33. Sono qui
Dragana avrebbe potuto rappresentare l'aria che permeava nel salotto di casa Ezustfat come una nube nera carica di tensione, pronta a rilasciare una scarica elettrica da un momento all'altro.
La ragazza, accomodata sul divano centrale, era infatti circondata da un'aggregazione inusuale: alla sua destra sedeva Nastia, intenta a disporre sul tavolino al centro le sue caramelle in ordine cromatico; al suo fianco, Sokrat non aveva fatto altro che dimostrare il suo malumore in ogni modo possibile, dalle braccia incrociate sul petto al cipiglio indispettito del volto, anche se cercava di mantenere la sua solita espressione serena. Alla sua sinistra, invece, Àkos dava le spalle all'ampia finestra del salotto lasciata libera dalle tende, l'unica fonte di luce naturale: il sole del tardo pomeriggio rendeva la sua figura una siluette scura e Dragana dovette socchiudere gli occhi per poterlo osservare senza troppo fastidio. Infine, proprio di fronte a lei, il pelo bianco di Nekh rifletteva le fiamme del caminetto; attirato dal trambusto, il gatto aveva deciso di assistere a quella riunione improvvisata, imponendo la sua muta presenza tra le occhiate sospettose dei ragazzi.
Dragana si chiese se fosse stata una buona idea quella di dare appuntamento lì a tutti loro, dopo essersi assicurata che, quel giorno, in casa non ci sarebbe stato nessuno dei suoi parenti.
«Lo sai che, se non sei un Intoccato e muori, poi è poco probabile che tu possa tornare in vita?» insinuò Nastia, spezzando il silenzio imbarazzante che avvolgeva i quattro ragazzi da parecchi minuti.
Àkos alzò le sopracciglia, incredulo per la domanda che gli era stata posta.
«Lo sai che, se stacchi la testa a un Intoccato, un Incubo può continuare a leggere i suoi pensieri?»
«Chiudi la bocca, Farkas, quello che esce da lì ha già fatto abbastanza danni» lo apostrofò Sokrat, rivolgendosi per la prima volta al ragazzo.
«E dalla tua, oltre alle zanne, escono anche frasi più lunghe di tre parole?» gli chiese Àkos, socchiudendo gli occhi con fare derisorio.
Sokrat si alzò dal divano, fermandosi prima di lanciarsi addosso all'altro ragazzo che, senza farsi impressionare, si limitò ad ampliare il suo sorriso mentre, con una mano, fingeva di chiudersi a chiave le labbra. Dragana non aveva mai visto Sokrat tanto irritato e si chiese se Àkos fosse mal sopportato dagli amici solo perché era un Incubo o se sotto ci fosse qualche altro motivo.
«Finitela» si intromise Dragana. «Non ho chiesto il vostro aiuto per ucciderlo, ma per evitare che la sua vita sia messa a rischio più del necessario» precisò nuovamente, rivolgendosi a Sokrat e Nastia.
L'imprudenza non rientrava tra i difetti di Dragana. Spesso le capitava di fermarsi a rimuginare sulle conseguenze che anche le decisioni più semplici avrebbero potuto avere e, nonostante nel tempo avesse imparato a rendere più veloce il soppesare pro e contro, questo suo approccio alle scelte l'aveva sempre spinta ad agire con eccessiva cautela. La spaventava la prospettiva di mettersi nei guai per l'essere stata incauta nel valutare tutti i fattori e, in quel caso, le ci era voluta una settimana per rimuginare sulla proposta fattale da Àkos. L'Incubo sarebbe dovuto partire dopo due giorni: se non avesse colto l'occasione, avrebbe dovuto aspettare altro tempo e Dragana temeva che, poi, le sarebbe mancato il coraggio.
Non aveva intenzione di portare interamente sulle proprie spalle il peso dell'impresa che avrebbero dovuto affrontare, né riteneva che coinvolgere zio Mac fosse la soluzione ideale, perché era sicura che le avrebbe impedito anche solo di vedere Àkos. C'erano solo due persone alle quali Dragana si era potuta rivolgere: Sokrat e Nastia.
I due amici non avevano accettato la sua soluzione del rituale di buon grado e si erano mostrati ancora più restii quando Dragana aveva specificato che la loro presenza sarebbe servita per salvare non lei, ma Àkos Farkas.
Forse era stata la profonda apprensione che, quel giorno, si poteva facilmente intravedere sul volto struccato della ragazza, o forse l'amicizia che era diventata sempre più salda tra i tre, ma alla fine, dopo parecchie ore passate a discutere, entrambi avevano dato a Dragana il proprio consenso.
Situazione ben diversa aveva dovuto affrontare con Àkos. Sapeva che non avrebbe mai accettato la presenza di estranei e così, sovvertendo a un atteggiamento che da sempre la caratterizzava, Dragana aveva deciso di scegliere, forse per la prima volta in vita sua, il rischio. Non aveva detto niente all'Incubo, accogliendolo nel salotto della dimora Ezustfat quando Nastia e Sokrat si erano già accomodati da diversi minuti. Ad Àkos quella sorpresa non era piaciuta.
«Se ti vuoi tirare indietro, va bene» specificò, rivolgendosi con risolutezza ad Àkos.
Il ragazzo sostenne per qualche secondo il suo sguardo, mantenendo un'espressione neutra che, però, Dragana aveva imparato a leggere. Era furioso.
«Non mi spaventa avere un pubblico, mi spaventa solo a chi sto affidando la mia vita» le comunicò, prima di alzarsi per dirigersi verso quello che Dragana, appena arrivato, gli aveva indicato come l'unico bagno che avesse una vasca.
Dragana, non appena Àkos abbandonò la stanza, lasciò ricadere le spalle tese.
«Mette i brividi» sussurrò Nastia, sputando con indifferenza una caramella e lanciandola tra le fiamme del caminetto.
«Facciamo in modo che questa cosa sia veloce, va bene? Prima finiamo, prima potete tornare a stargli lontani» si spazientì Dragana.
«Io mi riferivo al gatto» chiarì Nastia, lanciando uno sguardo indagatore a Nekh. L'animale ricambiò con un'occhiata prolungata, rimanendo immobile nella sua posizione.
«Ignoralo, meglio avere qui lui che la sua padrona» tagliò corto Dragana, alzandosi per seguire Àkos e dare inizio al rito.
Quando lo raggiunse nel bagno, che si trovava al secondo piano vicino alla sua camera e quella di Melissa, la vasca era già stata riempita per metà. Poteva sentire l'acqua scrosciare sulla ceramica ingiallita dal tempo e il ragazzo, girato di spalle, aveva tolto la propria giacca restando con la camicia leggera della divisa scolastica.
«Aspetta che il mio battito rallenti fino a diventare impercettibile» la istruì, abbassandosi per slegarsi le stringhe delle scarpe laccate senza nemmeno degnarla di un'occhiata.
«Accendo la candela non appena ti sei immerso e aspetto che arrivi a metà prima di tirarti fuori, sì, lo so» gli rispose sbrigativa lei. Aspettò che Àkos si fermasse e le rivolgesse la sua attenzione, prima di continuare. «Ho chiesto il loro aiuto perché voglio essere sicura di poter contare su qualcuno, in caso le cose non vadano come previsto» chiarì, sedendosi sul bordo della vasca accanto a lui.
Àkos sospirò, passandosi una mano sugli occhi chiusi.
«Andrà tutto bene: se non riprendo conoscenza prima che la candela arrivi a metà, ci pensi tu. Anche se sospetto che siano qui proprio per assicurarsi che io non ci ritorni, nel mondo dei vivi.»
«Si può sapere che hai fatto loro?» domandò Dragana, disponendo la candela che avrebbe funzionato da clessidra per il rito.
Àkos scosse la testa, sorridendo tronfio.
«Probabilmente concordano con il detto che un Incubo porta sempre disgrazie.»
«Non è così?» chiese retorica Dragana, sorridendo al pensiero. Non credeva alle coincidenze, ma il fatto che lei e sua madre appartenessero a quella stirpe sarebbe stato un modo semplice per spiegare molte delle disgrazie che aveva dovuto affrontare negli ultimi mesi.
Àkos mutò il proprio sorriso, dedicandogliene uno più mesto.
«Forse» le concesse, prima di cambiare discorso. «Hai l'Oggetto?»
Il ragazzo l'aveva costretta a ripetere i passaggi del rito fino alla nausea, per assicurarsi che entrambi sarebbero stati al sicuro durante tutta la procedura. Dragana sentiva di conoscere meglio le azioni che avrebbe dovuto fare da lì a pochi minuti che il contenuto del suo album da disegno.
Si sporse per prendere il libro di storia della madre. La sera precedente aveva dedicato al volume intriso della sua scrittura parecchio tempo, conscia che l'acqua ne avrebbe rovinato le pagine. Aveva strappato con cura la prima facciata, dove le frasi dei genitori scritte nelle rispettive lingue accertavano che il libro appartenesse davvero ad Amalia Toth. Sii chi desideri, aveva sempre suggerito Crin alla figlia e l'aveva scritto anche alla moglie che, considerando la risposta che gli aveva lasciato, pareva aver trovato se stessa proprio a fianco del marito.
«Mia mamma odia che le si rivolga come a un'anziana: non chiamarla signora, né con il cognome di mio padre» suggerì Dragana al ragazzo, mentre con dispiacere abbandonava il libro nelle sue mani. «E parlale in ungherese, era la lingua che utilizzavamo quando non volevamo che papà capisse i nostri discorsi» ricordò, perdendosi a guardare l'acqua che, a poco a poco, stava colmando la vasca.
«Vuoi che le dica altro?» chiese Àkos, usando un tono di voce basso per paura di interrompere i ricordi felici in cui la ragazza si stava crogiolando.
Dragana avrebbe voluto dirle un centinaio di cose. Avrebbe voluto che fosse ancora la sua confidente, che la aiutasse a sbrogliare i dubbi che, giorno dopo giorno, si accumulavano nella sua mente impedendole di vivere con serenità quella nuova situazione. Le sarebbe bastato anche risentire un'ultima volta la sua voce. Nel profondo, Dragana sperava che Àkos si facesse indietro all'ultimo, così sarebbe stata lei a parlare con la madre. Sapeva che era la scelta meno opportuna, ma si rese conto di invidiare profondamente il compito che il ragazzo stava per assolvere.
«No. Non perdere tempo, chiedile quello che abbiamo stabilito.»
Dragana aveva dovuto accettare di affidare ad Àkos le sue incertezze. Erano tante le domande che avrebbe voluto fare alla madre, ma si sarebbe accontentata di sapere se Amalia provenisse davvero da lì e perché il padre era dovuto fuggire, diciassette anni prima. Àkos non aveva battuto ciglio, quando Dragana gli aveva comunicato i quesiti da porle, ma Dragana sapeva che l'unica a non conoscere il passato di Crin, probabilmente, era lei.
«Fai attenzione allo specchio» le ricordò il ragazzo, «è l'unica via per passare da un mondo all'altro e, una volta aperto, non è più a senso unico. È ora.»
Àkos si allungò per spegnere l'acqua ghiacciata che attendeva, trepidante, il suo corpo mortale. Si voltò poi alla sua sinistra, estraendo dalla borsa tracolla una lama sottile.
Il ragazzo si voltò verso di lei, ponendole silenziosamente la domanda che non avrebbe espresso ad alta voce. Era davvero pronta a quello che stava per accadere? Àkos non temeva di morire, ma affidare il proprio corpo incosciente ad altri non era una condizione che lo metteva a suo agio. Senza rispondere al muto quesito, Dragana allungò il palmo aperto verso Àkos e sollevò sull'avambraccio la manica della camicia. Era preparata, aveva pensato giorno e notte a quel momento e voleva solo che finisse in fretta.
Àkos le prese la mano, tenendola ferma tra le sue dita, e avvicinò il coltello alla pelle del braccio di Dragana. C'era bisogno di un richiamo potente per l'Anima di sua madre: l'Oggetto Cardine, in quel caso, non sarebbe stato sufficiente a eludere tutte le presenze che avrebbero cercato di passare il Confine.
«Mi dispiace, non penso sarà piacevole» le sussurrò, senza il coraggio di alzare il viso su di lei.
Dragana strinse gli occhi, ma non distolse lo sguardo quando Àkos praticò sulla sua pelle un taglio preciso, sufficiente a far cadere nella vasca alcune gocce del suo sangue. Il ragazzo aumentò la stretta sulla mano di Dragana, per ribadire le proprie scuse, e lei accolse quel contatto confortevole mentre l'acqua iniziava ad assumere un colore rosato. Solo allora Àkos mise fine al loro legame fatto di pelle e ripose con cura il coltello, porgendole una garza pulita.
La ragazza ignorò il bruciore della ferita che le era stata incisa sul braccio e si alzò per permettere ad Àkos di entrare nella vasca. Il ragazzo immerse i piedi scalzi nell'acqua ghiacciata, rimirando per alcuni minuti le grinze rosate che il suo movimento aveva generato.
«Külföldi» la richiamò, ancora seduto sul bordo. «Non lo faccio solo per rispettare il patto.»
Dragana lo osservò senza ribattere, fino a che Àkos non sollevò lo sguardo verso di lei. Si osservarono per qualche istante e Dragana non seppe se, a spaventarla di più, fu l'improvvisa apertura di Àkos o quello che stava per succedere.
Senza lasciarle modo di aggiungere altro, il ragazzo entrò nella vasca e si immerse fino alla testa. Nonostante fosse rimasto vestito, la bassa temperatura dell'acqua rivelò subito la prima sfida, facendogli esalare un respiro tremante tra i denti.
«Ci vediamo dopo» la salutò infine, stringendo a sé il libro e immergendosi completamente.
Appena i suoi capelli vennero catturati dall'acqua, Dragana accese la candela e chiuse le tende per lasciare che l'ambiente fosse illuminato solo dalla loro luce aranciata. Era un'atmosfera a cui si era abituata nell'aula della professoressa Arany, ma non potè evitare che un brivido le percorresse la schiena: quella candela avrebbe determinato il tempo di sopravvivenza di Àkos e, lei, non avrebbe dovuto fare altro che attendere.
***
Àkos non si era mai avventurato fuori dal proprio corpo senza avere la consapevolezza che, dall'altra parte, ci sarebbe stato un altro essere umano pronto ad accogliere la sua Anima. Non era un'operazione pericolosa, se si aveva l'accortezza di mantenere un saldo legame con la realtà, ma in quel momento si trovava completamente immerso in acqua ghiacciata e, a poco a poco, le ultime tracce di ossigeno stavano lasciando i suoi polmoni. L'unico modo per impedire a un'Anima di ritornare nel proprio corpo era, semplicemente, ucciderlo.
Il ragazzo strinse a sé il libro di Amalia Toth, evitando di visualizzare la donna che, per lui, era una completa sconosciuta. Invece, riportò alla mente Dragana.
La prima volta che aveva intravisto il suo volto, sporcato da una sfumatura estranea per l'estetica di quel luogo, si trovava al Caput Taiat. Era raro che Àkos accettasse di sedersi a uno dei tavoli sempre affollati per svolgere i compiti scolastici, ma quel pomeriggio aveva deciso di vedersi con alcuni compagni di classe al locale.
Melissa Ezusfat era entrata con passo spedito qualche ora dopo, raccogliendo diversi sguardi sorpresi per la sua presenza lì: non era famosa per la sua socievolezza, soprattutto in un luogo che accoglieva molti degli Incubi presenti in zona. Quel giorno Àkos aveva intravisto sul suo viso una luce che non la ravvivava da tempo e, senza indugi, aveva cercato di capire quale fosse il motivo. Nell'Anima della ragazza, però, oltre a un leggero fermento, non riuscì a scorgere altro che paura. La tipica rabbia che oscurava ogni emozione di Melissa si ritrovava a condividere un'altra sensazione, ben più opprimente della prima, e Àkos si sorprese a chiedersi quale fosse la fonte di tanta angoscia.
Non dovette aspettare troppo, perché individuò la risposta pochi secondi dopo, quando una ragazza che non aveva mai visto seguì il percorso di Melissa, rallentando il proprio cammino di passo in passo. Àkos rimase immobile a fissare la nuova arrivata, meravigliato da quanto il grigiore della sua, di Anima, riuscisse a prevalere sulla sfumatura rossa dell'Anima di Melissa. Il ragazzo non aveva bisogno di avvicinare la propria mente a quella della sconosciuta per comprendere che ciò che la stava divorando lentamente era una profonda e inaccessibile tristezza. Se Melissa ardeva di rosso per la rabbia che provava verso il mondo esterno, l'altra sembrava pronta a implodere, impedendo a qualsivoglia raggio di colore – che, nel tempo, Àkos aveva imparato ad associare ai sentimenti – di vedere la luce.
La situazione era degenerata in un attimo, ma il ragazzo aveva ben presto smesso di prestare attenzione ai fatti, impossibilitato a credere che, un corpo umano, potesse contenere in sé tanto sconforto senza spezzarsi.
Solo una volta conosciuta Dragana aveva capito che lei, quella tristezza, aveva imparato a gestirla. Dragana la sapeva dosare, dissipare nella maniera corretta, le concedeva di prendere il sopravvento solo quando era certa che nessuno la stesse osservando e, soprattutto, faceva tutto ciò senza rendersene conto. Lottava ogni secondo contro una bomba a mano, riuscendo quasi sempre a disinnescarla prima che potesse esplodere.
Àkos aveva assistito una sola volta alla sua sconfitta, alla festa di Iryna: non aveva idea del perché Dragana si trovasse lì, ma aveva intuito il pericolo quando i tentacoli grigi della sua Anima avevano iniziato a ingigantirsi sotto il suo stesso sguardo. La ragazza si era allontanata prima di cedere e lui l'aveva trovata in uno stato di estrema fragilità, vittima della sua stessa mente. A Dragana non serviva un inalatore, ma le serviva rimettere a posto i pezzi in cui il suo cuore si era frantumato.
Àkos venne distratto dai propri pensieri quando, riaperti gli occhi, non vide l'immagine di Dragana rifratta a causa delle increspature dell'acqua.
Davanti a lui, sotto il sole accecante, c'era un edificio in costruzione. Si avviò in quella direzione, sorpreso dal silenzio che gli stava otturando le orecchie. I ponteggi sostenevano un'abitazione dai tratti essenziali, diversa da quelle che era solito vedere tra le vette innevate dei Monti Fagaras. Entrò tra le mura, richiamato da una presenza che poteva attribuire senza dubbio a un'Anima.
Gli bastò percorrere due stanze, prima di trovarsi di fronte a una donna parecchio più bassa di lui. Ne osservò i capelli color caramello che le ricadevano in ciocche disordinate sulla schiena mentre, con una giravolta, la donna abbracciava l'ambiente intorno a sè.
Interruppe il suo moto, distogliendo gli occhi dal soffitto, ma non perché si era accorta della presenza di Àkos. La sua attenzione era stata attirata da altro. Con lentezza si voltò verso la parete alla sua destra, attratta dal muro non ancora ricoperto dall'intonaco. La donna camminò in quella direzione con passi pesanti, come in un sogno, e allungò una mano per carezzare con le dita affusolate le linee frastagliate create dai mattoni rossi. Osservava un punto preciso, nascondendolo ad Àkos, a cui non sfuggì come la serenità della donna l'aveva abbandonata non appena il suo sguardo si era posato sui mattoni, quasi avesse colto un elemento fuori posto. Un dettaglio estraneo.
«Un leone...» sussurrò la donna. «È la loro lex monetae. Sono qui» continuò, lasciando che le parole le scivolassero tra le labbra con urgenza.
Àkos le si avvicinò, cercando di muoversi con discrezione per non spaventarla.
«Amalia Toth?» chiese, attirandone l'attenzione.
Amalia lasciò scivolare la mano sul muro con un gesto repentino e spostò i propri occhi sgranati sul ragazzo che, ormai, si trovava al suo fianco. Àkos riconobbe subito, nel loro taglio tondeggiante, il castano freddo che Dragana aveva ereditato dalla madre. A differenza di quelli della ragazza, gli occhi di Amalia non erano circondati dal costante ombretto nero e, quando Àkos si soffermò più a lungo su essi, capì che erano un'arma a doppio taglio: non solo, nella loro nudità, non avevano nessuna difesa dagli sguardi esterni, ma lasciavano anche trapelare quello che, solitamente, Dragana era brava a nascondere.
Àkos fece un passo indietro, accigliato. Gli occhi di Amalia lo cercarono con disperazione, per poter riversare su di lui tutto il suo terrore.
«Sono qui» ripetè la donna, così velocemente che le sillabe si sovrapponevano le une alle altre. «Hanno la pelle dipinta dal sole, i leoni dorati sono qui sono qui sono qui.»
La donna continuò la propria litania anche quando il suo sguardo, carico di orrore, si tinse completamente di nero.
Vi fu un attimo, fugace e quasi inesistente, prima dell'inevitabile. Àkos, in quell'istante, scorse la consapevolezza sul volto della donna che, fissandolo come se lo vedesse chiaramente di fronte a lei, gli sussurrò le uniche parole che non avrebbe potuto fraintendere: «Il tuo tempo è finito».
Poi, tutto esplose.
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