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Capitolo 5

GRACE





Ovviamente non ero mai abbastanza nei guai che mi ci dovevo pure cacciare da sola. Che diavolo di scusa avrei inventato con Alan? Certo, non avrei dovuto inventarmi scuse se non ci fossi andata. Non poteva costringermi.

Certo, farò proprio così: non ci andrò.

Cominciai a pensare a una strategia per evitare il biondino per tutta la giornata scolastica e mi sarei liberata di lui semplicemente ignorandolo.

«Ehi, Grace!» Alan mi bloccò prima che potessi fare un altro passo rischiando che un'auto mi investisse. Mi accorsi solo allora che stavo attraversando la strada senza guardare. Il cuore mi prese a battere all'impazzata e mi aggrappai al braccio che mio fratello mi aveva messo davanti all'addome per fermarmi.

«Scusa, ero soprappensiero.»

Lui riprese a camminare mettendomi un braccio attorno alle spalle «Ho notato. Cosa ti turba, sorellina?» il suo tono apprensivo mi addolcì e mi scrollai di dosso tutte le brutte sensazioni.

Con Alan avevo un rapporto davvero meraviglioso: eravamo cresciuti insieme e ci siamo sempre stati l'uno per l'altra. Qualsiasi sentimento provassi lo sentiva anche lui e viceversa, lui era la mia roccia e io la sua. Siamo sempre stati il confidente, il migliore amico, il fratello e, certe volte, il genitore l'uno dell'altra e non riuscivo a immaginare la mia vita senza lui al mio fianco. Non siamo mai stati lontani per più di quindici ore e il solo pensiero di poterlo perdere mi terrorizzava.

«Niente di grave, davvero.» tentai di rassicurarlo aggiungendo a quella risposta anche un sorrisetto abbastanza forzato.

Lui mi guardò sospettoso, ma fortunatamente finse di credermi e lasciammo cadere l'argomento.


Non appena varcammo il cancello della scuola, Melanie mi corse in contro e mi abbracciò lasciandomi visibilmente perplessa.

«Ehm... ciao.» balbettai colpendole ripetutamente la schiena con la mano.

Lei si allontanò e mi prese per un braccio «Vieni con me, dobbiamo assolutamente parlare noi due!» gridò entusiasta. Troppo entusiasta per essere mattina presto.

Guardai mio fratello, il quale stava cercando in tutti i modi di trattenere una risata, e lo salutai «Ci vediamo durante la pausa, okay?»

Lui annuì e mi diede un bacio sulla guancia, poi si avviò verso i suoi nuovi amici della squadra. Il biondino non era tra loro.

Melanie mi trascinò lontano da tutto il resto degli studenti e si fermò solo quando fummo abbastanza lontane da occhi indiscreti.

«Allora? È vero quello che si dice?» chiese a bassa voce.

«Credo che dovrai essere più precisa.»

Lei ridacchiò «Dello scontro tra Jenny e te ieri al campo da football.»

«Ah! Sì, è tutto vero.» ammisi sistemandomi i capelli dietro alle spalle.

«Si parla di me?» il biondino si materializzò alle mie spalle facendomi sussultare. Mise le mani sulle mie, che tenevo sui fianchi, e si avvicinò ancora di più a me.

Tenni difficilmente a bada il mio tic nervoso.

Allontanai le sue mani dalle mie e mi voltai per guardarlo dritto negli occhi. Per farlo, però, dovetti piegare la testa all'indietro di un bel po'.

Ma come ti permetti di toccarmi?

«Coso, il mondo non gira tutto intorno a te. Sparisci.» ringhiai spostando l'aria davanti a me con la mano, sperando che capisse che doveva andarsene il prima possibile.

«Tosta anche di prima mattina? Sei adorabile.» ammiccò.

Fortunatamente Melanie mi trattenne, altrimenti gli sarei saltata addosso e avrei sfregiato con le mie unghie quel suo bel faccino impertinente.

«Ero solo venuto a ricordarti della mia ricompensa: ti aspetto fuori da scuola quando finirà alle sedici e trenta. Buone lezioni.» detto questo, si allontanò per raggiungere i suoi compagni di squadra.

Melanie sospirò «È illegale...»

Io la guardai e schioccai la lingua contro il palato «Lo so, grazie! Pensavo, però, che non sarebbe servita a nulla una denuncia, ma a questo punto farò di tutto affinché finisca in carcere.»

Lei sbatté le palpebre un paio di volte, poi scoppiò a ridere «Che? Parlavo della sua bellezza, scema! La sua bellezza è una cosa illegale.»

Mi avviai verso l'entrata dell'edificio «Come ti pare... però io sarei più contenta se lui se ne stesse il più lontano possibile da me e se fosse in prigione sarei ancora più felice.»

La ragazza accanto a me rise ancora di cuore, poi mi prese a braccetto e mi accompagnò davanti alla classe dove avrei avuto la mia prima lezione del giorno «Com'è questa storia che avete un appuntamento, comunque?» domandò prima di lasciarmi andare.

«Non farti strane idee: non è un appuntamento. Ieri abbiamo fatto una scommessa che purtroppo lui ha vinto – barando – e per questo da dopo scuola dovrò passare con lui le prossime ventiquattro ore.»

Lei rimase a bocca aperta, poi strillò «Ma scherzi? Intendi ventiquattro ore... giorno e notte

Annuii, scatenando in lei una scarica di risate.

«Non sai quanto ti invidio! Anche se ormai i tre quarti delle ragazze di questa scuola sono passati sul suo letto, nessuna, e dico nessuna, può dire di essercisi svegliata la mattina dopo.»

Frenai subito il suo entusiasmo «Buona. Io non dormirò nel suo letto. Starò sul divano o nella cuccia del cane, se serve. Ma non entrerò mai nella sua stanza.»

Lei ammiccò «Non so quanto ti convenga: si dice in giro che i suoi quattro fratelli siano uno più bello dell'altro. Pensa se te ne ritrovassi uno o più di uno mezzo nudo in salotto.»

Sgranai gli occhi «Quattro?!»

Uno come lui forse avrei potuto imparare a gestirlo... ma altri quattro no. Mi sentii svenire.

«Dato che sono maledettamente curiosa di sapere come andrà a finire questa faccenda, ti aiuterò: potrai dire a tuo fratello che verrai a stare da me, così almeno questo problema è risolto.»

Feci roteare gli occhi al cielo «Grande... che bell'amica che sei. Se non ci fossi tu non saprei proprio cosa fare.» dissi sarcastica.

Lei mi mandò un bacio volante e si diresse verso la sua aula lasciandomi sola con i miei pensieri.

Seguii veramente a fatica le lezioni quella mattina. Durante il pranzo non dissi quasi niente e fortunatamente Alan non tentò di indagare. Gli dissi, a malincuore, che quella sera sarei rimasta a dormire da Melanie e lui non fece storie. Anche le lezioni del pomeriggio le passai come un ameba a scrivere e scarabocchiare sul quaderno.


Alle sedici e trenta in punto suonò la campanella. L'ora era giunta. Potei sentire nella mia testa le trombe intonare una melodia da patibolo...

Mi presi tutto il tempo che potevo sistemando con cura le cose nello zaino, mi diressi agli armadietti e misi i libri al loro posto.

Sospirai e uscii dall'edificio tentando di mimetizzarmi tra gli altri studenti. Notai subito il biondino che mi stava aspettando proprio davanti al cancello, così tentai l'ultimo gesto disperato e mi nascosi in un gruppetto di ragazze che usciva.

Pensai di passare completamente inosservata, però venni agguantata per un braccio e trascinata lontano da quelle ragazze.

«Dove pensi di scappare?» domandò il biondino porgendomi un casco nero.

Guardai prima lui, poi l'oggetto nelle sue mani e in fine di nuovo lui. Stava scherzando?

Doveva essere uno scherzo. Dove sono le telecamere?, pensai.

«Non lo metterò mai. Scordatelo.»

Lui non disse niente, mi mise tra le mani il casco, se ne mise uno anche lui e montò sulla moto che stava a qualche centimetro da lui e che, devo essere sincera, non avevo minimamente notato.

Mi misi il casco, rassegnata, e salii anche io, tentando di mantenere più distanze possibili.

«Ti consiglio di tenerti, non vorrei ti facessi male.»

Incrociai le braccia «Preferirei morire.» sputai acida.

«Come vuoi.» disse alzando le spalle.

Non riuscii nemmeno a contestare che lui partì arrivando in pochi secondi agli 80 km/h in pieno centro. Mi uscì un urlo stridulo e poco contenuto che però fu superato dal rombo potente del motore.

Non mi ressi comunque a lui: amavo la velocità. Non ero mai andata così veloce su una moto facendo slalom tra le auto e i camion, certo, ma comunque non provai altro che pura adrenalina.

«Ehi, coso... guarda che il semaforo è rosso.» urlai per farmi sentire, ma lui mi ignorò e accelerò.

Il semaforo si trovava a un paio di centinaia di metri da noi, ma a quella velocità lo avremmo raggiunto in un batter d'occhio.

Gli colpii forte la schiena «È rosso, pezzo d'idiota! Vuoi ucciderci?»

M'ignorò nuovamente e, anzi, accelerò.

Il cuore mi batteva all'impazzata, non potevo fare niente per farlo fermare.

Lo strinsi forte e nascosi la faccia sulla sua schiena pregando qualsiasi divinità affinché lui ritrovasse un po' di sale in zucca e frenasse.

Proprio all'ultimo momento frenò; le gomme slittarono sull'asfalto producendo un rumore assordante e un odore acre di plastica bruciata. Mi accorsi solo allora di star trattenendo il respiro e di stare stringendo con troppa forza le dita attorno alla sua maglietta.

Quando lo lasciai lo sentii ridere «Te l'avevo detto di tenerti.»

Okay, l'avrei ucciso.

«Ma sei pazzo?! Hai istinti suicidi? Dimmelo che ti evito come la peste. Sono troppo giovane per venire spiaccicata da un'auto in mezzo a un incrocio.» sbottai.

Il semaforo divenne subito verde e il ragazzo ripartì, questa volta rispettando i limiti di velocità e conducendo una guida tranquilla.

«Però alla fine mi hai stretto.» fece notare.

Mi partì il tic nervoso all'occhio «Cioè, tu ci avresti uccisi entrambi solo per farti stringere? Sociopatico.»

Lo sentii ridere, così mi sentii in dovere di aggiungere «E comunque è stato istinto di sopravvivenza, non montarti la testa.»


Arrivammo pochi minuti dopo davanti a una casa a tre piani davvero molto graziosa nel quartiere di West DePaul.

Il biondino parcheggiò la moto davanti alla porta chiusa del garage e potei finalmente scendere e ringraziare il cielo di essere ancora viva.

Tolsi il casco e scossi i capelli per ridargli nuovamente volume, poggiai il casco sulla sella e incrociai le braccia aspettando che lui dicesse che cosa fare.

«Dai, entriamo.» mise una mano alla base della mia schiena e mi spinse delicatamente verso la porta. Afferrai il suo braccio e puntai le unghie finché non lo allontanò da me, poi lo guardai assottigliando gli occhi «Le distanze di sicurezza, coso.»

Lui sorrise, per nulla intimorito dalla mia minaccia «Mh... una piccola tigre, eh?» disse scompigliandomi ulteriormente i capelli.

Trattieniti, conta fino a dieci, cercai di calmarmi, ma l'affronto che mi aveva appena fatto stava mettendo a dura prova la mia pazienza.

Ora gli stacco quelle dita a morsi.

Feci un respiro profondo e lasciai la presa sul suo braccio, sistemandomi lo zaino bene in spalla.

Il ragazzo aprì la porta di casa e subito venni accolta in un salotto bello spazioso. A sinistra della porta vi era un'asse di legno appesa al muro con sette chiodi, dei quali quattro erano occupati da mazzi di chiavi. Il biondino mise il suo su uno dei chiodi liberi, mi fece avanzare e si richiuse la porta alle spalle. Poco più avanti, sulla destra, si apriva un'altra stanza che immaginai fosse la cucina o la sala da pranzo, unita al salone tramite un arco a tutto sesto dalla larghezza di circa tre metri. A sinistra, invece, si trovavano due grandi divani grigi. All'angolo, un enorme televisore piatto era posato sopra a una vecchia credenza in legno vintage.

Il biondino lanciò il suo zaino su uno dei divani, facendo imprecare qualcuno.

«Caleb, sei un ragazzo morto.» sbottò una voce bassa e sicura.

Il ragazzo a fianco a me alzò gli occhi al cielo e ridacchiò «Esagerato...»

Dallo schienale sbucò una chioma folta e scura, poi un viso dai tratti ben definiti e in fine un torace nudo e ben formato.

Ah...

«Non- oh... c'è un'altra ragazza con te. Potevi avvisare.»

Un'altra ragazza? Be', questo sì che mi fece sentire bene...

«Non ci ho proprio pensato, Austin.»

Austin si alzò dal divano grattandosi la nuca e si avvicinò a noi... in mutande.

Grandioso.

Non potevo negare che fosse un gran bel ragazzo, alto almeno un metro e ottantacinque, abbastanza muscoloso ma snello, pieno di tatuaggi e con due occhi azzurri come quelli del fratello.

«Scusa la maleducazione di quel cretino di mio fratello, io sono Austin, quello sano.» affermò porgendomi la mano.

Ridacchiai alle sue parole e gliela strinsi «Grace, quella costretta a venire qui.»

Lui rise «Mi dispiace tanto. Anche per questo...» disse indicando il suo corpo «se avessi saputo che Caleb fosse venuto in compagnia mi sarei vestito.»

Alzai le spalle «Non preoccuparti, puoi permetterti di farlo.»

Non appena realizzai ciò che avevo detto avrei voluto sotterrarmi.

Austin rise «Be', grazie. Mi sei simpatica, ragazzina.» disse ammiccando.

Ammiccare era un vizio di famiglia, evidentemente.

«Ottimo, possiamo andare adesso?» sbuffò il biondino al mio fianco.

«Gesù, Caleb! Abbiamo un'ospite: sii gentile.»

«Come ti pare...»

Non capii cosa significassero gli sguardi che i due fratelli si stavano lanciando in quel momento, ma non ebbi il tempo di chiederlo che Austin si rivolse alle scale alle sue spalle e gridò «Ragazzi! Caleb è tornato!»

Si sentirono svariate voci ai piani superiori, poi dei passi che si dirigevano nella nostra direzione.

Il biondino incrociò le braccia «Mamma?» chiese poi.

Austin scossò le spalle «Fuori con papà.»

Quelli che immaginai fossero gli altri fratelli scesero le scale spintonandosi e ridendo, poi si bloccarono non appena mi videro.

In quella casa evidentemente non esistevano altri capi d'abbigliamento che non fossero boxer. Non che mi lamentassi, ovviamente.

Solo un ragazzo indossava un paio di pantaloncini da basket e una canottiera.

«Cal... c'è una ragazza in questa casa in pieno giorno.» constatò uno dei ragazzi.

Okay, ora basta.

«Statemi bene a sentire: io non sono qui per andare a letto con quel biondino presuntuoso. Non ci penserei neanche se fossi costretta, chiaro? E smettetela di darlo per scontato perché è offensivo e anche disgustoso. Siamo nel ventunesimo secolo, non so se vi è chiaro, e noi donne ci siamo emancipate da un bel pezzo.» sbottai guardandoli uno per uno negli occhi.

Seguì un silenzio imbarazzante, durante il quale mi sarei voluta sotterrare, ma mantenni alto il mento e sostenni lo sguardo dei cinque ragazzi, finché uno di loro non parlò «Hai ragione, ci dispiace. Vero ragazzi?»

Annuirono tutti in silenzio. Mi ritenni soddisfatta di quella piccola vittoria.

«Perfetto, ora noi ce ne andiamo in camera mia, quindi se ci cercate sapete anche dove trovarci.» affermò il biondino.

Mi prese la mano, che subito strattonai, e cominciò a salire le scale fino a raggiungere un corridoio con diverse porte chiuse. Ne aprì una e mi intimò di entrare. Borbottai un grazie e varcai la porta guardandomi un po' intorno. Sulla parete nella quale si trovava l'entrata, a destra, c'era una scrivania in legno nera con sopra un computer portatile, diversi fogli sparsi e un abat-jour nera. Sulla parete opposta c'era una grande finestra che illuminava tutta la stanza. A sinistra, un letto matrimoniale con lenzuola e coperte nere e nella parte opposta si trovava un armadio.

Gli piaceva il nero, concetto cristallino.

«Tieni.» mi passò una bottiglietta di acqua e sistemò le sue cose sulla sedia davanti alla scrivania.

Bevvi in rigoroso silenzio e appoggiai le mie cose a terra vicino alla porta. Fuori dalla porta esplose un gran baccano.

Tutti i fratelli entrarono nella stanza parlando contemporaneamente e creando un gran caos. Rimasi ferma immobile sulla porta a fissarli mentre il biondino e gli altri discutevano di qualcosa che sinceramente non riuscii a capire.

«Cosa fai lì ferma? Entra dai.» un ragazzo con i capelli color miele e due occhi verdi e brillanti mi risvegliò dal mio stato di trance riportandomi alla realtà.

«Sì, scusa.»

Lui sorrise «Come mai sei qui? Hai detto di essere stata obbligata o sbaglio?»

Scossi la testa «Non sbagli: ho accettato una scommessa e ho perso.» spiegai.

«Capisco... mai fare scommesse con Caleb, lui le vince sempre.»

Mi schiarii la voce «Ha vinto barando.»

Quel commento lo fece ridere «Sai, tra tutte le ragazze che Cal ha portato a casa – e credimi, sono davvero tante – tu sei l'unica davvero simpatica. E sveglia, anche.»

Mi corrucciai «Grazie... credo.»

«Non c'è di che. Io sono Jace, comunque.»

«Grace.»

«Di dove sei? Hai un accento strano.»

Gli sorrisi, decisi che quel ragazzo mi sarebbe stato simpatico «Vengo da Londra.»

«Wow! Dicono tutti che sia una gran bella città.» affermò realmente incuriosito.

Io annuii «Sì, se sei abituato alla pioggia costante e al freddo.»

Ridemmo insieme; dovevo ammettere che la sua risata era davvero contagiosa.

«Ah, bene. Vedo che vi divertite voi due.» esclamò il biondino avvicinandosi a noi.

Jace lo guardò serio «È simpatica e gentile, non capisco cosa ci faccia qui con te.»

L'altro sbuffò «Non sono affari tuoi. E adesso sbrighiamoci, oggi è stata una giornata pesante e ho proprio bisogno di scaricarmi. Sali tu con me?»

Jace scosse la testa e alzò le mani come per difendersi «Te lo puoi anche scordare, ne ho avuto abbastanza la settimana scorsa.»

Se ne andò quasi correndo e questo fece sogghignare il biondino accanto a me.

«Non capisco.» ammisi.

Lui mi indicò il corridoio «Andiamo e capirai tutto. Seguimi.»

E così feci. Uscimmo dalla sua stanza e percorremmo il corridoio fino a raggiungere un'altra rampa di scale. Salimmo al secondo piano ed entrammo in un unico ambiente aperto e spazioso. Sparsi per quasi tutta l'area della stanza vi erano diversi attrezzi da palestra, ma quello che mi attirò maggiormente fu il ring che si trovava al centro.

«Oh, miseriaccia!» esclamai eccitata.

Amavo la boxe e qualsiasi altro sport che comprendesse calci e pugni. Sin da piccola avevo preso lezioni di Judo e Karate e, più spesso di quanto volessi ammettere, mi ero cimentata proprio nella boxe.

«Forza, ragazzi! Basta con il riscaldamento e cominciamo. Chi parte oggi?»

«Alex ed io!»

Il biondino mi mostrò una sedia vuota accanto al ring «Puoi sederti qui.» mi disse gentilmente, troppo gentilmente, pensai.

Feci come disse e mi preparai ad assistere all'incontro.


Passai l'ora successiva su di giri per i combattimenti e ammirai l'entusiasmo che mettevano ognuno di loro nella lotta. Odiai ammettere – anche se mentalmente – che il biondino fosse davvero bravo nella boxe: era riuscito a battere tutti e quattro i suoi fratelli e non sembrava neanche troppo stanco. Aveva una buona tecnica ed era davvero veloce. Peccato che avesse un punto debole fin troppo evidente: impiegava un po' di tempo a muoversi dopo aver fatto una mossa.

Jace, seduto al mio fianco, si passò una mano tra i capelli «Caleb è imbattuto da due anni. È il più piccolo, ma è maledettamente veloce.» mi spiegò.

L'irritazione e la mia indole competitiva ebbero la meglio sulla mia parte razionale «Potrei batterlo ad occhi chiusi.» commentai.

Probabilmente lo dissi con la voce più alta di quanto pensassi, perché tutti si voltarono verso di me, compreso il diretto interessato, il quale si mise a ridere «Sì, certo. Come no.

Provaci se hai il coraggio.»

Mi stava davvero sfidando?

Mi alzai in piedi, scatenando una serie di bisbigli tra i ragazzi seduti a terra, e mi diressi con nonchalance sul ring dopo essermi tolta le scarpe. Legai i capelli in una coda alta, tolsi il maglioncino che indossavo quel giorno e rimasi in canottiera. Non era il massimo combattere con i jeans, ma per quel giorno me li sarei fatti andare bene. Feci un minimo di riscaldamento sotto gli occhi attenti e curiosi di tutti i presenti, poi guardai il biondino davanti a me in segno di sfida.

«Sei pronta a cadere a terra?» domandò mettendosi in guardia.

«Sei pronto a prenderle?» ribattei imitando la sua posizione.

Un coro di "uhh!" partì tra la folla, cosa che mi avrebbe fatto ridere se non fossi estremamente concentrata.

«Quando vuoi, tigre

Non me lo feci ripetere due volte e non appena i ragazzi cominciarono a gridare incitando la lotta, scattai in avanti, mi scansai per evitare il suo pugno e lo afferrai girando su me stessa e colpendolo alla schiena. Gli feci lo sgambetto e in meno di cinque secondi fu a terra, io sopra di lui.

Silenzio di tomba.

Sorrisi beffarda «Vuoi la rivincita?» domandai lasciandolo e alzandomi nuovamente.

«Ti ho lasciata vincere: sei una ragazza.»

Lo guardai con sufficienza preparandomi a scendere dal ring.

«Facciamo una scommessa allora: se perdo te ne puoi tornare a casa, se vinco... non so, deciderò al momento.»

Considerando la velocità con la quale l'avevo mandato al tappeto, capii che sarebbe stato un gioco da ragazzi vincere. La cosa mi fece sorridere. «Accetto.»


||Per questa mattina mi fermo qui: purtroppo devo andare al lavoro... oggi pomeriggio continuerò a pubblicare qualche altro capitolo :)

Vi ricordo che se volete potete venire su Insta (amandamay_wattpad) ||

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