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27. Ti succede spesso?

La biblioteca e l'aula di arte erano, per Dragana, luoghi di sospensione dal tempo. Quando entrava in quegli ambienti, così diversi fisicamente ma allineati sullo stesso piano sensoriale, ogni pensiero veniva sostituito dai dettagli che iniziavano, a poco a poco, a occupare interamente il suo campo visivo. Quel venerdì, con le mani ancora sporche di carboncino e l'olfatto pregno della polvere che regnava nell'aula della professoressa Arany, Dragana sollevò lo sguardo per ammirare estasiata le colonne della biblioteca, opere d'ingegno che ogni volta le rivelavano particolari a un primo sguardo nascosti.

«Külföldi» la chiamò Àkos, attirando la sua attenzione. Erano arrivati quasi nello stesso momento e a Dragana bastò un mezzo giro su se stessa per ritrovarsi di fronte al ragazzo.

«Idiota» rispose al saluto, in italiano, rivolgendogli un sorriso tirato.

Àkos assottigliò lo sguardo, ma non le diede segno di aver intuito il suo insulto, perché allungò una mano per farle strada. «Scegli il posto che più ti aggrada.»

Dragana si guardò intorno: diversi tavoli erano affiancati agli scaffali carichi di libri, alcuni ospitavano qualche studente solitario e altri, più lunghi, gruppi di amici o compagni di classe intenti a studiare. Tornare al centro del labirinto era un'idea da escludere: aveva imparato a non temere Àkos, ma non voleva restare da sola con lui.

Alla fine, quindi, senza renderlo partecipe della sua scelta si diresse a un tavolo libero leggermente appartato rispetto agli altri, valutando che in quel modo sarebbero rimasti in vista, ma avrebbero anche potuto parlare liberamente senza essere sentiti.

«Posso restare solo un'ora» lo avvertì.

«Credevo che scoprire qualcosa su di te valesse più dello scorrere del tempo» si oppose Àkos, appoggiando i gomiti sulla superficie del tavolo.

In risposta Dragana alzò gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto prima di abbandonarsi sullo schienale.

«Procediamo così» iniziò Àkos, metodico. «Voglio innanzitutto capire fino a dove tu sia in grado di arrivare.»

Dragana si sporse verso di lui, guardandolo con sospetto: «Perché sei così sicuro delle tue supposizioni?»

«Perché» iniziò il ragazzo, «io sono Àkos Farkas. E non sbaglio mai.»

La ragazza spalancò la bocca con finta sorpresa. «Vuoi un applauso?» gli chiese retorica.

«Smettila di ostacolarmi il compito solo perché temi che io abbia ragione» tagliò corto lui. «La cosa più semplice da fare, per noi, è intuire lo stato d'animo altrui: ti è mai capitato di essere consapevole in modo quasi fastidioso dei sentimenti di chi ti sta di fronte?»

Dragana assottigliò lo sguardo: si stava prendendo gioco di lei?

«Si chiama intelligenza emotiva, non è una vostra prerogativa» gli fece notare.

«Nostra, impara ad accettare che condividiamo qualcosa di importante» le rispose Àkos, senza scomporsi. «Scalino successivo: ti è mai capitato di sentirti strana, piena di pensieri ed emozioni di solito estranei a te?»

Dragana ci pensò, ma lì per lì non riuscì a trovare una risposta sicura. A tutti capitavano momenti simili, non li avrebbe definiti una stranezza.

«No» disse alla fine, alzando le spalle per dimostrargli tutto il suo scetticismo.

«Pensaci un attimo. Non è raro che gli Incubi più giovani non riescano a gestire le sensazioni che leggono involontariamente, soprattutto se sono in stato di incoscienza: in quei momenti sono come fanali per le Anime e-»

«In stato di incoscienza?» lo interruppe Dragana, sollevando lo sguardo su Àkos.

«Mentre mediti, sei soprappensiero, dormi...» specificò lui, paziente.

«Io...» La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di ricordare meglio. «Mi capita di sognare di essere altre persone e, la mattina successiva, sono sempre di pessimo umore.»

L'ultima volta era successo con Melissa: non era riuscita a togliersi del tutto dalla mente la somiglianza tra il gatto della cugina e il sogno che aveva fatto qualche tempo prima, quando ancora non ne conosceva l'esistenza, ma era sicura fosse solo una coincidenza.

«Ti succede spesso?» continuò a indagare il ragazzo, che sembrava genuinamente interessato alle sue risposte.

«Non troppo di frequente, ma magari ho solo una fervida immaginazione» riconobbe lei, con un sorriso amareggiato. Non gli disse che, ogni volta che le capitava di fare quei sogni vividi, si svegliava a causa delle epistassi notturne. Era sicura che gli episodi non fossero collegati, ma il dubbio iniziò a farsi più concreto. Scosse piano la testa, allontanando quel pensiero: erano le parole di Àkos a suggestionarla, stava collegando elementi che non avevano niente in comune.

«Lasciamo questo punto in forse» le concesse. «Non rimane che la parte divertente: la lettura dell'Anima.»

«Avvertimi, quando superiamo le capacità concesse dalla legge» chiosò Dragana, che aveva già sperimentato quanto Àkos fosse poco incline a rispettare le regole sui suoi poteri.

«È inevitabile captare i pensieri dell'Anima di chi abbiamo di fronte. Non ti preoccupare» precisò, prima che lei potesse intervenire, «quando si acquisisce una certa pratica si capisce anche come bloccare tutti gli stimoli esterni: sei al sicuro, non ti sto leggendo la mente.»

Dragana sbuffò: iniziava a stancarsi di quella situazione, era palese che non avesse nemmeno la metà delle capacità di quelli come Àkos e le sembrava solo una perdita di tempo. Probabilmente avevano ragione Sokrat e Nastia, in lei non c'era proprio nulla degli Incubi.

«Fammi indovinare, ora mi siedo a gambe incrociate, pronuncio qualche "ohm" e poi potrò far fluttuare la mia anima fuori dal corpo?» domandò ironicamente. Àkos le aveva già dimostrato che le pratiche da lui usate, come il rito per contattare Amalia, non erano dei giochi, ma Dragana faceva ancora fatica a credere a qualcosa che aveva sempre ritenuto un'arte fallace.

Àkos sorrise tronfio, non lasciandosi influenzare dal suo scetticismo. «Niente versi strani. Chiudi gli occhi» le ordinò.

«Preferirei di no» si oppose con fermezza Dragana: voleva tenere la situazione sotto controllo.

«Va bene, niente occhi chiusi; ti piace scegliere la strada più difficile» sospirò. «Hai mai fatto meditazione?»

«No» rispose dubbiosa la ragazza.

Àkos sogghignò per la sua indisposizione. Lo stava mettendo in difficoltà, per fargli capire in ogni modo che aveva torto e che ogni suo sforzo gli si sarebbe ritorto contro. La testardaggine della ragazza lo fece sorridere: avrebbe potuto usare i propri poteri per convincerla delle sue parole, ma voleva che fosse Dragana, di sua spontanea volontà, a riconoscere che lui aveva sempre avuto ragione.

«Non importa. Siediti dritta, prova a rilassare le spalle e metti le mani sul tavolo» istruì Àkos.

Dragana all'inizio non si mosse, indecisa se concedere ad Àkos il beneficio del dubbio facendo qualcosa che aveva sempre considerato stupido, ma a un'occhiata tagliente del giovane si decise a eseguire gli ordini. Si sistemò meglio sulla sedia, staccandosi dallo schienale per migliorare la sua posizione e portò i pugni sul tavolo.

«I palmi verso il basso» la corresse Àkos, sfiorandole le mani. Quando le loro pelli si incontrarono, Dragana contenne l'istinto di sottrarre le dita da quelle del ragazzo. Non le piaceva la naturalezza con cui Àkos aveva afferrato i suoi pugni per farle aprire i palmi sulla superficie di legno, né la scioltezza della risposta del proprio corpo. Non gli fece intendere, però, il fastidio che aveva iniziato a solleticarle lo stomaco e si limitò a posare i polpastrelli sulla superficie in legno.

«Concentrati su un oggetto e focalizzati sul presente. Accogli tutto quello che ti sta intorno, gli altri studenti, i mormorii, il fruscio delle pagine...» la sua voce divenne più soffusa e, suo malgrado, Dragana decise di dargli un'opportunità.

Portò lo sguardo oltre le spalle di Àkos, osservando la neve che cadeva soffice fuori dalla finestra. Ne studiò l'architettura e il vetro sporco che rifletteva le luci interne, accolse i rumori dell'ambiente, i passi leggeri di chi vagava in cerca di libri, i sussurri frenetici che correvano da un banco all'altro.

«Resta sempre nel presente e regola il respiro. L'aria fredda che entra dal naso; il soffio caldo che ti abbandona la bocca. Immagina l'ossigeno arrivare ai polmoni e colmarli, superarli e diffondersi attraverso le braccia, le mani, le dita.»

Dragana ascoltava le indicazioni di Àkos senza distogliere gli occhi dalla finestra e provava a metterle in pratica. Si ritrovò, senza accorgersene, a chiudere gli occhi e ad ascoltare il proprio corpo, mentre la gabbia toracica si dilatava e il diaframma si abbassava per far entrare l'aria.

«Ignora i pensieri che si formano nella tua mente e cerca di scendere sempre più nel profondo. Resta ancorata al presente, non scordarti che sei qui e ora

Dragana percepì le venature pronunciate del tavolo su cui sostavano i suoi palmi. Il suo respiro. La corrente di aria fredda che qualcuno aveva lasciato entrare dalla porta. I polmoni che si riempivano. Lo scricchiolio delle sedie. L'aria che abbandonava il suo corpo.

«L'indagine sull'uomo si rifà alla Natura, i cui elementi sono di volta in volta archè...»

«Questa materia è troppo difficile.»

«Ma quanto parla?»

Dragana spalancò gli occhi, voltandosi alla sua destra. Era sicura che qualcuno le avesse sussurrato quelle frasi frammentate all'orecchio, eppure vicino a loro non c'era nessuno.

«Novità?» le chiese Àkos, sollevando le sopracciglia come se sapesse già cosa fosse successo.

«Nessuna» mentì Dragana, tornado a girarsi stranita e mettendo di nuovo le mani posate sul tavolo.

«Penso ti serva questo» insinuò però lui, con tono cauto. Stava allungando una mano verso di lei per porgerle un fazzoletto di tessuto e, prima di prenderlo, Dragana sentì una sostanza liquida lambirle le labbra. Abbassò lo sguardo e la goccia di sangue, che aveva abbandonato il suo naso, cadde sulla camicia scolastica.

Sbatté le palpebre, rilasciando un verso di sorpresa, e si impose di stare calma. Si portò il palmo sotto alle narici, arginando la seconda goccia scarlatta che minacciava di cadere, e lanciò un'occhiata confusa ad Àkos che, immobile, osservava la sua reazione.

«Devo andare» dichiarò, rivelando nella voce spezzata tutta l'agitazione che stava cercando di celare al ragazzo. Si allontanò dalla biblioteca senza dare altre spiegazioni e, una volta fuori, iniziò a correre per i corridoi fino a trovare un bagno. Una volta dentro, si appoggiò con le spalle alla porta.

Cosa stava succedendo?

Sollevò la mano, il cui palmo era sporco di sangue. Epistassi. Lasciò la borsa a terra, chinandosi per recuperare l'inalatore: prese un respiro profondo e poi si affrettò verso il lavandino per pulirsi il viso e le mani tremanti.

«Stai calma» si impose, strofinando la pelle con foga.

Sollevò lo sguardo, cogliendo nello specchio sporco di schizzi d'acqua la sua immagine riflessa. Era più pallida del solito, ma diede la colpa al contrasto della sua pelle con l'ombretto nero. Tolse gli ultimi residui di sangue dal volto e cercò di ignorare la macchia che le aveva sporcato la camicia.

Inspirò.

Era tutta suggestione, Àkos voleva dimostrarle di avere ragione e aveva usato qualche trucco per farle credere che la sua tecnica meditativa avesse effetto su di lei.

Si guardò di nuovo allo specchio. Scorse gli occhi di sua madre, i suoi capelli biondi, la mascella pronunciata. Molti, lì, avevano sottolineato la sua somiglianza con Crin, eppure per tutta la vita le era stato ripetuto che il suo aspetto ricordava di più quello di Amalia. E se la somiglianza non si fosse limitata solo all'aspetto fisico... Allora quanto c'era, in lei, di sua madre?

***

Dragana era ancora davanti allo specchio, quando venne riportata alla realtà da un bussare insistente.

«Külföldi, apri la porta» le ordinò Àkos, fuori dal bagno. Sentiva nel suo tono l'urgenza, ma non avrebbe avuto la forza di affrontarlo, non quando la verità che non voleva accettare sarebbe stata palese nello sguardo del ragazzo.

Lo ignorò, stringendo il broncodilatatore tra le dita ancora bagnate. Da quando lo aveva conosciuto non aveva fatto altro che desiderare di stargli lontano, ma poi si ritrovava sempre a tornare da lui. Perché non poteva semplicemente dimenticarsi di Àkos? Perché sentiva quell'incessante bisogno di chiedere il suo aiuto?

«Dragana» chiamò di nuovo il ragazzo, con tono serio. Non l'aveva mai chiamata per nome e quell'atto sottolineò quanto avesse bisogno di accertarsi che stesse bene.

Non voleva vedere di nuovo il suo irritante sorriso di vittoria, non voleva sentire ancora le sue ragioni. Voleva starsene da sola, non aveva bisogno che Àkos le ribadisse quello che ormai aveva iniziato a sospettare anche lei.

«Sei davanti al bagno delle ragazze, maniaco» sopraggiunse un'altra voce, dal tono tagliente e arrogante.

Dragana chiuse gli occhi incredula: solo una porta la divideva dalle uniche due persone con cui non avrebbe voluto avere a che fare in quel momento.

«Non sono affari tuoi, torna a ignorare il mondo» ribatté Àkos.

«Leggere la mente altrui ti ha fuso completamente il cervello, fenomeno da baraccone?» chiese pungente Melissa. «Oh, aspetta, mi sa che gli ultimi neuroni che ti sono rimasti in testa hanno qualche problema di comunicazione. Permettimi di spiegarti: se non la lasci subito stare ti faccio passare le pene dell'inferno, al costo di perseguitarti io stessa per il resto dei miei giorni. Lèvati e fammi entrare.»

Melissa entrò in bagno senza farsi scrupoli, richiudendo l'uscio prima che Àkos potesse anche solo provare a seguirla.

«Sei incorreggibile, văr» sospirò Melissa, appoggiandosi al lavandino vicino a quello di Dragana con le mani posate sui fianchi. Osservò la cugina attraverso lo specchio con sguardo attento, soffermandosi sull'ombretto sbavato, l'acqua che le colava dal mento e il sangue sulla camicia.

«Hai ignorato i miei avvertimenti» constatò, alzando le sopracciglia.

«Perspicace» sospirò Dragana, asciugandosi le mani sul tessuto della gonna.

«Perché?» le chiese allora Melissa con tono accusatorio, prendendo un asciugamano e passandoglielo.

Dragana accettò l'offerta, asciugandosi il viso con il tessuto morbido e facendo attenzione a non sporcarlo con il trucco.

«Perché nessuno mi dà le risposte che cerco e Àkos...»

«È un Incubo» la interruppe Melissa. «E ti avevo detto che avrebbe portato disgrazie.»

«Sto bene» la tranquillizzò Dragana, voltandosi verso la cugina per affrontarla a viso aperto.

«Oh, certo!» ironizzò Melissa, schioccando le labbra colorate di rosso. «Non mi interessa della tua salute, văr, ma del fatto che avere un Farkas nei paraggi non è mai, mai, una buona cosa. Fidati, dimenticati di tutta questa storia e cerca altri modi per rispondere alle tue domande da quinta elementare: c'è una biblioteca ben fornita, hai a disposizione un sacco di Erranti che possono darti spiegazioni e una famiglia a cui rivolgerti.»

Dragana la fissò con irritazione, stringendo le labbra tra loro. Per un attimo aveva creduto che Melissa fosse davvero lì per lei, invece erano tornate al punto di partenza: alla cugina non importava di Dragana, la riteneva solo un elemento accessorio che doveva rispettare i canoni degli Ezusfat.

«Sai sempre come essere delicata» chiosò con amarezza, lanciandole addosso l'asciugamano umido. Melissa spalancò la bocca, lasciandosi sfuggire un verso di stupore quando il tessuto le colpì con forza il viso, ma Dragana le aveva già voltato le spalle per uscire dal bagno.

Àkos si era dileguato, probabilmente stanco di aspettare, e la ragazza si avviò per i corridoi con l'intenzione di tornare a casa. Era quasi all'ingresso, quando le parole di Melissa iniziarono a rimbombarle per la mente. Forse l'intervento della cugina non era stato del tutto inutile.

Rallentò il passo e, invece di proseguire verso l'esterno, tornò nei corridoi. Rifece il percorso che aveva seguito il primo giorno di scuola con Nastia, salendo le scale verso il piano superiore e venendo illuminata, passo dopo passo, dal sole che filtrava attraverso le vetrate colorate.

In quel momento capì perché all'inizio non era riuscita a riconoscere i disegni rappresentati su esse: erano le leggende locali, riproducevano la storia del Peccato Originale e gli avvenimenti che avevano portato Maledetti e Mietitori ad arrivare fino ai Monti Făgăraș. Non badò troppo sull'architettura, lasciandosi alle spalle l'arcobaleno che le lambiva la pelle, e continuò a camminare fino a incontrare l'ostacolo che avrebbe dovuto superare.

Si fermò in mezzo al corridoio, fissando con insistenza la stanza davanti a lei. Lì dentro c'erano certezze che né la sua famiglia, né Akos le avrebbero potuto dare. Non le serviva una testimonianza diretta, quando i nomi di ogni alunno erano custoditi in un luogo ben più concreto: il registro dove la stessa Dragana era stata iscritta con cura. Per risolvere i propri dubbi non doveva fare altro che oltrepassare una banale, indifesa porta. Quella dello studio della preside Dančov.

***

Melissa non si era mai interessata a quello che la cugina decideva di fare delle sue giornate, né tantomeno della sua vita. Le bastava non intercettare la sua faccia volgare, né sentire la sua pronuncia sporcata da una lingua straniera. Quando, però, durante la paura pranzo l'aveva vista di nuovo in compagnia del Farkas, il dubbio aveva cominciato a strisciare nelle retrovie dei suoi pensieri. Perché mai l'Incubo aveva iniziato a rivolgere la parola a una Mietitrice? Una mezza Ezusfat, per di più, il cui sangue impuro si poteva percepire da metri di distanza.

Uscì dal bagno con sguardo attento, decisa a ritrovare la cugina che era scappata via dalle sue parole. Possibile che quella ragazza fosse così testarda? Tra tutti gli alunni della scuola, doveva andarsi a invischiare con gli Incubi? Melissa avrebbe preferito vedere Dragana sempre da sola, al massimo in compagnia dei suoi due nuovi amici, invece scommetteva che la cugina aveva appositamente scelto la compagnia sbagliata per infastidire lei, la nonna e zio Mac. Non sopportava la nuova arrivata, il suo rispondere con insolenza alle provocazioni, il suo aver attirato l'attenzione di tutti. Era una nullità, avrebbe dovuto restare nel suo Paese, lontana dalla tranquillità che aveva spezzato con il suo arrivo, eppure... Eppure Melissa era lì, a cercare con lo sguardo il colore sbagliato dei suoi capelli, a inseguire Dragana per impedire che si mettesse nei guai. Quanto era stupida. Avrebbe dovuto lasciarla in balìa del Farkas, avrebbe dovuto tacere l'accaduto con zio Mac e smettere di preoccuparsi per chi non faceva parte della sua famiglia.

Si diresse in mensa, dove riuscì a individuare con qualche difficoltà l'Intoccata che di solito affiancava Dragana. Le si avvicinò con passo deciso, parlandole prima che la ragazza notasse la sua presenza.

«Hai visto mia cugina?» chiese con tono tagliente, indispettita dal dover rivolgere la parola ad altri.

Nastia si voltò con la sorpresa dipinta in volto. «Da quando ti importa di lei?»

Melissa posò le mani sui fianchi, indossando lo sguardo più serio di cui era in grado. «Non ho tempo per starti a spiegare le mie motivazioni, cadavere vivente. Se non lo sai, sei più inutile di quanto sospettassi.»

Nastia spalancò la bocca indignata. «Ma chi ti credi di essere?»

«L'unica che si rende veramente conto di quanto stia accadendo.»

L'intoccata la fissò con sospetto per qualche secondo, prima di concederle la sua risposta. «Dragana-Erica ha detto che aveva da recuperare alcuni compiti, ti stai preoccupando per niente» le spiegò.

Melissa maledisse Dragana mentalmente. Era arrivata anche al punto di mentire ai suoi amici?

«Sì, certo. L'altro vostro seguace, l'animale, dov'è?»

«Si chiama Sokrat. Sarà nella sua stanza delle foto-cose, segue il corso di Cultura Straniera» le rispose sbrigativamente Nastia con un'alzata di spalle.

A Melissa bastò quell'indicazione e, senza nemmeno ringraziare, si allontanò dalla mensa. Conosceva la camera oscura, ma non aveva mai avuto intenzione di seguire un corso inerente argomenti riguardanti l'esterno. Perché la scuola li proponeva, poi, per lei era sempre rimasto un mistero. Si spostò rapida tra i corridoi, sempre più convinta che sarebbe stato tipico di Dragana andare a cercare una spalla amica su cui piangere. Quando arrivò di fronte all'aula, spalancò la porta senza bussare, sicura che ad accoglierla sarebbe stata la visione tragica della cugina confusa dalla vita.

A riceverla, però, fu una luce rossa soffusa, che la costrinse a socchiudere gli occhi per riuscire a capire come orientarsi in quella tana per animali.

«Cavolo» sentì esclamare, prima che la porta alle sue spalle venisse chiusa con urgenza.

Melissa aggrottò le sopracciglia, in cerca delle parole adatte per descrivere il suo sconcerto.

«Cos'è questa puzza?» chiese alla fine disgustata, senza ancora riuscire a mettere a fuoco l'ambiente a causa dell'assenza improvvisa di illuminazione.

«Le chimiche» le spiegò quello che Melissa riuscì a riconoscere come il Notturno.

«Sei molto esaustivo» replicò ironica lei. «Possiamo accendere una luce? Questa ricreazione dell'ambiente naturale di voi animali non si adatta a me.»

Sokrat si limitò a lanciarle uno sguardo serio, senza la presunzione di risponderle a tono. Ritornò al proprio lavoro, trattenendo un sospiro di sconforto per il rullino che era stato rovinato dall'entrata in scena della Mietitrice.

«Va bene, restiamo in questa atmosfera retrograda. Hai visto mia cugina?» continuò Melissa, portandosi le mani sui fianchi e fissando Sokrat, che le aveva dato la schiena. «Ma come comunicate tra voi, a versi?» infierì ulteriormente Melissa, notando l'assenza di reazione del ragazzo.

Sokrat sbatté una mano sul ripiano su cui stava lavorando, prima di voltarsi verso la ragazza. «Quando hai finito di riversare su di me il tuo odio ingiustificato, sei pregata di uscire» le disse con gentilezza, pur mantenendo un'espressione innervosita.

Era la seconda volta che Melissa si trovava senza parole di fronte a qualcuno e, soprattutto, era la seconda volta che lo sguardo fermo del ragazzo la faceva vacillare. Tolse con lentezza le mani dai fianchi, per incrociare le braccia sul petto.

«Pensavo fosse qui, a quanto pare ci siete solo tu e la tua indisposizione» gli rispose, anche se il suo tono aveva perso la sua tipica acidità.

Al posto di uscire, però, rimase ferma al centro della stanza, mentre Sokrat ritornava a occuparsi dei suoi compiti. Non aveva senso continuare a cercare la cugina, non aveva altri indizi su dove trovarla o, almeno, così cercò di giustificare la sua decisione di rimanere in quella tomba rossa. Si guardò intorno, dal momento che i suoi occhi si erano abituati a quell'anomala oscurità, e notò sul ripiano di lavoro alcune bacinelle di acqua e sopra la propria testa dei fili tirati da una parete all'altra, sui quali erano appesi diversi fogli rettangolari.

Allungò una mano per prenderne uno e, quando si portò vicino al volto la superficie traslucida, vi scorse sopra un'immagine. Era abituata ai tratti consistenti dei pennelli, invece quel quadro in miniatura riportava ogni particolare del frammento di vita che era stato intrappolato per sempre. Non c'erano colori, se non il riflesso rosso generato dall'atmosfera circostante. Melissa osservò ammirata la donna che faceva capolino tra due bambini, i cui corpi sfocati sembravano quasi suggerire i loro movimenti. La ragazza riuscì a immaginare l'attimo in cui quel momento era stato fermato nel tempo: la donna che sorrideva con gioia, i figli impazienti di vedere il risultato, l'eco dell'amore che riusciva a percepire anche in quell'oggetto a lei estraneo.

«Dovresti uscire, la pausa pranzo sta per finire.»

La voce di Sokrat la riportò alla realtà. Il ragazzo la stava osservando con curiosità, in attesa di una sua risposta acida, e lei si affrettò a togliere dal proprio viso ogni traccia di nostalgia.

«Certo» rispose in un sussurro, impedendosi di far cadere ancora una volta gli occhi sull'immagine che teneva tra il pollice e l'indice. Si guardò attorno confusa e si costrinse a pensare che quello che provava era disagio per essere in uno spazio così ristretto in presenza di un animale.

Porse l'immagine a Sokrat, che la prese senza nemmeno guardare quello che era ritratto: Melissa non gli era mai parsa in difficoltà, eppure in quel momento sembrava che stesse soffocando nel suo stesso corpo. Abbassò gli occhi sulla fotografia, riconoscendo il momento in cui l'aveva scattata alla madre che cercava di tenere a bada i fratelli minori. Non era un'istantanea riuscita, i volti dei gemelli erano sfocati a causa dei tempi di esposizione troppo lunghi rispetto alla loro pazienza, ed era sicuro che nel rullino ci fosse qualche lavoro migliore.

Sokrat sospirò, già pentito della scelta di dare una risposta a Melissa, ma alla fine le concesse: «Dragana ha detto che aveva dei compiti da recuperare, magari è in biblioteca.»

Melissa sollevò il mento, in un gesto impertinente che le aveva visto fare più volte, ma in quel momento del tutto incongruente con il calore che poteva scorgersi nei suoi occhi. Sokrat pensò che fosse solo preoccupata per la cugina, anche se quella prospettiva gli sembrò subito alquanto irrealistica.

«Me la cavo da sola, torna a pasticciare con quest'acqua putrida.»

Melissa uscì senza attendere risposta e a Sokrat parve una vera e propria fuga, anche se non era sicuro se stesse scappando da lui o da se stessa.

NdM
Pov Melissa >>>>> pov Dra.
Scusa, Dragana, ma sono abituata a narrare dal tuo punto di vista e Melissa è una scoperta frase tagliente dopo frase tagliente.

Che ve ne pare di Mel? Intuizioni su quello che nasconde il suo cuoricino ghiacciato?

Oggi ospite speciale del capitolo Theblackcatshadow a cui ho chiesto questo STUPENDO manip su Dra: quanto è brava?! C'è il sangue al naso, il ciondolo, il libro, ADDIRITTURA IL PIERCING AL NASO 😍😍😍

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