13. Ti manda l'Errante?
Il pomeriggio diede la speranza a Dragana di trovare un rifugio sicuro. Dopo un'ora di Calcolo e una di Storia degli Originali – che aveva vissuto con le sopracciglia costantemente aggrottate –, la aspettava il corso a scelta. Seguì le indicazioni che le aveva dato Nastia prima di recarsi alle prove teatrali e raggiunse, in un braccio poco frequentato dell'edificio, la classe del laboratorio artistico che aveva deciso di frequentare.
A differenza delle lezioni a cui aveva assistito al mattino, sorprendentemente affollate rispetto all'idea che si era fatta del piccolo paesino, quando aprì la pesante porta dell'aula si trovò a respirare aria stantia e polvere. A quanto pareva, ad apprezzare l'arte erano solo lei e la preside. Entrò nella stanza buia, stringendo gli occhi per cercare di orientarsi, e scorse delle pesanti tende che ornavano la parete di fronte all'entrata. Guidata dalla luce che proveniva da corridoio si spostò all'intero e, seguendo la sua ombra che si faceva sempre più allungata, raggiunse il tessuto dimenticato. Tirò verso destra, facendo un po' di forza, fino a che finalmente la tenda si mosse e lasciò entrare una falce di sole pomeridiano. Non appena la luce portò la stanza alla vista di Dragana, un urlo acuto la fece spaventare e lei, sobbalzando, lasciò ricadere il tessuto sulla finestra, rimanendo accecata nuovamente dall'oscurità.
«Chi ti ha dato il permesso?!» chiese una donna nel buio, chiudendo con un tonfo la porta e togliendo a Dragana l'unica via di fuga.
«Credevo-» provò a giustificarsi lei, rimanendo immobile per non rischiare di scontrarsi con qualcosa.
«Male! Credevi male!» continuò l'altra, vagando per la stanza come uno spirito irrequieto. «Il sole inibisce i sensi... Santo Dracula, cosa mi tocca sopportare. Ecco» continuò, rovistando in quello che, dal rumore, a Dragana parve un cassetto. «Ecco» ripeté, per poi far schioccare una scintilla che diede vita a una fiamma smilza e tremolante.
Dragana indietreggiò di un passo, quando si ritrovò di fronte la donna che aveva parlato fino a quel momento. L'ondeggiare della candela le donava ombre cangianti, che accarezzavano il suo viso con un tremolio angosciante e ne nascondeva i tratti e i colori. Le sottili sopracciglia sovrastavano gli occhi incavati e appannati, mentre alcuni ciuffi castani di capelli, spessi e crespi, avevano abbandonato il raccolto disordinato per ricadere sulla fronte ampia.
«Ti manda l'Errante?» sussurrò la donna, rischiando di spegnere la fiamma con il suo fiato.
Dragana osservò scettica la reazione della donna, poi decise che sarebbe stato meglio andarsene quanto prima. «Io pensavo fosse l'aula di arte, mi devo essere sbagliata» si giustificò, già pronta a scartare di lato per sfuggire alla sconosciuta.
«Ah! Ci prova sempre, a rimpolpare il mio corso» commentò questa, dando le spalle a Dragana per iniziare ad accendere altre candele sparse in punti casuali dell'aula.
Mentre la donna portava le fiammelle nella stanza, l'ambiente si illuminava con tonalità calde e morbide, permettendo a Dragana di intuire che forse si trovava proprio nel posto giusto: su una parete erano stipate decine di cavalletti e tele impolverate, ma altrettanti erano sparsi nell'ambiente lugubre e su ognuno di essi stanziava un quadro in composizione, a volte dipinto con gli acrilici, altre in acquerelli o ancora a matita.
Dragana, già sul punto di correre verso la porta, restò affascinata dalla vivacità che emergeva da ogni opera d'arte, quasi l'assenza di luce esterna avesse accesso quella presente su ogni tela. Si accostò a quella più vicina, rapita dall'incanto delle sfumature che ricreavano perfettamente l'androne della scuola, infuocato dai colori che, attraverso le vetrate, davano vita, luce e splendore a quelle stesse statue che le facevano tanta paura. Lì, tra i tratti decisi della pittura a olio, sembravano cinque divinità in movimento, intente a danzare tra i toni di un arcobaleno.
«L'immaginazione lavora a occhi chiusi» le sussurrò la donna, che si era accostata a lei senza farsi vedere.
«Come no» si lasciò sfuggire, scettica. «Ma la luce-»
«La luce non serve proprio a niente» decretò senza lasciarle modo di replicare.
Dragana si voltò per osservare meglio la donna, notando ciò che prima le era stato impossibile a causa dell'oscurità: i suoi occhi erano sporcati da una patina chiara, quasi opaca, che li rendeva assenti e liquidi. Era cieca.
«E il sole mi infastidisce, con i suoi raggi freddi e taglienti: l'unica cosa che non mi ferisce gli occhi sono queste candele.»
Dragana annuì, ma poi si ricordò che probabilmente la donna non poteva vederla. «Li hai fatti tu questi quadri?» domandò quindi.
«Vedi qualcun altro, qui?» risposte stizzita lei, dirigendosi verso una delle pareti per recuperare una tela pulita. «Dai, vai anche tu. Scappa come tutti gli altri e lasciami lavorare.»
Dragana la osservò tastare un cavalletto vuoto e posizionarci sopra, con estrema cura, la superficie pronta per essere dipinta. La donna si spostò poi sul tavolo centrale, dove erano disposti pennelli e colori: se li portava al naso uno a uno e, annuendo, sceglieva le nuance da preparare sulla tavolozza, quasi riuscisse a riconoscere la tonalità solo dall'odore.
«Sento il tuo respiro pesante e i dubbi che ti frullano per la testa fino a qui: inizia a fare qualcosa o vattene» disse a Dragana a un certo punto.
Lei rimase interdetta, indecisa se andarsene a cercare Nastia o rimanere nel posto che avrebbe potuto rappresentare per lei una certezza. Osservò la donna, impegnata in un lavoro che non avrebbe mai potuto vedere, e non poté non pensare a quanto fosse sola. Il buio della stanza, per Dragana una condizione momentanea, era quello con cui lei conviveva ogni giorno. Un buio eterno e alienante, che la isolava inevitabilmente da un mondo che forse, un tempo, anche lei aveva potuto osservare.
Dragana sospirò. Non era sicura che avrebbe resistito lì, chiusa in un'aula con una donna che, evidentemente, stava facendo di tutto per mandarla via. E, d'altro canto, non voleva prendere carta e matita e disegnare: aveva paura di non esserne più in grado, di aver lasciato in Italia l'unica capacità che avrebbe potuto farla sentire di nuovo a casa.
«Non posso» ammise in un sussurro.
La donna si fermò, sollevando il mento nella sua direzione come se la vedesse davvero, e Dragana intravide nel suo sguardo delusione.
«Il mio corso prevede il creare qualcosa non le proprie mani, se non ne sei in grado imparerai, ma se non ne hai voglia non sei la benvenuta» rispose sprezzante, prima di tornare a ignorare Dragana.
La ragazza rimase zitta, incerta su come replicare. Osservò i colori che l'insegnate continuava a usare, poi spostò lo sguardo sul materiale da disegno poco distante da lei, ammucchiato su uno scaffale in legno. Avrebbe voluto allungare una mano, prendere dei fogli lindi, appuntire le matite, sentire l'odore della china. Ma si trattenne. Si impose di restare lontana da ciò che desiderava, perché quegli oggetti avrebbero potuto riportarle alla mente la scuola in Italia, il suo insegnante di Figurativo, i commenti critici di suo padre e i sorrisi di sua madre. Così si convinse che non era più in grado di usarli, censurando a se stessa le proprie capacità.
Senza salutare uscì dall'aula, accogliendo con gli occhi socchiusi la luce del sole che bagnava il corridoio. L'illusione di poter tornare alla normalità con le lezioni di arte svanì. Era bloccata in un mondo estraneo e meschino, senza possibilità di uscita. Strinse a sé la cinghia della borsa per darsi forza.
Non era pronta, a discapito di quel che pensava, e aveva ragione l'insegnate: non voleva. L'arte, che da sempre era stata la sua più grande passione, la spaventava. Si impose di dimenticarla, di ignorare il formicolio che le accarezzava le dita, desiderose di riversare sulla carta ogni suo pensiero, e si concentrò solo sulla propria spossatezza. Il suo stesso corpo le stava chiedendo una tregua: adattarsi alla nuova routine, alla nuova lingua, a persone ostili e speranze stroncate l'aveva stancata non solo mentalmente, ma soprattutto fisicamente.
***
I giorni successivi risollevarono di poco l'umore di Dragana. La presenza di Nastia alla maggior parte delle lezioni la aiutava a gestire l'angoscia: le passava gli appunti, così che Dragana potesse integrare le parti che si perdeva, e durante la pausa pranzo avevano iniziato a sedersi al tavolo di Sokrat, anche se le occhiate che gli altri studenti lanciavano loro erano poco rassicuranti. La prima volta Dragana era rimasta sorpresa nel sentirsi osservare dal resto del corpo studentesco quando, individuato Sokrat al solito posto, aveva detto a Nastia che avrebbero potuto sedersi con lui: aveva le cuffie auricolari da dargli ed era curiosa di vedere quale "oggetto da fuori" quel giorno avesse con sé. L'amica le era parsa restia, ma non aveva impedito a Dragana di dirigersi decisa verso Sokrat, nemmeno quando i bisbigli sgomentati erano giunti alle loro orecchie. Li avevano ignorati, come nei giorni successivi, fino a che il posto che occupavano a pranzo aveva smesso di destare interesse.
Sokrat la aiutava con i compiti di russo e in poco tempo Dragana aveva iniziato a capire i meccanismi di quella lingua altisonante, tanto diversa dagli idiomi che già era abituata a usare. Anche se non sarebbe stata in grado di sostenere il compito in classe, contava sul riuscire a recuperare il programma in qualche mese e ogni sera, stanca per le giornate impegnative, dedicava quanto più tempo possibile agli esercizi che Sokrat le consigliava.
Melissa continuava a ignorarla, ma Dragana non se ne sorprese: aveva notato il distacco della ragazza dal resto del corpo studentesco e immaginò che il carattere difficile della cugina tenesse alla larga chiunque. Zio Mac e la nonna, invece, le lasciavano i suoi spazi, spesso consentendole di saltare la cena: Sănder si prodigava ogni volta a portarle i pasti direttamente in camera, serviti su vassoi d'argento e cucinati con cura, anche se di giorno in giorno la ragazza perdeva sempre di più l'appetito.
«Il libro è di Melissa?» le chiese Nastia. Si trovavano in mensa e, diversamente dagli altri giorni, non stavano studiando russo: l'ora successiva ci sarebbe stata una verifica di Storia degli Originali e Dragana aveva ritenuto più saggio ripassare quei pochi argomenti che era riuscita a imparare.
La ragazza sollevò lo sguardo su Nastia, trovandola intenta a osservare il suo manuale. «No, il suo l'ha voluto indietro» rispose vaga.
«È già tutto sottolineato e ci sono degli appunti interessanti: stai integrando altri volumi? La Belčeva apprezza chi fa approfondimenti, magari potresti prestarmelo l'anno prossimo!»
Dragana chiuse il libro, per impedire a Nastia di leggere oltre. Sokrat aveva smesso di prestare attenzione a una vecchia macchina fotografica a rullino, di cui pareva già conoscere ogni segreto, e seguiva in silenzio le chiacchiere delle compagne.
«È di seconda mano» spiegò, ancora una volta evasiva. Il libro era di sua madre, il nominativo scritto sulla copertina era chiaro, ma non era ancora sicura del perché Amalia possedesse un libro scritto in rumeno e non in ungherese, per di più lo stesso usato in quella scuola. Forse i suoi erano dubbi inutili, ma la scoperta fatta solo poche settimane prima non smetteva di turbarla, soprattutto perché più leggeva gli appunti della madre, più si rendeva conto che era fin troppo informata su quelle che Dragana continuava a considerare leggende locali.
«È di tuo zio Mac? Lui è un uomo acculturato, chissà quanto ha dedicato a integrare nuove informazioni» continuò l'amica, prendendo il libro dalle mani di Dragana prima che questa avesse il tempo di metterlo al sicuro. La ragazza non se la sentì di fare scenate di fronte all'intera tavolata, così strinse le labbra e osservò interdetta Nastia che, affascinata, stava leggendo gli appunti scritti con cura sulle pagine ingiallite. «Wow, tuo zio sa un sacco di cose sugli Intoccati, forse dovrei informarmi di più...»
«Capisco la tua voglia di apprendere, Nastia, ma forse Dragana ne ha più bisogno» intervenne Sokrat, con tono pacato, senza però catturare l'attenzione della bionda. Dragana gli lanciò un'occhiata di ringraziamento e scosse la testa, come per assicurargli che non era un problema.
Nastia continuò a voltare le pagine e le sfogliò fino ad arrivare alla prima. «Oh» si lasciò sfuggire, «a quanto pare non è di Mac Ezustfat. Amalia T. è sua moglie?»
«Mac Ezustfat è sposato?» chiese Sokrat, abbandonando la macchina fotografica definitivamente.
«Non lo so, l'ho trovato in casa» si spazientì Dragana, allungandosi sopra il tavolo per riprendere il tomo.
«Strano che gli Ezustfat abbiano un libro non di famiglia...» ragionò Nastia, portando alla bocca tre confetti di zucchero. Dragana aveva notato che, quando si trovano insieme, non mangiava altro che caramelle: prima che potesse ingoiarle, però, le sputava, come se non volesse assumere calorie in eccesso. Aveva iniziato a credere che l'amica soffrisse di qualche disordine alimentare, ma Sokrat non pareva sorpreso da quella stranezza e presto anche Dragana aveva iniziato a farci l'abitudine.
«Non conoscete nessuna Amalia Tóth?» domandò ingenuamente, senza specificare che quel libro l'aveva trovato a casa sua, in Italia.
«Quindi la T. puntata starebbe per Tóth?» chiese retoricamente Nastia. La ragazza alzò le spalle, mettendo il libro al sicuro nella sua borsa.
«Mi pare di averlo letto da qualche parte» mentì. «Ci sono Tóth qui?» Sua madre e suo padre si erano incontrati in Italia, ma entrambi provenivano dall'est. Pensandoci, però, Dragana non ricordò nemmeno una volta in cui la madre le avesse detto esplicitamente di venire dall'Ungheria: si limitava a parlarle in quella lingua, ma non le aveva mai descritto la sua terra natìa.
«Non mi è un cognome estraneo, forse è dei bulgari? Personalmente sono fuori dal loro giro» replicò sbrigativa Nastia.
La ragazza guardò Sokrat, sperando in un suo intervento, ma lui alzò le spalle con sguardo affranto: «Penso sia un cognome ungherese, posso provare a chiedere ai miei se in negozio passa qualche Tóth, se vuoi.»
Dragana si morse le labbra inquieta, immagazzinando l'informazione e ripromettendosi di pensarci dopo. Era sempre più sicura che sua madre provenisse da lì: quanto le avevano nascosto i suoi genitori sul proprio passato?
NDM. Martedì capitolo tosto, stay tuned.
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