Capitolo 6
GRACE
Decidemmo che la sfida si sarebbe tenuta quella sera, così i ragazzi andarono a farsi una doccia e io ebbi la possibilità di passare un po' di tempo sola con Jace e indagare sulla vita segreta da maniaco del biondino mentre lo stracciavo alla play.
«Quindi Caleb sarebbe il più piccolo di voi, ho capito bene?» chiesi, battendolo per la terza volta.
Lui imprecò restando concentrato sullo schermo.
«Esattamente. Il più grande dei fratelli è Alex, quello moro che hai visto in palestra con la canottiera e i pantaloni da basket. Lui ha 24 anni, ha già finito il college e ora lavora per un'importante azienda immobiliare. Poi ci sono Austin e Aaron che hanno 22 e 21 anni, entrambi frequentano il college e studiano economia perché vogliono seguire le orme di nostro fratello. Infine, ci sono io che ho da poco compiuto i 20 e studio per diventare infermiere.» si interruppe per concentrarsi sulla partita, ma quando capì che contro di me non aveva speranze, continuò «Abbiamo sempre preso di mira Cal quando eravamo più piccoli... poi è cresciuto e ha iniziato a darcele di santa ragione. Il resto lo conosci.»
Annuii anche se lui non poté vedermi.
«E tu? Hai fratelli o sorelle?»
«Sì, ho un fratello gemello, si chiama Alan.» spigai.
«Figo! È per questo che sei tanto brava negli sport e alla PlayStation?» ridacchiò.
«Già. Avrei un po' sete, è un problema se faccio un salto a prendermi un bicchiere d'acqua?» chiesi.
Jace non staccò gli occhi dalla play «Figurati, fai come se fossi a casa tua.»
«Ti ringrazio. Ne vuoi uno anche tu?»
Lui annuì «Gentilissima.»
Sorrisi e scossi la testa. Lasciai il joystick sul tavolino e mi diressi in cucina dove mi misi a cercare la credenza con i bicchieri. Quando la trovai, ne presi uno e mi versai un po' d'acqua.
Feci per prendere il telefono dalla tasca quando mi accorsi di non averlo con me, così feci rapidamente mente locale e ricordai di averlo lasciato nella borsa. Mi schiaffeggiai mentalmente e mi avviai su per le sale alla ricerca della camera del biondino.
Aprii una porta a caso, ma non era quella giusta, così proseguii e aprii la seconda porta ritrovandomi il biondino solo con un asciugamano a contornargli la vita, i capelli tutti bagnati e le goccioline di acqua che gli colavano sugli addominali.
Mi coprii gli occhi con le mani e richiusi alla svelta la porta, che decisamente non era quella giusta.
«Entra pure, così mi fai un po' di compagnia.» lo sentii dire, e colsi subito il tono scherzoso – ma anche serio – della sua voce.
Ma a cosa avevo appena assistito? Quell'immagine non sarebbe andata via dalla mia testa tanto facilmente.
Per quella giornata decisi che ne avevo avuto abbastanza di ragazzi mezzi nudi. Mi voltai per tornare in cucina abbandonando l'idea di cercare il mio telefono, ma quando lo feci mi passò davanti uno dei fratelli nelle stesse condizioni dell'altro chiuso in bagno. Mi fece un cenno con la testa, un sorrisetto ed entrò in camera sua.
A testa bassa scesi di corsa le scale e mi sedetti sul divano accanto a Jace, il quale mi guardò incuriosito «Che c'è? Hai visto un fantasma?» chiese ridendo.
Be', un fantasma direi di no... ma due ragazzi mezzi nudi sì, e li ho visti proprio bene!
«Sto alla grandissima. Vado a prenderti il tuo bicchiere d'acqua.» dissi, ricordandomi che gliel'avessi promesso.
Mi rintanai in cucina e preparai il bicchiere d'acqua per Jace, ma mi presi cinque minuti per rilassarmi. Chiariamoci: ero abituata a vedere ragazzi in mutande o comunque poco vestiti, Alan lo faceva continuamente... ma non avevo mai visto tante belle cose in una volta sola.
Versai l'acqua nel bicchiere e mi accorsi di star tremando, così mi tirai uno schiaffo sulla guancia per tentare di riprendermi.
Smettila di fare la ragazzina, è solo anatomia umana, cominciai a ripetermi.
«Sei scappata per riprenderti da quello che hai visto?» la voce da sbruffone del biondino mi prese alla sprovvista, immersa com'ero nei miei pensieri, così raddrizzai le spalle e mi girai talmente velocemente che mi stupii di avere ancora la testa attaccata al collo.
Le mie povere guance stavano andando a fuoco da ormai cinque minuti pieni, e mi stavano chiedendo pietà, così cominciai a pensare a cose come i compiti da fare, o a cosa avrei potuto mangiare quella sera, e la cosa – stranamente – mi aiutò a calmarmi e a riprendere il controllo delle mie emozioni.
Mi accorsi di avere ancora la bottiglia aperta in mano, così l'appoggiai al piano della cucina, la chiusi e sbuffai con noncuranza «Ma fammi il piacere.»
Quasi mi battei il cinque da sola per l'autocontrollo dimostrato.
Rimisi l'acqua nel frigorifero e mi incamminai per portare il bicchiere a Jace.
Il biondino si avvicinò con uno scatto e dovetti balzare all'indietro, sbattendo contro lo stipite della porta. Il suo corpo era troppo vicino al mio, ma riuscii a mascherare l'effetto che stava avendo su di me con una certa maestria.
Quel giorno non smettevo di sorprendermi.
«Dove pensi di andare?» domandò bloccandomi.
Appoggiai la mano al ripiano della dispensa che avevo al fianco e le mie dita sfiorarono qualcosa di cilindrico, così pensai bene di afferrarlo e, quando lessi "panna montata" sulla confezione, la spruzzai tutta in faccia al ragazzo, il quale non si mosse di una virgola.
Be', la sua espressione era tanto buffa quanto arrabbiata, ma dato che ora doveva ripulirsi, ne approfittai per scappare, ma non riuscii a trattenere un risolino «Non sei tanto intelligente.»
Uscii dalla cucina e raggiunsi Jace.
CALEB
Quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire. Cercai di ricordarmi per quale assurdo motivo il giorno prima avessi pensato che quella sfida mi avrebbe portato qualcosa di buono, ma non mi venne in mente nulla.
Mi ripulii la faccia e la raggiunsi in salotto, mi sedetti al suo fianco e la vidi sussultare, ma non si mosse.
Mi chinai per arrivare a sussurrarle all'orecchio, dato che non volevo che mio fratello sentisse, e ne approfittai per scostarle i capelli dal collo mettendoglieli dietro le spalle.
«Ammettilo: prima l'hai fatto apposta ad aprire la porta perché sapevi che mi avresti trovato dentro la doccia.» lei deglutì, trattenni un sorriso e continuai «Perché dal primo giorno in cui hai messo gli occhi su di me hai capito che ti piaccio.»
Lei sbuffò, impassibile «Ma smettila, tu non mi piaci affatto.» si allontanò di qualche centimetro e scosse la testa per far sì che i capelli le tornassero a coprirle l'orecchio.
«Io piaccio a tutti, e quelli a cui non piaccio è perché hanno gusti discutibili.» ammisi incrociando le braccia al petto e appoggiando la schiena contro lo schienale del divano.
Lei si voltò finalmente a guardarmi e rimase a bocca aperta. Poi fece un sussulto e si portò una mano alla bocca prima di scoppiare a ridere.
Quella ragazza io non l'avrei mai capita, ma aveva una risata pazzesca.
«E adesso cosa c'è?» chiesi, un po' scocciato e un po' curioso.
Lei non riuscì a parlare, i suoi occhi si riempirono di lacrime ai lati degli occhi dal gran ridere e si piegò in due.
Jace ci guardò con gli occhi stralunati «Ehi, Grace, vai piano: stai per esplodere.» ridacchiò.
Lei si rimise a sedere composta e cercò di trattenersi guardando il soffitto e sventolandosi la faccia con le mani.
«Okay... ci sono.»
«Ora mi spieghi che ti è successo?» incalzai.
Lei serrò le labbra per trattenere un'altra risata «La tua faccia.»
«La mia... faccia.» ripetei perplesso.
Lei annuì e si morse il labbro ridacchiando «È troppo buffa.»
«E perché mai?»
Alzò il dito e mi sfiorò il mento con l'indice. Sentii una sorta di scossa quando la sua pelle entrò in contatto con la mia, ma fu una frazione di secondo e quasi per niente percettibile.
Quando si allontanò il suo dito era pieno di panna montata. Me lo mostrò «Avevi questa ancora. Sembravi la brutta copia di Brad Pitt quando aveva il pizzetto.» ridacchiò ancora.
Jace rise al commento e le diede ragione, poi indicò la panna con un cenno del capo «Se te la mangi ti faccio vedere la mia scorta segreta di Skittles.»
Il volto di Grace si illuminò e non ci pensò due volte a infilarsi il dito in bocca e a succhiarlo leggermente.
In quel gesto semplice e innocente non ci mise per nulla malizia, ma ci pensò la mia immaginazione a farlo.
Non riuscii a toglierle gli occhi di dosso. Dovetti stringere il bracciolo del divano per frenare l'impulso di toccarle le labbra.
Cosa?
«Ehi... ci sei ancora?» mi chiese lei, ora in piedi davanti a me.
Annuii distante, poi mi alzai e la seguii mentre riportava il bicchiere in cucina. Lo mise nel lavandino e si voltò a guardarmi «Stavo cercando la tua camera.»
Sbattei le palpebre un paio di volte cercando di capire se avessi sentito bene o meno: voleva che andassimo in camera mia?
«Che?»
Lei alzò lo sguardo e picchiettò le dita contro i jeans «Prima. Stavo cercando la tua camera prima, quando ho aperto la porta... non... non volevo... cioè, non volevo... disturbarti, ecco. In bagno, dico. Non volevo aprire quella porta.» non mi guardò mentre parlava, o per lo meno, tentava di farlo.
Cominciò a torcere una ciocca di capelli tra le dita e continuò a guardare tutto fuorché i miei occhi.
«Tranquilla. Ora ti ci porto.»
Le indicai con un cenno le scale e aspettai che si staccasse dal lavandino della cucina prima di uscire dalla stanza e cominciare a salirle.
Lei mi seguì in silenzio e aspettò che ci trovassimo entrambi davanti alla porta della mia stanza prima di fiondarsi alla ricerca di qualcosa dentro al suo zaino.
Prese un quaderno ad anelli e un astuccio, si scostò i capelli dal viso quando richiuse la cerniera dello zaino. Si alzò e mi guardò «Che hai da guardare? Sei inquietante. Smettila.»
Eccola. Era tornata la ragazza scorbutica che avevo conosciuto.
«Lo so che ti piace quando ti guardo.» risposi con uno dei miei sorrisi migliori. A lei non fece alcun effetto però, così cambiai discorso e cercai un appiglio per iniziare una conversazione «Tu disegni?»
Lei guardò prima il quaderno, poi me e alzò un sopracciglio «No, mangiare i colori è il mio passatempo preferito. Ma ti pare? Cosa farò mai con un quaderno e un astuccio pieno di materiale da disegno? Pensavo fossi più perspicace.»
Decisi di non ribattere o avremmo ricominciato a litigare. Era davvero irrispettosa e sfacciata, ma probabilmente era questo ad avermi incuriosito tanto. Amavo le sfide e lei era la più difficile che avessi mai scelto di accettare.
Uscì dalla mia stanza e cominciò a guardarsi intorno, mormorando tra sé e sé. La seguii mantenendo una breve distanza e mi scontrai con lei quando si fermò all'improvviso davanti alle scale.
«Ma che stai facendo?»
Lei si aggrappò per un attimo a me per non cadere, ma si lasciò subito e scese di un gradino «Cerco l'ispirazione. Tu mi stai stalkerando, invece.» asserì sistemandosi i capelli dietro le spalle.
«Io non ti sto... oh, lascia perdere. Vieni con me.» sospirai prendendole la mano e cominciando a scendere le scale.
Grace non poté opporre resistenza perché la trascinai giù per le scale stringendola forse un po' troppo forte. Non dissi nulla quando lei cominciò prima a protestare, poi a urlarmi contro cercando di farmi dire dove la stessi portando.
«Se smetti di parlare e mi segui ci mettiamo meno tempo, tigre.» ribattei raggiungendo il retro del giardino.
Aprii il cancello di legno che portava a un piccolo parchetto abbandonato, pieno di fitti alberi e fiori. La luce del sole faticava a filtrare attraverso le foglie degli aceri, ma quando ci riusciva i colori dei fiori sparsi tra l'erba brillavano.
«Ecco.» dissi fermandomi.
Grace mi venne addosso sbattendo contro la mia schiena e imprecando a bassa voce.
Mi voltai per guardarla e la trovai a strofinarsi la mano sulla fronte, stringendo impacciatamente il quaderno con l'astuccio cercando di non farli cadere.
Mi spostai per permetterle di guardare e la osservai quando rimase a bocca aperta davanti a quel paesaggio suggestivo.
In realtà non andavo molto spesso in quel posto, non ci avevo mai dato troppa importanza. Amavo Chicago proprio perché era caotica, piena di palazzi e cemento. Quel giardino era considerato da mia madre come un piccolo pezzo di paradiso, le piaceva molto passare del tempo a curare i fiori, nonostante non fosse tecnicamente nostro, ma della palazzina dietro.
Grace rimase immobile a fissare davanti a lei, la bocca semi aperta per lo stupore.
«Questo posto è...» cominciò, ma non terminò la frase. Sospirò.
Non riuscii proprio a smettere di guardarla. Le ero talmente vicino che riuscivo a sentire il suo profumo di frutti di bosco; notai un piccolo neo nell'incavo tra collo e spalla.
«Cos'è quello?»
Non scostai lo sguardo quando indicò qualcosa davanti a noi.
«Quello cosa?»
Lei mi guardò con quegli occhioni verdi che in quel momento si confondevano con l'ambiante intorno a noi, non riuscii a parlare.
«Guarda: c'è qualcosa laggiù.» indicò nuovamente il punto.
Mi ci volle una buona quantità di forza di volontà per girarmi e cercare con lo sguardo qualcosa di strano che avesse potuto attirare la sua attenzione.
«Io continuo a non capire. Ci sono degli alberi e dei fiori.» ammisi.
Lei sbuffò e alzò gli occhi al cielo, mi prese la mano e mi trascinò in mezzo alle piante. Aguzzando lo sguardo, notai una piccola e vecchia costruzione in legno, le assi erano per lo più rotte o marce, e le piante rampicanti si erano attorcigliate a gran parte della struttura.
«Okay... cosa dovrebbe essere?»
Lei mi guardò boccheggiando, come se avessi dovuto sapere perfettamente cosa rappresentasse.
«Questo è un gazebo fantastico.»
Ridacchiai «"Fantastico" non è proprio l'aggettivo che userei, sinceramente.»
«Perché tu sei stupido.» sbuffò.
Alzai le mani in segno di resa «Okay, non serve offendere, tigre.»
Lei aprì il suo quaderno, lo sfogliò fino ad arrivare a una pagina vuota e prese a disegnare con foga. Intanto, i suoi occhi brillavano per l'emozione e le sue parole venivano fuori velocemente e confuse: «Immaginatelo tutto ripulito: le assi di legno nuove, tutte ridipinte di un bel bianco luccicante. Le piante rampicanti sono carine, ma andrebbero tagliate e risistemate. Poi immagina dei cuscini, qualche decorazione, magari un chiodo qui per appenderci un piccolo poster o un quadro...»
La osservai disegnare il suo progetto, poi realizzai: «Momento. Intendi risistemarlo?»
Lei alzò lo sguardo e finalmente mi guardò. Sorrise «Perché no?» picchiettò la matita sul mento prima di terminare qualche dettaglio al disegno, poi me lo mostrò tutta fiera «Ecco.»
Lo guardai ammirato e sorpreso: era davvero brava a disegnare, inutile negarlo, però cercai comunque di mantenere un atteggiamento pacato e indifferente.
«Ci metterai davvero molto tempo se deve venire così bello.»
Lei sembrò sorprendersi per le mie parole, incrociò le braccia e fece un sorrisetto malizioso «Mi hai appena fatto un complimento?»
Cazzo.
«Non credo proprio.»
Non ero affatto tipo da complimenti. Certo, ero solito fare quei complimenti di circostanza per conquistare le ragazze, ma il più delle volte non li pensavo nemmeno.
«Mh...»
Il cielo si rabbuiò improvvisamente e lo feci presente a Grace, la quale non mi calcolò minimamente, tutta concentrata sul gazebo.
«Tra poco pioverà, meglio se rientriamo.» le ripetei, ma ancora nulla.
Le strappai la matita dalle mani guadagnandomi un'occhiataccia da parte sua «Ti ho sentito anche la prima volta che l'hai detto, ti stavo semplicemente ignorando.» sbuffò riprendendosi la matita.
«Gentile da parte tua.»
Le prime gocce cominciarono a picchiare sulle assi del gazebo, poi sui nostri volti. Grace guardò il cielo proprio nel momento in cui partì uno scroscio di acqua fortissimo che ci inzuppò dalla testa ai piedi. Lei scoppiò a ridere e si scostò i capelli dal volto.
«Oh, mio Dio! È fantastico.» esclamò continuando a ridere.
«Non c'è niente di divertente in questo.» le feci notare, indicando i nostri vestiti fradici. Lei scosse la testa «Quanto sei noioso!» gridò per sovrastare la pioggia.
Quando si avvicinò a me, non mi mossi. Sbattei più e più volte le palpebre per proteggere gli occhi dalla pioggia, ma non smisi mai di osservarla mentre si avvicinava a me.
«Mi tieni questi?» chiese porgendomi il quaderno e l'astuccio, ormai zuppi anche loro.
Me li mise in mano e sorrise, ma non era un sorriso dolce e capii le sue intenzioni solo quando ormai era troppo tardi: mi afferrò per un braccio e mi fece lo sgambetto. Scivolai all'indietro ma ebbi i riflessi pronti e la trascinai a terra con me. Emise un urlo strozzato per la sorpresa, poi scoppiò a ridere quando fummo entrambi a terra. «Credo di aver appena vinto la nostra scommessa, coso.»
È vero, la nostra scommessa.
«Tecnicamente, l'abbiamo vinta entrambi perché ora tu sei a terra con me.»
Lei storse il naso «E quindi come facciamo?»
Valutai le varie opzioni, ma l'unica cosa che mi venne in mente non mi piacque «Credo che ognuno di noi otterrà quello che vuole. Puoi chiedere quello che vuoi come posso farlo io.»
E pensai subito che lei avrebbe chiesto di potersene andare, perché ero convinto del fatto che fosse l'unica cosa che le interessasse al momento.
«È un potere non indifferente che eserciterei su di te... penso che me lo terrò per un futuro.»
Rimasi piacevolmente sorpreso da quella notizia. Forse, in fondo, non mi odiava così tanto.
«Perfetto, allora tocca a me a questo punto.» misi le mani sui suoi fianchi e ammiccai
«Voglio un bacio.»
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