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21. Non indossare il bianco

Con lentezza erano trascorsi anche gli ultimi due giorni di scuola e, quel venerdì, Dragana affrettò il passo per tornare a casa, dove il caminetto accesso avrebbe quietato il freddo che le era entrato nelle ossa. Superò di pochi metri Melissa e si fiondò in salotto, da dove proveniva la luce calda del fuoco, ma appena mise piede nella stanza rimase interdetta, trovando la nonna seduta su uno dei divani insieme a un ospite: non vedeva la donna da settimane, entrambe avevano studiato l'arte dell'evitarsi e trovarsela di fronte, con una tazza in porcellana sospesa davanti alla bocca e lo sguardo severo, ebbe lo stesso effetto della neve all'esterno della casa. Dragana si gelò sul posto, ostacolata dal volto ostile della donna, e lanciò una veloce occhiata a chi aveva avuto lil coraggio di uscire di casa per raggiungere la loro abitazione solo per la compagnia della nonna.

«Come vedi abbiamo visite e non gradisco la tua presenza» sibilò sprezzante la nonna, ricordandole in quel momento più che mai l'indisposizione tipica di Melissa.

«Non preoccuparti Mătrăgună, io e la straniera abbiamo già fatto conoscenza» disse l'ospite, voltandosi di profilo così che Dragana potesse avere conferma della sua intuizione.

I lunghi capelli lattei, raccolti quel giorno in due codini alti, non lasciavano spazio al dubbio, ma fu solo quando la bambina si voltò dedicandole un sorriso sdentato che Dragana fu certa della sua identità: era Verica, la lettrice di tarocchi.

«Oh, Santo Dracula, sono così dispiaciuta che tu abbia dovuto parlare con lei!» esclamò la Nonna con tono addolorato, portandosi una mano al cuore.

«Non essere sciocca, è un piacere per me vedere le vite altrui» continuò la bimba, facendo segno a Dragana di avvicinarsi.

«Spero che la sua sia piena di difficoltà. E breve» sussurrò la nonna, portandosi alle labbra la tazza di tè per annegare le sue stesse parole. Dragana decise di ignorarla, rivolgendo un saluto cortese alla bambina.

«Non sapevo conoscessi la nonna, credevo i tuoi interessi fossero più attuali» aggiunse poi.

Verica le dedicò un sorriso divertito, che si affrettò a nascondere dietro la piccola mano. «Mătrăgună mi conosce da un bel po' di tempo, fa un'ottima tisana alla calendula» la informò, alzando una tazza che, però, era ancora piena. Probabilmente, pensò Dragana, era stata la nonna a insegnare a Verica a leggere i tarocchi, forse proprio con l'intento di spaventare la gente.

«Fai attenzione che non ci aggiunga un po' del suo veleno» le suggerì Dragana, riferendosi al nome della nonna. La belladonna era un fiore tanto elegante quanto pericoloso, così come la stessa Mătrăgună. Dragana salutò le due con un cenno del capo, avviandosi verso la sua camera per prepararsi alla festa che si sarebbe tenuta nel pomeriggio, ma si accorse che Verica l'aveva seguita con il suo passo saltellante, allacciando le mani dietro alla schiena e mettendo in mostra la bocca sdentata.

«Portati un cambio» sussurrò, quasi per non farsi sentire dalla nonna. Dragana strinse le labbra tra loro, un piede già sul primo scalino per scappare al piano superiore, e la osservò senza capire. Verica ampliò il proprio sorriso, prendendo tra le dita il blazer della divisa scolastica. «Per questa sera. Non si sa mai.»

Dragana ringraziò dubbiosa Verica, che tornò in salotto per concludere l'incontro con la nonna, e prima di andarsi a cambiare pensò di cercare Mac. Lo trovò nella biblioteca, intento a leggere un libro così pesante che era costretto a lasciarlo adagiato sulla scrivania, e bussò con le nocche sullo stipite per far notare la propria presenza.

«Zio Mac» si annunciò, entrando nell'ambiente polveroso. Lo zio alzò lo sguardo, portandosi la mano destra ad accarezzare i baffi, e fece segno a Dragana di avvicinarsi.

«Spero che la neve ti piaccia, ne avremo per un bel po'» le annunciò, suscitando una smorfia contraria sul volto di lei. Chiuse il tomo, avendo cura di mettere il segno con una penna stilografica, e iniziò a preparare l'essenziale per la pipa.

«Questo pomeriggio vorrei andare da Nastia, se per te va bene» lo avvertì. «Anastasya Skripko, una festa per sua cugina» aggiunse, notando lo sguardo confuso dell'uomo.

Mac spezzettò il tabacco scuro con la punta delle dita, inserendolo nella camera di combustione e pressandolo con poca decisione. «Sono sorpreso che tu frequenti gli Intoccati» rifletté, con tono neutro.

«Nastia mi ha aiutata molto ad ambientarmi, è una buona amica» gli riferì Dragana, alzando le spalle.

«Mh.» Lo zio accese un fiammifero, strofinandolo sulla suola delle scarpe, poi aspettò che la fiamma divampasse per qualche secondo prima di avvicinarla al tabacco e allora, portandosi la pipa alla bocca con un gesto lento, diede qualche boccata secca e regolare. «Non pensavo fosse il genere di celebrazioni che ti piacciono. Sei sicura di volerci andare? Di sapere perché la cugina della tua amica festeggia?»

Dragana alzò gli occhi al cielo. «Me l'ha accennato ieri, sì. È solo una festa, rimango giusto per salutare Nastia e poi torno a casa.»

Mac, che aveva iniziato ad aspirare dalla pipa con lunghe e rilassate tirate, la osservò qualche secondo con il dubbio dipinto in volto, prima di concederle: «Se è quel che desideri, va bene. Fatti accompagnare in auto da Sănder, però, e rimarrà ad aspettarti fino a quando sarai pronta per tornare.»

Dragana si sorprese di come fosse stato semplice convincere lo zio: pensava che le avrebbe impedito di lasciare la casa e di mischiarsi ad altri adolescenti, invece erano bastate un paio di precisazioni e aveva ottenuto il suo consenso. Felice ringraziò lo zio, per poi salire di corsa le scale appena si rese conto che avrebbe avuto meno tempo del previsto per prepararsi.

***

In poco meno di un'ora Dragana si era dovuta lavare e vestire, dal momento che la festa si sarebbe svolta prima del tramonto così da permettere anche ai Notturni di prendervi parte. All'ultimo secondo, prima di uscire di casa, Dragana era tornata indietro e aveva recuperato una maglietta di ricambio, arrotolandola senza troppa cura e infilandola nella tasca del cappotto: non voleva ammettere di aver dato ascolto a Verica, ma pensò che uno strato in più, se avesse avuto freddo, non sarebbe stato un male.

Sănder la lasciò di fronte a un edificio a due piani, che si sviluppava per larghezza e anticipava, grazie alle luci e al movimento che si intravedevano dalle finestre, una grande partecipazione.

«Puoi andare a casa, non ho problemi a tornare a piedi» disse Dragana, rivolgendosi a Sănder che per il breve tragitto non aveva aperto bocca.

«No» borbottò perentorio lui, senza nemmeno degnarla di uno sguardo.

«Almeno entra, non stare qui a gelare...» provò di nuovo. All'ennesimo rifiuto, Dragana lasciò il caldo abitacolo dell'auto e si diresse tremante verso la porta d'ingresso.

Si sorprese nell'associare gli elementi decorativi della casa allo stile liberty: non era tra le sue architetture preferite, ma il movimento conferito dalle forme organiche e dalle linee curve sembrava dare vita all'abitazione. La porta era stata lasciata socchiusa e, quando entrò, si ritrovò guidata da una scia di lanterne che si susseguivano per tutto il corridoio fino ad arrivare al salone principale della dimora.

Ciò che catturò la sua attenzione, però, fu l'eleganza della maggior parte degli invitati. Lei si era limitata a indossare i jeans più pesanti che aveva e una maglietta bianca a maniche lunghe, e ringraziò di aver indossato all'ultimo un giubbino in pelle decorato sulla schiena e sulle braccia da frange dello stesso materiale, che davano al capo comprato anni prima a un mercatino dell'usato un minimo di preziosità. Stava ancora studiando la folla, composta dai diversi Maledetti che popolavano il paese, quando si sentì picchiettare su una spalla.

«Lo sapevo che non avresti resistito ai miei occhi dolci» insinuò Nastia, che le si presentò di fronte in un corto vestito estivo. La stoffa leggera la fasciava come se fosse stato fatto su misura, aprendosi sui fianchi in pieghe sinuose, e il colore saturo – un rosso cupo che a Dragana ricordava la tonalità del rossetto di Melissa – si contrapponeva in modo sublime con il pallore della sua pelle. Le spalline sottili, inoltre, lasciavano scoperte le braccia, portando alla luce le cicatrici che le decoravano i polsi ed erano sfoggiate come veri e propri gioielli.

«Più persone siamo, più ci si scalda, no?» chiese retorica, con un sorriso tirato. Forse aveva sbagliato ad accettare l'invito senza pensare che si sarebbe trovata insieme a gente a lei sconosciuta.

«Già, anche se gli Erranti non emettono calore, gli Intoccati non hanno sangue in corpo e gli Incubi se ne stanno per i fatti loro» rispose Nastia con un sorriso tirato. «Però i Notturni sono sempre disposti a un po' di movimento. Andiamo, sta per iniziare la parte migliore!»

Dragana ignorò l'occhiolino dell'amica, seguendola in mezzo alla folla fino a che non si ritrovarono in un salotto privo di ornamenti: i mobili erano stati tolti per fare quanto più spazio possibile e la maggior parte degli invitati era stipata lì, anche se al centro del capannello di persone era stato lasciato uno spazio vuoto. Nastia sospinse Dragana fino a che non arrivarono in prima fila: circondata dagli invitati c'era una donna poco più grande di loro, con boccoli dorati che le ricadevano sul vestito in chiffon bianco lungo fino ai piedi. Nastia le sorrise con gioia e lei le concesse una muta risposta, portandosi le mani al petto come a contenere la propria agitazione.

«Ringrazio tutti per essere venuti» iniziò a dire, con la voce leggermente incrinata da un'emozione che Dragana non sapeva a cosa associare. «Per me è un onore compiere questo passo con voi.»

Dragana si voltò verso Nastia, la quale ascoltava rapita il discorso che stava continuando. «È lei Iryna?» chiese.

«Sì. Non è stupenda? È in forma smagliante, non avrebbe potuto scegliere giorno migliore» le rispose in un sussurro, per non disturbare le parole della cugina che aveva iniziato a riportare alla mente eventi del proprio passato condivisi con alcuni dei presenti.

«E dove va? Non pensavo che poteste lasciare questo posto» domandò, memore che solo gli Incubi avevano la possibilità di recarsi all'esterno, mentre per la sicurezza altrui era meglio non allontanarsi.

«Sappiate che continuerò a vivere in onore del nostro passato, senza mai scordarmi di chi mi lascerò alle spalle e sostenuta da chi affronterà questo cammino con me» stava continuando Iryna, quasi recitando una formula a memoria.

Nastia portò l'attenzione sull'amica e il suo sorriso, generato dalla felicità per la cugina, iniziò piano a scemare non appena si rese conto della situazione. Dragana osservò confusa la sua espressione mutare, ma ormai era troppo tardi.

Prima che Nastia potesse avvertirla dell'equivoco, Dragana venne attirata dal silenzio improvviso: Iryna aveva smesso di parlare e la gioia che aveva elargito fino ad allora si era trasformata in concentrazione. Due Intoccati, vestiti con la stessa tonalità dell'abito di Nastia, si erano avvicinati alla ragazza, porgendole uno un paletto in legno e l'altro un coltello dall'aspetto antico, ma particolarmente affilato. Dragana non capì quello che stesse succedendo, fino a che Iryna si inginocchiò a terra e pronunciò un'altra formula, con voce solenne.

«Che il sacro legno possa ricordarmi la debolezza umana» dichiarò, alzando il paletto appuntito che reggeva con la mano sinistra, prima di posarlo davanti ai suoi piedi. «E che il sacro argento possa rendermi eterna.»

Le sue parole riecheggiarono nella mente di Dragana e continuarono a farlo, in modo vorticoso e frenetico, quando al posto di posare il pugnale accanto al paletto distese il braccio sinistro e ne accarezzò la pelle usando la punta acuminata. Il gesto era avvenuto con una grazia quasi irreale e il sangue, in una danza lenta e vischiosa, aveva iniziato a creare intrichi purpurei e raffinati sul vestito candido della ragazza. Iryna replicò lo stesso procedimento sul braccio destro, ma l'eleganza del primo atto, dovuta alla fermezza della mano, non si ripeté: il sangue lasciò il corpo in un fiotto violento, che sporcò il suo volto e quello di alcuni dei presenti nella prima fila.

Dragana fece un passo indietro, ma non riuscì a valicare il muro creato dalla folla e si ritrovò a condividere la stessa macchia vermiglia che Iryna portava in viso. La ragazza, la cui vita stava defluendo sul pavimento spoglio, sollevò il proprio sguardo su Dragana che, intrappolata dai corpi alle sue spalle, non poté sottrarsi agli occhi carichi di dolore della giovane. Vi scorse la disperazione che prima Iryna aveva sapientemente nascosto con la propria gioia, ma vi scorse soprattutto paura, per ciò che aveva fatto e per la morte che, pigra come il lago amaranto che si stava allargando ai loro piedi, aveva iniziato a impossessarsi della sua vittima.

Quello fu troppo, per Dragana, e non servirono i richiami di Nastia: la ragazza si fece largo a forza tra le persone che avevano deciso di rimanere, con una curiosità perversa, a osservare Iryna morire, e alla fine riuscì a uscire dal cerchio umano. Non si arrestò, corse fuori dalla stanza e, ancora, via da quell'ala della casa, corse fino a trovare un posto isolato, lontano dalla scelleratezza di quella crudeltà. Si ritrovò in una stanza ricolma di quadri, una piccola pinacoteca privata che vedeva, racchiusi in cornici fastose, ritratti di uomini e donne abbigliati con vestiti di epoche diverse, paesaggi montuosi alle loro spalle e colori dai toni freddi.

Il respiro le mancava, nonostante avesse percorso solo pochi metri, e sapeva che la necessità di aria non era dovuta allo sforzo fisico. Era l'ansia che si manifestava nella sua forma più infida, togliendole il fiato e bloccandole i polmoni. Si appoggiò al muro con una mano per sostenersi e cercò nella tasca del giubbotto il suo inalatore, ma nonostante avesse controllato più volte anche nei pantaloni non riuscì a trovarlo. Stava soffocando nella sua stessa paura e la situazione non fece che peggiorare quando si rese conto che non avrebbe potuto raggiungere il broncodilatatore.

«Calmati» le disse una voce controllata, dal tono basso e raschiante.

Dragana si voltò distrattamente, scorgendo i capelli argentati dell'Incubo che avrebbe preferito evitare. Allungò una mano per cacciarlo, non voleva essere avvicinata da nessuno, ma l'impossibilità nel respirare la stava logorando e il panico sopraggiunse in fretta.

Àkos ignorò il rifiuto di Dragana e afferrò la ragazza per le spalle, costringendola a sedersi e a portare il busto in avanti. L'inalatore, continuava a pensare lei, dandosi della stupida per averlo dimenticato in qualche cappotto o, addirittura, perso. La posizione seduta la stava aiutando a riprendere fiato, ma non impedì il sopraggiungere di un nuovo attacco di tosse.

«Devi riuscire a rilassarti, prova a non pensare a quello che è successo. Prova a... concentrarti su altro. Pensa a come si crea uno di quelli» le suggerì il ragazzo, indicandole con un cenno del mento uno dei quadri appesi alle pareti. Dragana non aveva prestato troppa attenzione ai dipinti, al suo arrivo, e ignorò il suggerimento del ragazzo. Doveva ricordarsi come inspirare correttamente, doveva andarsene da lì.

Un leggero mal di testa iniziò a lambirle le tempie, dovuto probabilmente alla scorretta respirazione. Dragana dimenticò Àkos, ma alzò lo sguardo verso il quadro che le stava di fronte. Era il mezzo busto di una donna di età avanzata, dal portamento fiero e austero. Valutò le proporzioni, che erano state riprodotte in modo ottimale, e ricordò la prima volta che le era stato assegnato un ritratto. Era alle prime armi con i colori a olio e il risultato finale aveva vanificato del tutto l'ottimo bozzetto di preparazione: era stato in quel momento che aveva capito che grafite e carboncino sarebbero stati gli strumenti più adatti a lei. Preferiva vedere il mondo in bianco e nero, cogliere le sfumature di uno sguardo, l'angolatura di un sorriso, l'ombreggiatura di un edificio senza doversi curare delle tonalità esatte. Il binomio monocromatico le permetteva di portare qualsiasi soggetto decideva di rappresentare allo stesso piano, senza che ci fossero differenze tra un bambino e un adulto, un semplice albero spoglio o un palazzo sfarzoso. I suoi disegni non rappresentavano le differenze, ma l'essenza dei soggetti.

«Non è stato difficile, no?» le chiese Àkos.

Dragana si riscosse, riportando lo sguardo sul ragazzo. Si accorse solo dopo che era tornata a respirare normalmente, anche se con un po' di affanno. Si schiarì la voce, sbattendo le palpebre per riprendersi dall'attacco asmatico, e si sollevò per mettere distanza tra lei e Àkos.

«Grazie» sussurrò imbarazzata. Non le piaceva essere vista in difficoltà, né dipendere dagli altri, ma doveva riconoscere che Àkos le era stato necessario.

«La prossima volta non indossare il bianco: quello è il colore riservato ai festeggiati» la avvertì con uno dei suoi sorrisi tronfi, indicando la sua maglietta. Dragana abbassò lo sguardo sul suo addome e notò una striscia di sangue, fresco e vibrante, che come una pennellata di colore spiccava sul tessuto prima incontaminato.

Strinse le labbra una sull'altra, distogliendo lo sguardo dal capo d'abbigliamento. In quel momento ripensò a Verica: le aveva detto di portarsi un cambio per pura coincidenza o sapeva cosa sarebbe accaduto? Non volle darsi risposta e, anche se alla fine aveva seguito il suo consiglio, perdere altro tempo per cambiarsi era l'ultima delle sue preoccupazioni. Voleva solo recuperare il suo cappotto e tornare da Sănder il prima possibile.

«Ci vediamo» chiosò Dragana, intenzionata ad andarsene subito da quella casa degli orrori.

«Puoi scommetterci, külföli. Ti ho salvato la vita, mi aspetto che tu mi raggiunga domani in biblioteca» la informò Àkos, osservandola senza distogliere gli occhi attenti dal viso di lei. Àkos appariva calmo come suo solito, indifferente che a poche stanze di distanza si fosse appena consumato un suicidio, e la sua stoicità non piacque a Dragana per il semplice fatto che lo invidiava: le emozioni, da quando i suoi erano morti, la divoravano divampando come un fuoco alimentato dalla benzina; Àkos, invece, era un placido vento ghiacciato, che accarezzava ogni cosa con il suo lento ondeggiare.

«Domani è sabato» gli fece notare lei, lanciando un'occhiata in apprensione alla folla che aveva cominciato a popolare la stanza attigua.

«Ne sono consapevole, ma, sai, i migliori non si permettono pause. Domani alle nove» replicò lui, prima di salutarla con un sorriso sornione e lasciarla da sola.

Quando il ragazzo si fu allontanato abbastanza, Dragana trasse un sospiro di sollievo. Stava bene, a parte un leggero dolore al petto. Fisicamente si poteva ritenere integra, ma lo stesso non valeva per la sua mente. La sentiva ancora piena delle immagini di Iryna e sapeva che, prima di dimenticarle, sarebbe passato molto tempo.

Se ne andò cercando di lasciare nella casa degli Skripko la sua angoscia, dimenticando di avvertire Nastia e scordandosi anche che Sănder la stava aspettando. L'asettico freddo, in quel momento, le sembrò il male minore.

NdM. Per ora, questo è uno dei capitoli che preferisco. Vi aspettavate una tipica festa tra giovani o vi ricordavate gli appunti di Melissa?

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