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Capitolo 7

GRACE





Un Bacio? Ma scherziamo? Se avesse voluto morire sarebbe bastato chiedere. Mettiamo le cose in chiaro: non lo avrei baciato nemmeno per tutto l'oro del mondo. Non era decisamente il mio tipo, era chiaro che con me stesse solo giocando e io non avevo di certo tempo e voglia di ricominciare una storia del genere di nuovo.

Però... avrei potuto approfittare della situazione per prendermi una piccola vendetta e farlo arrabbiare un po'. Trovavo stranamente piacevole farlo arrabbiare.

«Chiudi gli occhi però.» dissi.

Il biondino non protestò e chiuse gli occhi con ancora quel sorrisetto impertinente che non vedevo l'ora di far sparire.

Mi chinai in avanti facendo ricadere i capelli ormai tutti bagnati sul suo viso. Li misi dietro le orecchie e mi avvicinai.

Le sue mani strinsero impercettibilmente i miei fianchi e dovetti trattenere una risata per non farmi scoprire.

Posai le labbra sulla sua fronte per una piccolissima frazione di secondo, poi approfittai del momento di interdizione per alzarmi e allontanarmi da lui.

«Che diavolo era quello?» chiese alzandosi a sua volta.

«Un bacio. Mi hai chiesto questo, no?» domandai con un'alzata di spalle.

Lui aprì e richiuse la bocca un paio di volte per ribattere, ma alla fine sospirò.

«Mi spiace, ma tu non mi hai detto dove volessi il bacio.» ridacchiai. Afferrai le mie cose e m'incamminai verso la sua casa, quando notai che non mi stesse seguendo mi voltai: «Andiamo? Si gela qui fuori.»

Lui si avvicinò borbottando e, quando mi fu praticamente davanti, mi prese in braccio facendomi sussultare.

«Ma che fai?» sbottai stringendo le mie cose al petto.

«Ti consiglio vivamente di stare zitta, altrimenti ti zittisco io.» ammiccò, poi si incamminò verso casa.

«Mettimi giù immediatamente. Prima di subito. Capito?»

Lui rise «Altrimenti?»

Assottigliai lo sguardo e lo maledissi mentalmente, ma dato che volevo che provasse anche dolore fisico gli diedi un morso sulla spalla e strinsi fino a che non lo sentii sussultare.

«Ma che fai? A cuccia, tigre.» esclamò ridendo e stringendomi a lui.

Capii che il mio gesto non avrebbe portato a nulla quando lui parve divertito dalla situazione. Sbuffai e mi allontanai lasciandomi sfuggire un sospiro frustrato mentre lasciavo cadere la testa all'indietro e la lasciavo oscillare.

Lui mi lasciò solo quando fummo nuovamente dentro casa, e quando toccai terra non potei far altro che ringraziare il cielo.

«Perfetto, ora dovrò rifarmi la doccia.» disse cominciando a togliersi la maglietta bagnata.

Sussultai quando lo vidi mezzo nudo e cercai di coprirmi gli occhi in tempo: l'ultima cosa che volevo era alimentare il suo ego già di proporzioni cosmiche.

Lanciò la maglia sul divano colpendo uno dei suoi fratelli, il quale lanciò un'imprecazione «Cazzo, Caleb. Devi smetterla.» Jace sbuffò rilanciandogliela e facendolo ridere.

Quando ci vide fischiò «Wow, ma che avete combinato? Siete passati accanto a un idrante?»

Ridacchiai immaginandomi la scena, ma fu Caleb a rispondere per entrambi «Oppure, molto più semplicemente, fuori diluvia.»

Il naso mi prese a pizzicare e, mentre i due battibeccavano, starnutii facendo cessare subito le chiacchiere.

Entrambi mi guardarono e io arrossii violentemente: odiavo starnutire in pubblico. «Hai sentito?» chiese Jace al fratello.

Io non capii.

«Era uno squittio? Ci sono i topi in casa?»

Feci roteare gli occhi al soffitto «Che divertenti.»

Ma loro non risero, sembravano veramente intenti a capire se ci fossero topi in casa «Oddio, ragazzi sono stata io. Non ci sono topi.» dissi ridendo.

Jace scoppiò a ridere «Ma davvero? Oddio sei così tenera quando starnutisci!» esclamò abbracciandomi.

Okay...

«D'accordo, mistero risolto. Non parliamone più per favore. Facciamo finta che non sia successo nulla.» pregai, picchiettando la mano sul suo braccio affinché mi lasciasse.

In quel momento la porta alle nostre spalle si aprì e quelli che riconobbi essere i genitori di Caleb entrarono portandosi appresso diverse valige.

«Ciao ragazzi!» gridò la donna non accorgendosi di noi.

«Ciao mamma.» la salutarono Jace e Caleb all'unisono.

Lei alzò lo sguardo su di loro, poi lo abbassò su di me e rimase alquanto sorpresa di vedermi, ma cercò comunque di nasconderlo.

«Oh, ragazzi non vi avevo visti. Perdonatemi. Fatevi abbracciare, dai.» esclamò lasciando le borse a terra e lasciandosi circondare da un caloroso abbraccio. Dopo qualche secondo, anche gli altri fratelli scesero e corsero ad abbracciarla facendola ridere di cuore.

Davanti a quella scena non potei fare altro che commuovermi pensando a quando Alan ed io abbracciavamo i nostri genitori di ritorno dal lavoro.

Le lacrime si mischiarono alle gocce di pioggia che scivolavano lentamente dai miei capelli lungo le guance, nessuno le avrebbe viste.

Quando entrò anche il padre, i fratelli lo salutarono con un altro abbraccio, e fu lui a spezzare il ghiaccio «E lei è una vostra... amica?» chiese sorridendomi gentile.

Wow, mi ricordava tanto papà. I capelli scuri, le rughe d'espressione accanto agli occhi e un sorriso che ti riscaldava il cuore.

«È un'amica di Cal, in realtà. Si chiama Grace.» rispose Alex.

«Un'amica?» mormorò la madre al ragazzo in questione, ammiccando e dandogli una spallata scherzosa.

Il biondino le rispose con un sguardo che non riuscii a interpretare, poi mi si avvicinò «Ti porto a fare una doccia e a cambiarti prima che ti becchi un raffreddore.» disse trascinandomi via.

«Uhm... è stato un piacere conoscervi.» dissi ai due, i quali mi sorrisero «Anche per noi, cara.» mi rispose il padre, proprio nell'istante in cui sentii la madre dire a bassa voce ai fratelli: «Dovete raccontarmi tutto.»

Decisi di lasciar perdere e seguii Caleb fino alla sua camera.

«Lì c'è il bagno e qui...» prese dall'armadio alcuni suoi vestiti e me li porse «c'è qualcosa di asciutto. Di sicuro ti saranno grandi, ma è l'unica alternativa che abbiamo.»

Accettai i vestiti e lo ringrazia in modo sbrigativo prima di nascondermi in bagno e finalmente avere qualche minuto per me.

Con la doccia feci scivolare via tutto il disagio e l'imbarazzo che provavo, e quando uscii mi sentii molto meglio. Mi asciugai rapidamente e misi i vestiti di Caleb, sistemandoli affinché mi stessero un minimo decentemente.

Quando uscii, mi sentivo una persona totalmente nuova.

Stavo tamponando i capelli con l'asciugamano, quando Caleb mi si piazzò davanti e mi costrinse ad alzare lo sguardo su di lui. La sua espressione era seria.

«Prima piangevi. Perché?»

Quasi mi strozzai quando lo sentii pronunciare quelle parole.

«Ma quando mai?»

Lui alzò un sopracciglio «Ti sembro uno scemo?»

Imitai la sua espressione «Vuoi davvero che ti risponda?»

Lui non si lasciò intimidire, assottigliò lo sguardo e si chinò per arrivare ad avere il volto davanti al mio. Trattenni il respiro.

«Ora vado a farmi una doccia, ma quando esco di qui voglio una risposta.» disse calmo per poi sparire dietro la porta del bagno.

Sbuffai e mi lasciai cadere a peso morto sul letto coprendo gli occhi con l'avambraccio. Se Alan fosse stato lì con me, avrebbe saputo come tirarmi su. Lo faceva sempre.

Rimasi in quella posizione per quella che mi parve un'eternità: il biondino se la prendeva comoda nella doccia. Ma poco importava, anzi, più tardavamo la nostra "conversazione" meglio era per me.

Sbuffai per l'ennesima volta nello stesso momento in cui la porta si spalancò di fianco a me. Rimasi immobile.

«Lo so che non stai dormendo.» disse sghignazzando. Evidentemente la mia disperazione era esilarante per lui.

Tolsi il braccio dalla faccia e lo guardai male, poi rotolai su un fianco e mi stesi a pancia in giù, con metà viso nascosto dalle coperte «Fuori piove, fa un freddo che si gela, ci mancavi solo tu come disgrazia per completare il quadro.» brontolai.

Lui fece diventare gli occhi due fessure, come se stesse cercando di maledirmi mentalmente. Cercai di trattenere una risata.

«Mi dici che ti è successo prima?» chiese ignorandomi e sedendosi accanto a me.

Apprezzai il fatto che avesse tenuto qualche centimetro di distanza.

Mi voltai dall'altra parte e mugugnai un «No.» in risposta, parzialmente attutita dalle coperte.

«Perché?» insistette.

Bella domanda. Perché non ti conosco, forse? Perché piangere davanti alle persone mi mette profondamente a disagio? Perché non siamo amici e non voglio dirti che i miei genitori sono morti? Perché ti invidio?

Alzai le spalle, poi le feci ricadere «Perché dovrei?»

«Touché.»

Non capii perché, ma sentii il bisogno di dirgli una mezza verità, almeno. Così mi voltai verso di lui e mi misi a sedere a gambe incrociate, spostando una ciocca bagnata di capelli dietro le spalle. Lui lo notò e, prima che potessi parlare, si alzò e andò a prendere il phon dal bagno «Asciugati i capelli o ti ammalerai.»

Lo guardai stranita per tutte quelle premure «Penso che userò il mio potere su di te, quello della scommessa vinta per metà, e ti obbligherò ad asciugarmeli. Non ho troppa voglia di farlo io.»

Lui inarcò un sopracciglio «Sei seria?»

«Serissima.» assicurai, dandogli le spalle e portando dietro le spalle tutti i capelli.

«D'accordo. Te li asciugherò se tu mi prometti che mi dirai perché prima piangevi.»

Negai con un cenno del capo «Non sei nella posizione di avanzare ricatti. Abbiamo fatto una scommessa, l'abbiamo vinta entrambi, tu hai riscosso il tuo premio e ora io sto riscuotendo il mio.»

Quando non disse niente, mi girai a guardarlo e lo trovai con le braccia incrociate al petto e il phon in mano «Dimmi perché.»

«Perché sono affari miei e non ti conosco, quindi di certo non te li vengo a dire.» sputai.

Il suo sguardo era leggermente strabuzzato, ovviamente sorpreso per la mia tagliente sincerità. Mi girai nuovamente e cominciai a torcermi una ciocca di capelli tra le dita, nervosamente.

«Tieni.» disse infine.

Lo guardai da sopra la spalla e lo vidi con il suo cellulare in mano, mi crucciai «Cosa dovrei farci con quello?»

Lui sorrise «Hai ragione: tu non mi conosci. Ma lì dentro ci sono abbastanza cose che ti permetteranno di farlo. Non ho segreti, sono un libro aperto. Guarda pure quello che vuoi.»

Rimasi a bocca aperta davanti a quella spiegazione. Mi stava seriamente cedendo il suo cellulare?

«Okay, è uno scherzo? Una specie di trappola?» chiesi sospettosa.

Lui rise «Per niente. Ora girati, così inizio ad asciugarti questi dannati capelli. Ci vorrà un sacco di tempo, presumo.»

Ridacchiai  a mia volta «Per questo lo lascio fare a te: io non ne ho voglia.»

Lui cominciò il suo lavoro e io il mio, cominciando a curiosare nel suo telefono. Aprii Instagram, ovviamente migliaia follower e centinaia di seguiti, per lo più ragazze. Alzai gli occhi al cielo. Messaggi su messaggi con praticamente tutte le ragazze della scuola, e anche di questo non me ne meravigliai. Lasciai perdere WhatsApp, perché tanto avrei trovato più o meno la stessa cosa, e mi fiondai sulle foto. Ce n'erano a migliaia, non sapevo da dove cominciare. Rimasi abbastanza sorpresa di notare che non vi erano troppi autoscatti, o foto di lui allo specchio per far vedere i muscoli, e apprezzai questa cosa.

I capelli mi svolazzavano davanti agli occhi mentre scorrevo verso le foto più recenti, tutte della barbie, ovviamente. Probabilmente foto che lei gli mandava in continuazione, vestita provocante, con una posa seducente... non riuscii a trattenermi dal commentarle.

«A Pasqua è un coniglietto sexy, ad Halloween è una vampira sexy, a Natale è un elfo sexy. A Capodanno cosa fa? Il fuoco d'artificio?» chiesi scorrendo le varie foto.

Lui mi tirò una ciocca di capelli.

«Che c'è? Le esplosioni sono sexy.»

Lo sentii ridere dietro di me, e non potei trattenere un lieve sorriso.

Proseguii con le foto, arrivando ad una, sempre della barbie, vestita da cheerleader. Mi uscì un verso di disgusto che Caleb ovviamente sentì.

«Non puoi dire che sia brutta. Sei un po' cattiva.»

«Non dico che sia brutta. Tutti sono belli in foto, se si trova la luce giusta o il giusto filtro, o magari photoshop... o  se magari la foto in questione viene fatta al buio o di spalle.»

Il cellulare mi vibrò tra le mani, e comparve un messaggio della ragazza in questione: parli del diavolo e spuntano le corna.

«Uhm, Penny ti ha appena scritto.»

Lui spense il phon: ormai i miei capelli erano del tutto asciutti. Li pettinai con le dita di una mano, mentre con l'altra aprii il messaggio.

Cal, vieni da me stasera? I miei mi hanno lasciata da sola a casa.

«Ti dispiace se rispondo io? Tanto non puoi andarci e lasciarmi qui da sola. Ricordati che è stata una tua "brillante" idea quella di obbligarmi a stare con te per ventiquattro ore.» Lui si sedette al mio fianco, questa volta molto, troppo vicino.

«Lo dici come se ormai non ti andasse bene. Ammettilo che ti stai divertendo a passare del tempo con me.» ammiccò.

Alzai gli occhi al cielo e cominciai a digitare la risposta al suo messaggio.

Verrei volentieri, ma stasera proprio non posso.

La sua risposta non tardò: Come mai?

Ho fatto una cazzata ed ora devo rimediare. Ma sappi che ti penso sempre, infatti ti dedicherò una poesia.

La sua risposta fu un emoticon con gli occhi a cuore.

«Io non dedico poesie.» sbuffò Caleb.

Ridacchiai «Fidati, questa le piacerà.»

Sei sempre nei miei pensieri, te lo dico volentieri. Ma sei una barbie e mi stai antipatica, finirai nel Tartaro brutta sociopatica.

Inviai e non riuscii a trattenere un risolino malvagio. Quella ragazza aveva bisogno di qualcuno che le facesse capire che il mondo non girasse tutto intorno a lei, e io ero solo molto premurosa nel farglielo capire.

Il telefono squillò, il suo nome apparve sullo schermo: stava chiamando.

Risposi senza indugiare «Ehilà, barbie.» la salutai cordiale.

«Che diavolo ci fai con il cellulare del mio Cal, brutta stronza?» sbraitò. Dovetti allontanarmi l'apparecchio dall'orecchio per evitare di spaccarmi i timpani.

«Niente, guardavo solo un po' di foto, leggevo messaggi... tu che fai?»

«Smetti di fare la finta simpaticona, stronza. Passami Caleb.»

Cominciai ad arrotolare una ciocca di capelli attorno al dito «Non può parlare ora: è impegnato. Vuoi lasciare un messaggio?»

E, no. Evidentemente non voleva farlo, perché mi riattaccò in faccia.

«Educata...» mormorai, appoggiando il telefono sul comodino.

«Grandioso, ora mi conosci un po' di più, no? Raccontami cosa ti è successo.»

«Ragazzi! È pronta la cena!» gridò la madre dal piano inferiore.

Sospirai sollevata «Non c'è tempo, e comunque non è nulla di importante. Andiamo a mangiare, che ho famissima.» mi alzai dal letto e legai i capelli in una treccia lenta, poi aspettai che Caleb mi seguisse. Aveva un'espressione crucciata e al contempo divertita, ma non ne capii il motivo.

Cenammo molto tranquillamente, i genitori dei ragazzi erano davvero gentili e premurosi, e si preoccuparono di farmi avere tutto ciò di cui potessi aver bisogno. Si interessarono alla mia vita e io dissi loro semplicemente che prima mio fratello ed io vivevamo a Londra, ma restai vaga su tutto il resto. I ragazzi erano davvero esilaranti e mangiavano per un esercito, infatti, quando terminammo di mangiare non era rimasto più niente.

Dopo aver ringraziato gentilmente i genitori, salimmo in camera di Aaron.

«Domani a che ora dovremmo venire a vedere la partita?» chiese Jace a Caleb.

Lui controllò nel telefono «Quindici e trenta.» rispose solo.

«Verrai anche tu, Grace?» mi chiese Alex.

Io annuii decisa, e anche un po' emozionata «Non la mancherei per nulla al mondo: è la prima partita del mio fratellone.»

Continuammo a parlare per qualche ora, era davvero piacevole passare del tempo in loro compagnia, non erano per nulla rozzi o volgari, ma sapevano come divertirsi.

«Ragazzi, vi lascio. Sta per cominciare la nuova puntata di Grey's Anatomy e non voglio perdermela.» affermò Jace alzandosi dalla poltrona e avviandosi verso l'uscita.

Caleb sbuffò «Che asociale.»

Incrociai le braccia al petto «Senti... coso. È il finale di stagione, okay? Ti è chiaro il concetto?»

Aaron trattenne una risata davanti all'espressione imbronciata di Caleb in seguito alla mia ripresa.

«Ah, ma ti piace anche a te? Finalmente qualcuno che mi capisce in questa famiglia!» esclamò Jace abbracciandomi «La vuoi venire a vedere con me?» Non ci pensai due volte ad acconsentire.

Caleb rimase a bocca aperta, pronto a ribattere, ma Aaron glielo impedì e iniziò con lui una specie di lotta.

Jace mi accompagnò nella sua stanza, poco più grande di quella di Caleb. Il suo letto era attaccato alla parete sinistra, al fianco aveva una piccola scrivania e sulla destra un grande armadio. Sulla parete dove si trovava la porta era appesa una tv, sotto di essa, una cassapanca con diversi dvd sistemati alla perfezione.

«Carina la tua stanza.» commentai.

Lui mi fece cenno di sedermi sul letto «Grazie. Quando si ha tanti fratelli è di vitale importanza avere una tana tutta per sé.» ammise accendendo la tv. Fortunatamente l'episodio non era ancora cominciato.

Jace infilò la mano sotto al letto e sentii qualcosa stropicciarsi, poi tirò fuori una confezione di Skittles.

«Non dirmelo!» esclamai ridendo.

Lui rise con me «È l'unico posto in cui non cercherebbero mai. Sai quanto è difficile riuscire a tenersi qualcosa in questa casa?»

Cominciavo ad averne un'idea.

«Anche per me è la stessa cosa: Alan ed io abbiamo sempre diviso la stanza e, di conseguenza, ciò che era mio era anche suo e viceversa. Era impossibile nascondersi le cose.»

Il ragazzo si sedette al mio fianco, aprì la confezione e mi lasciò scegliere per prima. Presi una caramella viola e la cacciai in bocca, ringraziandolo.

Guardammo la puntata di Grey's Anatomy e ridemmo davvero molto commentando le azioni dei personaggi. Jace era un'ottima compagnia, passare del tempo con lui era un toccasana e, dopo quella sera, mi parve quasi di conoscerlo da sempre.

«Come fai a vivere con un fratello così?» chiesi riferendomi a Caleb «Deve essere un lavoro a tempo pieno.»

Lui rise «Tu non hai idea. C'è chi è fortunato... e poi ci sono io.»

«Mi dispiace.»

Lui scosse la testa e spense la tv «Cal non è sempre così. Sì, è un cazzone e il più delle volte ti fa sudare sette camicie per potergli stare accanto, ma è un buon fratello e un ottimo amico. È il collante che tiene insieme questa famiglia. So che con te si sta comportando da stupido, e lo picchierei volentieri per questo perché ancora non capisce che tu non sei come Jenny o le altre ragazze che solitamente girano con lui. Non fraintendermi: so che il detto "non sei come le altre" è abbastanza ridicolo ed è un classico, ma lo penso davvero. Prima o poi anche lui se ne accorgerà, fidati. Sta a te decidere se vale la pena aspettare o meno.»

Sbattei le palpebre confusa. Doveva essere un discorso d'incoraggiamento o qualcosa di simile? Non capivo.

Mormorai un grazie, gli augurai una buonanotte e uscii dalla stanza rimuginando sulle sue parole. Perché mai avrei dovuto aspettare che lui si accorgesse che fossi diversa? Non era abbastanza palese?

Cercai la sua camera e la trovai al terzo tentativo dopo aver sceso le scale, averle risalite ed essermi persa un paio di altre volte. Aprii la sua porta e lo trovai in piedi davanti alla sua libreria, con la palla da football in mano, il suo sguardo era abbastanza scocciato.

«Ce l'avete fatta, finalmente.»

Alzai gli occhi al cielo «Brontoli sempre.»

Lui continuò imperterrito a gesticolare con le mani, con un'adorabile espressione imbronciata «Sarà che forse il motivo è che hai passato un sacco di tempo con quel coglione di mio fratello al posto di stare con me come promesso?»

Alzai un sopracciglio «Ti stai aspettando delle scuse da parte mia, forse?»

Lui annuì deciso e io feci schioccare la lingua contro il palato «Aspetterai in eterno, allora.»

Il biondino sospirò e si sedette sul suo letto, facendomi spazio e incitandomi ad accomodarmi accanto a lui.

Non esiste.

«Non penserai davvero che dormirò con te nel tuo letto, vero?»

Il suo broncio sparì, come se nulla fosse mai successo, e sul suo volto comparve quel sorrisetto malizioso «Non hai molte altre alternative, mi pare.»

Qualcuno bussò alla porta, poco dopo sbucò il viso dolce della madre dei ragazzi che, quando mi vide, mi sorrise «Grace, ero venuta a vedere se fosse tutto a posto. Hai bisogno di qualche coperta in più?»

Scossi la testa «No, grazie. Non dormirò qui, non vorrei mancare di rispetto nei vostri confronti. Il divano andrà benissimo.»

Caleb balzò su dal letto e provò a ribattere, ma la madre lo batté sul tempo «Oh, cara, che gentile. Non serve che tu dorma sul divano. Abbiamo la stanza degli ospiti. Te la mostro, vieni, così potrai riposare.»

«Mamma!» sbottò Caleb.

Io ridacchiai di nascosto e, quando la donna sparì in corridoio, afferrai il mio zaino e salutai il biondino con la mano mimandogli un "buonanotte" molto ironico.

La stanza degli ospiti era in fondo al corridoio, entrammo e la donna mi sfiorò la schiena, gesto che mi fece rabbrividire «Ecco, dormi bene, tesoro.»

Le sorrisi grata «Grazie per l'ospitalità, signora.»

«Chiamami Abby.»

Annuii «Buonanotte, Abby.»

Quando rimasi sola nella stanza mi sistemai al centro del grande letto matrimoniale, comodo e molto morbido. Era la prima notte che passavo senza Alan, ma cercai di non pensarci. Mi misi a guardare fuori dalla finestra quando il sonno mi pervase quasi all'istante e mi persi nuovamente nel solito sogno.

Alan ed io stavamo suonando la solita melodia, lui al pianoforte e io al violino, mentre i nostri genitori ci guardavano orgogliosi.

«Ora andate a dormire, tesori miei.» disse nostra madre sorridendo.

Papà ci prese entrambi in braccio, pizzicandoci le cosce e facendoci ridere.

«Non sono stanco, papà.» esclamò Alan imbronciandosi.

Nostro padre ci mise nei nostri letti e ci baciò sulla fronte «Fate i bravi e domani andremo a prendere il gelato, promesso.»

Mio fratello ed io esultammo e ci infilammo sotto le coperte senza protestare più.

La mattina dopo ci alzammo entrambi super euforici, corremmo nella loro stanza ma non li trovammo. Mi corrucciai «Dove sono mamma e papà?» chiesi a mio fratello.

Lui alzò le spalle e corse giù in cucina dove si sentivano dei rumori.

«Aspettami!» urlai, ma lui non mi sentiva più.

Al piano di sotto trovai mia zia Kath con alcuni uomini con la divisa blu, stavano parlando.

«Zia Kath?» la chiamai.

Quando mi notò, vidi il suo volto pieno di lacrime, ma non capii.

«Zia, dove sono mamma e papà?» chiesi.

Lei si inginocchiò davanti a me, le mie mani tra le sue sembravano minuscole.

«Tesoro, ieri sera la tua mamma, il tuo papà e Alan hanno avuto un incidente-» la fermai, confusa.

«Ma no zia: Alan è qui con me.» mi voltai a cercarlo ma non lo trovai.

Chiusi gli occhi e quando li riaprii mi ritrovai all'esterno. La neve era ovunque, ma davanti a me riuscii a vedere soltanto la macchina di mio papà, era sottosopra. All'interno vidi i miei genitori, dietro c'era anche Alan. Erano immobili.

Mi svegliai gridando, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Le mie guance erano bagnate dalle lacrime, le mani tremavano strette alle coperte.

«Alan...» balbettai cercando di capire dove mi trovassi. Non era la mia camera. Cercai il mio cellulare, lo accesi e scorsi il dito tra le chiamate recenti fino a trovare il numero di Alan. Non mi importava che fosse notte fonda, non mi importava di niente: dovevo sentire la sua voce.

Rispose dopo qualche squillo «Ehi, Grace... che succede?» domandò, la voce impastata dal sonno.

«Alan, è tutto a posto? Stai bene?»

Lui capì all'istante: «Hai di nuovo sognato i nostri genitori? È tutto a posto Grace, era solo un incubo. Cerca di tranquillizzarti.»

Mentre parlava scuotevo la testa senza pensare che lui non avrebbe potuto vedermi, così lo fermai «No, Alan, non capisci: c'eri anche tu nella macchina questa volta. Eri morto con loro.»

CALEB

Mi svegliai a causa di singhiozzi, qualcuno stava piangendo, ma quando aprii gli occhi notai che in camera non ci fosse anima viva. Uscii dalla mia stanza e cercai di capire da dove potessero provenire.

«Alan, mi mancano da morire.» quella voce... quel sussurro... era Grace.

Raggiunsi la camera degli ospiti e aspettai qualche secondo fuori dalla porta cercando di capire cosa stesse succedendo. Sentii un altro singhiozzo e non riuscii più ad aspettare: entrai.

Sul letto non c'era nessuno, i rumori cessarono all'istante. Vagai con lo sguardo nella stanza buia finché non notai un ammasso di coperte nell'angolo vicino alla finestra.

Grace mi stava guardando spaventata, gli occhi sgranati e le guance rigate di lacrime.

Aveva il telefono incollato all'orecchio e le dita lo stringevano con forza. Quando mi chiusi la porta alle spalle, sembrò riprendere a respirare «Alan ti devo lasciare, ci sentiamo domani, okay?» mormorò, poi fece scivolare il telefono a terra. Mi guardò lievemente arrabbiata «Che ci fai qui?»

«Non so, mi sono svegliato, ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare.» non aggiunsi il fatto che mi facesse pena e compassione, altrimenti si sarebbe arrabbiata un casino.

«Non importa. Scusa se ti ho svegliato, ma puoi andartene. Sto alla grande.» disse alzandosi e barcollando verso il letto trascinandosi le coperte dietro. Si stese e si raggomitolò dandomi le spalle.

Sospirai e andai a prendere il suo telefono, lo misi dentro al suo zaino e mi sedetti accanto a lei «Posso rimanere, se vuoi.»

Non disse nulla. Sbucò dalla matassa di coperte e mi guardò dubbiosa, e, sempre in rigoroso silenzio, mi fece spazio nel letto. Mi stesi al suo fianco senza pensarci due volte e mi girai su un fianco per guardarla.

I suoi occhi verdi erano ancora lucidi e le sue ciglia erano umide e definite, mi guardava come se cercasse di mettersi il cuore in pace. Era bellissima.

Wow, okay, calmiamoci.

«Non pensare che questo cambierà qualcosa tra di noi, chiaro? Ti odio come ti odiavo prima.»

Sorrisi ed annuii «Lo so, ora dormi, tigre.»


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