Capitolo 4
GRACE
Quando finalmente mi riscossi dallo stato di trance, raggiunsi mio fratello e lo colpii alla spalla «Non potete guardare la partita, tra poco inizia Teen Wolf!» sbottai. Oddio. Mi bloccai. Alan mi guardò male «Che c'è?»
«Tra poco comincia Teen Wolf.» ripetei.
«Sì, ti avevamo sentito già quando l'hai detto la prima volta.»
Quello stupido non poteva capire la drammaticità della situazione: mi sarei persa il finale di stagione!
«Fa sempre così?» chiese il biondino indicandomi.
Quello sarebbe stato un buon giorno per ucciderlo e farlo sembrare un incidente... «Tu non hai idea della fatica che faccio per sopportarla.» «Vi sento, idioti che non siete altro.» sbuffai.
Alan mi sorrise, poi indicò il mio zaino «Dammelo, così corri a casa e non rompi più.»
Sorrisi a trentadue denti, gli passai lo zaino e lo baciai sulla guancia prima di saltare sul muretto e cominciare a correre. Quella era la via più breve per arrivare a casa. Da lontano, però, sentii mio fratello gridare «Grace! Avevi promesso che non saresti più salita su quel dannato muretto, accidenti a te! Appena ti raggiungo ti distruggo!»
Per farlo arrabbiare ulteriormente, mi girai e cominciai a trotterellare all'indietro, facendogli la linguaccia «Ti voglio bene!»
Lo sentii imprecare, ma ormai avevo girato l'angolo e avevo ripreso a correre.
Raggiunsi casa in tempo record – neanche quarantacinque minuti – e salutai distrattamente zia Kath, che probabilmente mi riprese per le cattive maniere, ma non l'ascoltai e accesi la tv. Fortunatamente non era ancora cominciato: c'era la pubblicità. Aspettavo questo momento da... il giorno precedente. Le ventiquattro ore più estenuanti della mia vita.
La mia serie tv preferita cominciò e già iniziai a sbavare davanti alla sigla dove quel figo di Tyler Posey era mezzo nudo.
Passai i successivi quaranta minuti ipnotizzata dalla tv, commentando ogni scena e ringraziando il cielo per ogni maglietta strappata in seguito ad una trasformazione. Teen Wolf lo guardavo principalmente per la trama, ovviamente.
Improvvisamente, la tv divenne nera e io squittii mettendomi a cercare il telecomando. Alzai lo sguardo quando una figura alta e snella si posizionò davanti allo schermo ed incrociò le braccia.
«È tempo di smammare, sorellina.» ridacchiò Alan mostrandomi il telecomando nelle sue mani.
Alternai lo sguardo prima su di lui, poi sul biondino a qualche centimetro da lui e assottigliai lo sguardo «Giuro sulla mia Canon che ti trasformo in cibo per lupi, Alan.»
Lui in tutta risposta si avvicinò quando vide che non avevo intenzione di spostarmi dal divano «Ti consiglio vivamente di alzarti, sorellina.»
Incrociai le braccia ed alzai il mento in segno di sfida «Altrimenti?»
«Grace, non iniziare guerre che sai già che saranno perse in partenza.» mi intimò, appoggiando il telecomando sul mobile della televisione.
«Sai che paura..» lo sfidai.
Sapevo che la sua prossima mossa sarebbe stata quella di fare uno scatto verso di me, agguantarmi e cominciare a farmi il solletico, così riuscii ad anticiparlo e quando si buttò sul divano mi scansai.
Saltai lo schienale e cercai di mettere più distanza possibile tra noi; Alan mi guardò truce e mi puntò il dito contro «Questa è stata la tua unica possibilità: vattene e lasciaci guardare la partita in pace.»
Incrociai le braccia al petto ma decisi di dargliela vinta: il biondino ci stava guardando divertito e non potevo sopportare di essere motivo di tanto divertimento per lui.
Afferrai le mie cose dal pavimento e gli feci la linguaccia, ripetendo a pappagallo quello che aveva appena detto.
«Grace...» mi rimproverò.
«Sì, sì... ho capito: la smetto.» soffiai. Che scorbutico.
Salii in camera e mi cambiai, indossando qualcosa di più comodo. Misi un paio di pantaloni della tuta neri ed una maglietta a maniche lunghe molto semplice verde pastello, mi misi a gambe incrociate sul letto e presi il mio album da disegno con qualche matita. Lo sfogliai finché non arrivai alla prima pagina completamente bianca e cominciai a picchiettare la punta della matita sul foglio aspettando l'ispirazione. Solitamente l'unico soggetto dei miei disegni era Alan, così lasciai che la mia mano accompagnasse la matita fino a creare una bozza del suo viso sulla carta. Cambiai posizione e presi a disegnare anche gli occhi, il naso e la bocca, concludendo con i capelli. Sfumai per bene creando il chiaro-scuro e terminai firmando in alto a sinistra il mio nuovo disegno.
Richiusi l'album e guardai l'orario indicato sull'orologio sulla parete e costatai che fosse ancora abbastanza presto, così decisi di andare a fare un giro per la città.
Aprii nuovamente l'armadio, presi un paio di jeans e una maglietta di cotone e mi cambiai. Presi lo zaino, la Canon e l'album e scesi le scale, passai per la cucina e salutai la zia con un bacio sulla guancia.
«Ciao zietta cara, io vado a fare un giro. Torno per cena.» Misi il telefono in tasca e saltellai verso la porta.
«Ehi, ehi! Dove pensi di andare da sola? Torna qua signorina!» mi richiamò zia Kath.
Sospirai e tornai in cucina «Che c'è? So badare a me stessa, tranquilla. E poi non farò tardi, promesso.» cercai di mettere su l'espressione più rassicurante e ruffiana che potei, ma non bastò a farle cambiare idea.
«Non esiste. Chicago non è Londra, Grace. Se vuoi uscire chiama tuo fratello e chiedigli di accompagnarti.»
Zia Kath riprese a sfogliare la rivista di oggetti per la casa ignorandomi bellamente, così potei esprimere liberamente tutta la mia frustrazione con una smorfia.
«Ma c'è la partita, non mi accompagnerà mai!»
«Non lo saprai mai se non glielo chiedi.»
Rinunciai a replicare e decisi di tentare. In fondo, chiedere è la metà di avere.
Andai in salotto e mi piazzai dietro al divano, appoggiai i gomiti sullo schienale e misi il mento sopra i pugni chiusi.
«Alan-fratello-preferito-di-sempre, come va? Tutto bene?» usai il tono di voce più dolce e gentile che potessi fare e aggiunsi a quella farsa anche un bel sorriso.
«Cosa vuoi, Grace? Che cosa ti serva adesso?» sbuffò senza staccare gli occhi dallo schermo.
Ma che simpatico...
«Voglio uscire. Andare ad esplorare un po' in giro.»
I due ragazzi si alzarono all'unisono ed esultarono lanciando grida ed alzando i pugni.
Patetico...
«Alan! Voglio uscire!» ripetei tentando di sovrastarli.
«Esci allora.» disse semplicemente. Come se fosse facile.
«Non posso da sola: la zia dice che se non vieni con me non vado da nessuna parte.» mormorai cercando di escludere il biondino dalla nostra conversazione.
Alan mi guardò per un secondo, poi tornò a guardare la televisione e me la indicò con un cenno del capo «Aspetta che finisca la partita, poi andiamo. Mancano dieci minuti scarsi.»
Decisi di accettare e mi sedetti con loro ad aspettare che quella benedetta partita finisse.
Terminati i dieci minuti, Alan spense la tv e cominciò a commentare la partita con il biondino, mentre si infilavano entrambi le giacche.
Li aspettai con impazienza sulla soglia e li incitai a darsi una mossa.
«Datti una calmata, sorellina, altrimenti ce ne torniamo in casa.» mi minacciò Alan.
Feci finta di chiudermi la bocca con una zip invisibile e alzai gli occhi al cielo.
Cominciammo a camminare fianco a fianco sul marciapiede in direzione del Lincoln Park senza proferire parola.
Fu Alan, quindi, a rompere il ghiaccio «Allora, Cal... cosa si fa da queste parti per divertirsi?»
«Be', ci sono un sacco di bei locali, d'estate invece spesso ci si ritrova tutti in riva al lago Michigan.» il suo telefono trillò, lo prese dalla tasca posteriore dei jeans e lesse rapidamente il messaggio.
«Tra un po' ho gli allenamenti della squadra, volete venire anche voi?» chiese rimettendo il telefono al suo posto. Il suo sguardo si fece pesante su di me e quando lo guardai male sperando che la smettesse, ammiccò facendomi innervosire ancora di più.
Quanto lo odio!
«Grande! Certo che ci veniamo, vero Grace?»
Sospirai rassegnata «Basta che mi prometti che non ti metti a giocare pure tu.» lo pregai.
Mentre ci avviammo verso il campo nel quale si sarebbero svolti gli allenamenti, il biondino e mio fratello continuarono a parlare di football «Tu giochi?» chiese incuriosito il primo.
Alan sorrise raggiante «Da una vita.»
Ecco... l'avevo perso di nuovo.
«Ma dai. Ruolo?» «Lanciatore.»
Ci fermammo ad un semaforo e fui tentata di attraversare rischiando di essere investita pur di evitare di sentirli parlare ancora. Non lo feci... purtroppo.
«Wow. In squadra ci servirebbe un lanciatore: quello che avevamo si è appena trasferito e il coach sta impazzendo perché non riesce a sostituirlo. Potrei parlargli e vedere se ti dà un'opportunità.»
Alan gli diede il cinque «Sarebbe fantastico!» esclamò entusiasta.
Sarebbe terribile, pensai io. Speravo con tutto il cuore di poter evitare il biondino, ma se fosse diventato anche compagno di squadra di mio fratello oltre che suo amico, la sua presenza costante nella mia vita sarebbe stata inevitabile.
«Ci sarà anche Penny agli allenamenti?» non avevo proprio voglia di incontrare anche lei. La mia pazienza aveva raggiunto il limite quel giorno.
Il biondino si girò a guardarmi «Chi?»
Sbuffai «Dai, la cheerleader.»
«Ah! Jenny? Sì, probabilmente ci sarà anche lei. Perché? Sei invidiosa?» domandò malizioso.
Alan rise «Non credo proprio che la mia Grace sia invidiosa di Jenny: lei sa fare molte più cose, è molto più talentuosa. Fidati, la conosco da più tempo di te.» grazie al cielo mio fratello serviva a qualcosa.
«Ci crederò quando lo vedrò.» disse, poi si avvicinò al mio orecchio per parlare e farsi sentire solo da me «Scommetto che staresti davvero bene con la divisa da cheerleader.»
Avvampai e lo spinsi per allontanarlo ma non proferii parola, troppo imbarazzata per costruire una frase di senso compiuto che non fosse un insulto.
Arrivammo al campo e un gruppo di ragazzi enormi ci raggiunse.
«Era ora che arrivassi: il coach ti sta cercando.» disse quello più grosso del gruppo.
Il biondino annuì e prese Alan per una spalla «Vieni, ti faccio conoscere il coach e parliamo.»
Prima che se ne andassero, abbracciai forte Alan «Buona fortuna fratellone. Divertiti.»
Lui ricambiò l'abbraccio e mi diede un bacio tra i capelli «Vai a sederti laggiù e non combinare guai.» mormorò lanciandomi un'occhiataccia.
Mi indicai stupita, fingendomi sorpresa e un tantino offesa.
«Sì, parlo proprio di te.»
Quando finì di parlare mi diede un'ultima occhiata e seguì gli altri ragazzi in mezzo al campo.
Sospirai, strofinai le mani sulle cosce e mi avviai per sedermi sugli spalti.
«Guarda, guarda chi c'è qui...» una voce fastidiosa mi fece venire i brividi lungo la schiena.
«Ciao Penny.» la salutai, cercando di essere cortese.
«Jenny. Mi chiamo Jenny.»
Alzai le spalle «È uguale.»
«Allora, cosa ci fai qui?»
Compro l'insalata per la mia capra. Cosa ci farò mai in un campo da football?
Feci un respiro profondo «Guardo mio fratello giocare.»
Lei guardò tra i ragazzi sul campo ed individuò Alan «Wow, è proprio un gran bel ragazzo. Ci vedo bene insieme come re e reginetta del ballo.»
Ma si è accorta che sono qui?!
«Senti, sto cercando di-» non mi lasciò terminare la frase che mi prese per un braccio e fece in modo che mi voltassi verso di lei.
«Ascoltami bene perché non lo ripeterò due volte: stai lontana dal mio Caleb.» ringhiò minacciosa.
Inarcai un sopracciglio e tirai il braccio che ancora stringeva «Non ho la minima intenzione di stare più di quanto sia necessario vicino al tuo Caleb.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato «Te lo auguro. Il capitano della squadra di
Football deve stare con la capo cheerleader, tesoro.»
Strinsi i pugni tanto da far diventare le nocche bianche e da lasciarmi i segni delle unghie sui palmi. Quei dannatissimi cliché...
«Non fraintendermi: non mi importa assolutamente, però credo che lui possa stare con chi vuole, non necessariamente con la barbie di turno.» dissi tranquillamente.
Lei spalancò la bocca e squittì «Portami rispetto, ragazzina. Altrimenti te la farò pagare.» gridò alzandosi e sbattendo un piede a terra.
«Sto tremando dalla paura...»
Penny se ne andò sculettando, lasciandomi finalmente sola con i miei pensieri. Ci avrei scommesso la Canon che, in un modo o in un altro, mi avrebbe fatto passare un anno scolastico infernale.
Quando gli allenamenti finirono, scesi dalle gradinate raggiungendo Alan «Allora?» chiesi agitata.
Lui ammiccò «Saluta il nuovo lanciatore dei Lions.» disse dopo un attimo di suspense.
Gli saltai addosso – fregandomene del fatto che fosse tutto sudato – e mi aggrappai a lui con braccia e gambe «Sono così felice per te!»
Ma quel momento non durò troppo, perché la barbie si avvicinò alla squadra con quel suo tono stridulo e fastidioso.
«Ehi, ragazzi!» li salutò fermandosi proprio al centro del gruppo, poi si voltò a guardare mio fratello e gli fece un sorrisone «Alan, complimenti. Giochi davvero bene... per avere una forza del genere devi allenare questi muscoli davvero tanto, non è così?» domandò in tono languido palpando i bicipiti di mio fratello.
Non ci vidi più dalla rabbia e mi misi tra i due «Evita questa sceneggiata, barbie. Non attaccano con mio fratello.» le ringhiai contro.
Poteva benissimo flirtare con tutti i ragazzi della scuola, che diamine! Con tutti i ragazzi del mondo, ma non con mio fratello.
Calò il silenzio, lei mi guardò visibilmente arrabbiata ma fece la finta tonta e questo aumentò ancora di più la mia rabbia nei suoi confronti.
«Hai qualche problema con me, ragazzina?» sputò lei incrociando le braccia al petto.
«Io non ho alcun problema con te: tu sei il mio problema.» risposi reggendo il suo sguardo.
Se pensava che mi sarei fatta da parte e lasciargliela vinta si sbagliava di grosso.
«Ma sentitela! Ha parlato la cervellona...» rise, pensando di aver fatto la battuta del secolo.
«La cervellona, come dici tu, al momento ha a che fare con una barbie il cui cervello è stato sostituito da una gallina in coma. Sai quanto è difficile comunicare con una gallina? Pensa te se questa è pure in stato vegetativo.»
Un paio dei ragazzi della squadra ridacchiarono, il che fece imbestialire ancora di più la barbie.
«Santo cielo, sei troppo complicata! Non si capisce niente di quello che dici.» si lamentò.
Ormai non sapeva più come ribattere, alternava lo sguardo tra me e il resto delle persone che stava assistendo a quella scenetta. Prima o poi avrebbe ceduto.
«Barbie, non sono io ad essere complicata: sei tu che sei un po' troppo stupida.»
Dopo aver aperto e chiuso la bocca un paio di volte, fece la scelta più saggia e se ne andò sbuffando e parlottando tra sé.
Rilassai le spalle – che mi accorsi solo allora di aver irrigidito – e strofinai i palmi delle mani sulle cosce.
Alan mi appoggio il braccio sulle spalle e mi colpì i fianchi con i suoi «Sei una grande, sorellina.»
Liquidai il complimento con un gesto secco della mano e circondai il suo busto snello con un braccio «Grazie, grazie, ma ora torniamo a casa per favore: ho una fame da lupi.» affermai massaggiandomi la pancia.
Zia Kath ci avrebbe sicuramente chiamati a breve per farci rincasare per cena, l'avevo solo anticipata di poco.
«In realtà i ragazzi pensavano di andare al McDonald's e credo che andrò anche io. Vieni con noi?»
«E me lo chiedi anche? Ovvio che vengo.» non me lo feci ripetere due volte.
Aspettai che i ragazzi si lavassero e si cambiassero e insieme raggiungemmo in auto il Mc più vicino.
Mangiammo davvero tanto e, non appena finii tutti i miei nuggets, mi accasciai contro lo schienale della sedia lasciandomi sfuggire un sospiro soddisfatto.
Con la coda dell'occhio notai che il biondino se ne stava zitto e buono dall'atra parte del tavolo a fissarmi, mentre il resto dei suoi amici rideva e parlava di sport. Tentai di ignorarlo quanto più potei, ma ad una certa, e con la scusa di dover chiamare mia zia, mi alzai dal tavolo e uscii.
Non chiamai zia Kath, però le mandai comunque un messaggio per rassicurarla.
Mi sedetti sul marciapiede e mi concessi il lusso di sospirare e chiudere un momento gli occhi.
Quell'attimo di relax cessò nel momento in cui il biondino mi si sedette al fianco e mi spinse leggermente con la spalla per attirare la mia attenzione.
«Non pensavo fossi così tosta.» disse serio.
Lo guardai per una piccolissima frazione di secondo prima di tornare a concentrarmi sul nodo delle mie scarpe «Non mi conosci.»
Sperai che smettesse di fissarmi, ma non lo fece, così mi allontanai di qualche centimetro e lo guardai male «La smetti di fissarmi? Maniaco che non sei altro...»
Lui ridacchiò, ma non smise di guardarmi con quegli occhi azzurri «Altrimenti cosa mi faida ?» mi stuzzicò, avvicinandosi nuovamente a me. Mi stava prendendo in giro?
«Non provocarmi...»
Lui alzò le sopracciglia in segno di sfida, gesto che mi fece partire il tic nervoso all'occhio.
«Mi spieghi che cosa vuoi da me?» sbuffai infastidita.
«Da te? Tante cose...» ammiccò nuovamente.
«Potrei ucciderti.» ringhiai a denti stretti.
«No, non potresti. Non riusciresti nemmeno a sfiorarmi.» affermò spavaldo.
Avrei dovuto mantenere la calma, comportarmi da ragazza matura e lasciarlo perdere, ma quel suo sorrisetto borioso mi dava altamente sui nervi e non potei fare a meno di replicare «Quanto ci scommetti che invece ci riesco?»
Lui si alzò in piedi. Pensai che se ne sarebbe andato, invece mi tese la mano «Scommetto quello che vuoi che in trenta secondi non riusciresti a toccarmi.»
È una trappola, Grace, lascia perdere e vattene! pensai, ma l'adrenalina che mi scorreva nelle vene ogni qualvolta si pronunciasse la parola "scommessa" mi fece afferrare la sua mano. Mi fece alzare e strinse le mie dita minuscole tra le sue «Se vinci sparirò dalla circolazione e non ti darò più fastidio.»
Mi sembrò un sogno «Accetto!» dissi subito.
Lui rise «Aspetta, se vinco io tu dovrai passare un'intera giornata con me. Ventiquattro ore con il sottoscritto, sarà un'esperienza... intensa.»
Feci per ritrarre la mano ma lui la strinse ancora di più «Allora? Ci stai?»
Passare una giornata intera con quel maniaco? Neanche per sogno. Ma quanto poteva essere difficile toccarlo? Ci trovavamo in un parcheggio pieno di macchine, non sarebbe scappato chissà dove. Le probabilità di vincere la scommessa erano a mio favore.
«Ci sto.»
Lui sorrise «Hai trenta secondi a partire da...» mi lasciò la mano e congiunse le sue dietro la schiena «ora.»
Provai a scattare verso di lui proprio nel momento in cui pronunciò l'ultima parola, ma si scansò talmente velocemente che non lo vidi nemmeno.
Okay, primo tentativo fallito.
Pensavo che si sarebbe allontanato, invece rimase a portata di mano, quel bastardo. Si beffava di me, l'avevo capito. Era così sicuro di vincere che non si preoccupò nemmeno di scappare.
«Hai ancora venti secondi.»
Dio, quanto lo odio!
Gli tirai un pugno ma riuscì a scampare anche a quello, così feci uno scatto e lo afferrai per il bordo della maglietta.
«Preso!» esclamai con il fiatone.
Lui si liberò alla svelta e incrociò le braccia al petto «Tecnicamente hai toccato la mia maglietta, non me... e i tuoi secondi sono appena terminati. Mi dispiace bimba.»
Sbattei un piede a terra «Non chiamarmi in quel modo! E poi vale eccome, tu la stai indossando quella maglietta.»
Lui scosse la testa «Io non ho barato e tu hai perso.» constatò.
Aprì la porta del Mc e fece per entrare ma si bloccò sulla soglia «Ti aspetto domani dopo scuola per il mio premio, bimba. Penso che ti convenga inventarti una bella scusa con tuo fratello: non ti vedrà per ben ventiquattro ore.»
Accidenti.
||Vi ricordo che se volete potete venire su Insta (amandamay_wattpad)||
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