.
«Sei sempre con la testa immersa nei tuoi libri, scommetto che è per via di ciò che leggi che pensavi di esserti innamorata perdutamente, due anni fa: dovresti concentrarti su cose concrete, non ti pare il caso di darti da fare per la famiglia?» la provocò.
Mac sospirò, posando una mano sulla spalla di Albăstrea con l'intento di fermare i suoi attacchi. Dragana si ricordò delle parole velenose che Melissa aveva riservato alla madre e, di fronte all'inaspettata difficoltà della cugina, non potè che sentirsene toccata. Melissa non aveva mai manifestato segni di debolezza, né le sembrava incline a mostrarsi inferiore a qualcuno. In quel momento, però, non solo il suo corpo, ma l'intera sua postura gridavano estremo turbamento e per la prima volta Melissa le sembrò dimostrare l'età che aveva: era una diciassettenne che, per quanto lo volesse negare, continuava ad avere bisogno dell'approvazione materna.
Albăstrea era tanto dolce quanto la figlia velenosa, ma in quel momento di Melissa non restava che un retrogusto amaro. Quello con Albăstrea, intuì Dragana, non era un legame sano e vedere la cugina così remissiva nei confronti di una donna che l'aveva ferita in modo indelebile la spinse a intervenire.
«Se con "darti da fare per la famiglia" intendi sfornare figli e poi abbandonarli, allora forse è meglio che Melissa continui a leggere Tolstoj» si intromise Dragana, sorprendendo i presenti.
Albăstrea si voltò lentamente verso di lei, socchiudendo gli occhi con un atteggiamento che le ricordò quello della figlia. Se, però, quell'espressione sembrava essere stata scolpita appositamente per il carattere di Melissa, a Dragana parve che sulla madre avesse un effetto diverso: non si poteva paragonare l'opera di un artista alla stessa che, invece, era stata emulata da un semplice apprendista.
«Resta al tuo posto, straniera» la avvertì, perdendo ogni sfumatura di cortesia.
Dragana non si lasciò intimidire: la minaccia di Albăstrea non era niente in confronto al rancore che sua figlia accumulava da tempo e riversava, poco a poco, su chiunque disturbasse il suo cammino. Melissa aveva impiegato anni per affinare il suo atteggiamento, creato appositamente per intimidire chi cercava di oltrepassare le sue difese, mentre Albăstrea stava solo reagendo a una scomoda insinuazione di cui non avrebbe potuto negare l'esattezza.
«Io sono al mio posto. Chi può essere considerata straniera, in questa casa, sei tu, a quanto mi risulta.»
A Dragana sembrava di essere riuscita a prendere una boccata di aria fresca dopo mesi di vessazioni e l'espressione confusa di Albăstrea le confermò che aveva colto nel segno. Le sue parole non erano state dettate dalla cattiveria, ma dalla necessità di dimostrare a Melissa che non doveva sentirsi asservita alla donna solo perché erano unite da un legame di sangue. Il rispetto per una madre poteva essere preteso solo nel momento in cui la stessa si fosse comportata come tale.
Fu Mac a intervenire prima che la situazione degenerasse.
«Ho sentito che Mătrăgună vuole spegnere le candeline con i suoi nipoti preferiti, sicuramente noi rientriamo tra quelli!» le suggerì con tono disinvolto, lanciando a Dragana uno sguardo preoccupato. Era la prima volta che la vedeva reagire così e, se da una parte fu contento che qualcuno avesse dato una lezione alla donna, dall'altro si chiese quanto la ragazza stesse cambiando in quelle ultime settimane.
Trascinò via Albăstrea, lasciando le cugine nel silenzio che era sceso in quell'angolo del salotto. Dragana sentì il sospiro che Melissa rilasciò, ma non fece in tempo a voltarsi, perché la ragazza si spostò di fronte a lei.
«Osa fare un altro rituale spiritico nel bagno di casa e vedi come ti rimando in Francia» le sussurrò con pacatezza, anche se Dragana percepì la sua voce tremare leggermente.
Melissa allungò le braccia con irruenza, quasi lanciando il gatto che ancora stringeva tra le mani sul petto di Dragana.
«Portalo lontano da qui: a quanto pare non sei gradita, tanto vale che te ne ritorni in camera. E parla con zio Mac» aggiunse, prima di andarsene e lasciare Dragana in balia delle grida di auguri sopraggiunte proprio in quel momento.
Mătrăgună aveva appena spento con un unico soffio centocinque candeline e Dragana capì che, per essere arrivata a quell'età nella loro famiglia, la bisnonna aveva solo usato una nota tecnica di difesa: attaccare prima di essere aggrediti. Nessuno, tra gli Ezustfat, si sarebbe accontentato di una misera ritirata quando si presentava la possibilità di scagliare un attacco.
NdM. Questo, insieme al capitolo sulla festa di Iryna e al primo rituale con gli specchi, è il mio terzo capitolo preferito. Sarà per la mamma di Mel o per l'atmosfera del compleanno della nonna, ma sono sempre felice di rileggerlo!
P.S.: la storia del caprone imbalsamato è vera, il mio prozio lo portava in giro su un'Ape 🙈
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