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Capitolo 33

GRACE


Caleb aveva insistito ancora per portarmi a casa in moto, poi rimase anche ad ascoltarci suonare, chiacchierando ogni tanto con zio Joe. Successivamente, ci recammo a casa sua e Amber ed io ci ritrovammo tutte e due a casa dei fratelli Walker senza nemmeno farlo apposta. Lei e Jace stavano ufficialmente insieme, e nell'ultimo periodo Amber passava molto spesso la notte con lui. Non ero certa di voler sapere tutti i particolari...

«Grace, dormiamo insieme questa sera? Possiamo sparlare un po' di tu sai chi prima di addormentarci.» disse Amber, teneramente accoccolata al fianco di Jace.

Corrugai la fronte «Sparlare di Voldemort prima di andare a dormire? Non l'avevo mai fatto, prima...»

Jace rise, mentre Amber scosse la testa «Okay, sì... me la sono cercata. Parlavo di Jenny.»

Già... lo immaginavo. Ultimamente quella ragazza sembrava impegnarsi ancora più di prima per rendermi le giornate un inferno. Metteva in giro voci sul mio conto, nelle ore di educazione fisica cercava di colpirmi con le palle da pallavolo e dovevo pregare di non finire in bagno nello stesso momento in cui c'era lei, perché altrimenti mi ritrovavo zuppa dalla testa ai piedi. Fino a quel momento mi ero sempre detta di mantenere la calma, di non reagire, però stava diventando davvero estenuante.

«Sì, certo. Perché no.» dissi con una scrollata di spalle.

Caleb, al mio fianco, mi guardò storto «Perché non stai con me?»

Lo chiese come se dormire con lui fosse la cosa più naturale dell'universo. Okay, avevamo già passato qualche notte insieme e anche qualche momento intimo, però non stavamo insieme e non era sano passare così tanto tempo insieme da soli. La nostra tregua ci rendeva amici, ma l'amicizia non era di certo abbastanza potente da tenere a bada la libido di Caleb, ne ero abbastanza certa.
E stavo cominciando a non fidarmi nemmeno più della mia, ad essere sincera.

Anche Jace fece la stessa domanda alla sua ragazza, la quale scosse la testa sorridendo e rispose per entrambe «Mi dispiace, ma questa sera abbiamo parecchie cose da raccontarci, farete meglio a farvene una ragione il prima possibile.» Annuii solidale.

Poi guardò il suo ragazzo con occhi languidi «Avremo tempo per stare da soli quando saremo in montagna...»

Jace la baciò sorridendole, poi la strinse a sé e non ribatté più. Caleb, d'altro canto, non sembrava per nulla soddisfatto della piega che stavano prendendo gli eventi. Incrociò le braccia al petto e guardò fisso la televisione «Ora possiamo guardare questo benedetto film?»

Amber lo guardò storto mentre Jace alzò semplicemente gli occhi al cielo: era abituato ai cambi repentini d'umore di suo fratello, e sentirlo parlare in modo così scontroso di punto in bianco non era una novità.

Non prestai troppa attenzione al film: adoravo Nicolas Cage, ma la mia mente era troppo occupata a pensare a cosa sarebbe successo se Alan ed io fossimo rimasti a Londra. Sicuramente non avrei avuto alcun tipo di problema con Ginny – o come diavolo si chiama – e sarei rimasta nella mia vecchia, splendida casa di Londra. Però significava che non avrei mai incontrato Melanie, Amber e tutti gli altri. Quel pensiero mi fece rabbrividire e Caleb se ne accorse. Si piegò per avvicinarsi a me «È tutto okay?» chiese in un sussurro.

Annuii «Sì, stavo solo pensando.» ammisi.

«A me?» domandò con quel suo maledetto sorrisetto strafottente.

Sbuffai «Dico davvero quando penso che tu abbia delle manie di protagonismo eccessivamente grandi.»

In risposta alzò semplicemente le spalle.

Mi alzai dal divano, scavalcai le gambe di Caleb e mi schiarii la voce «Devo andare a prendere una cosa nel mio zaino...»

Jace ed Amber non mi sentirono nemmeno: erano troppo concentrati a seguire il film, mentre Caleb mi fissò sospettoso.

Mi avviai su per le scale e cercai di ricordare dove fosse la sua stanza. La trovai al secondo tentativo.

«Che cosa combini?» la voce di Caleb mi rimbombò nelle orecchie e mi fece saltare sul posto per lo spavento.

«Ma sei scemo?» sbottai guardandolo male.

Non rise. Continuò a guardarmi dalla soglia della porta, sospettoso.

Gli mostrai il telefono «L'avevo dimenticato qui e dovevo controllare se Alan mi avesse scritto o meno.» il che era una mezza verità, perché davvero volevo controllare i messaggi. Ma d'altra parte avevo bisogno di un attimo da sola per pensare.

Per caso il mio sguardò andò a posarsi alla finestra e vidi centinaia di fiocchi bianchi che scendevano volteggiando lentamente dal cielo.

«Nevica.» affermai.

Dopo l'incidente che causò la morte dei miei genitori avevo iniziato a odiare la neve.

«Già. Non credo che smetterà molto presto: domattina sarà tutto bianco.» constatò affiancandomi.

Proprio quello che temevo...

«Okay, torniamo di sotto.» mi tese la mano ma non l'afferrai, gesto che fece ridacchiare Caleb «Sei sempre la solita: non voglio mica mangiarti.»

Mi stropicciai un occhio con il pugno chiuso mentre cercai di reprimere uno sbadiglio «E chi me lo assicura?»

Mi fissò come se avesse realmente voglia di mangiarmi. I suoi occhi si mossero rapidamente dall'alto verso il basso, per poi tornare fissi sui miei.

«Dovrai rischiare, credo.» mormorò.

Deglutii e lo seguii di nuovo in salotto, dove lui per primo si stese e si stiracchiò tutto lungo il divano. Lo guardai dubbiosa, ma non feci in tempo a sedermi che mi trascinò stesa accanto a lui, sovrastandomi per metà con il suo peso. Mi uscì dalla bocca un verso strozzato per la pressione che esercitò nel momento in cui mi schiacciò contro il tessuto morbido del divano.

Però era caldo, quindi andava più che bene.

Approfittatrice, pensai. Fatto sta che ero nel dormiveglia più totale quando il film finì e Jace spense la tv.

«Bene, ragazzi. Direi che è meglio se andiamo tutti a dormire: domattina partiremo molto presto.» annunciò Jace.

Annuii, ma non mostrai la minima intenzione di alzarmi dal divano: gli occhi erano diventati troppo pesanti per riaprirsi e le gambe troppo stanche per muoversi. Ero quasi tentata di rimanere a dormire sul divano, ma ero consapevole che bastasse riuscire a mettermi a sedere per risvegliare il mio corpo e riuscire a raggiungere la stanza.

«Mi sembra che tu abbia qualche problema, o sbaglio?»

Aprii un occhio per vedere l'espressione soddisfatta stampata sul volto di Caleb, il quale mi guardava dal bordo del divano.
Quel sorrisetto compiaciuto fece suonare le campanelline d'allarme nella mia testa: sembrava quasi che fosse lui l'artefice di quella mia stanchezza.
Con fatica immane, ripercorsi la serata: ci eravamo stesi entrambi - e già questo ha fatto la metà del lavoro - lui emanava quel fantastico tepore che mi aveva rilassato tutti i muscoli e... le mani, dove aveva le mani?

Tra i miei capelli.
Bastardo, l'ha fatto apposta perché sa che mi rilassa.

«Mmm...» grugnii guardandolo male.

Mi misi a sedere e mi stiracchiai, poi guardai il ragazzo ancora fermo a fissarmi «Ce la faccio.»

«Lo vedo. Però credo comunque che sia meglio per te dormire nel mio letto, con me. È più comodo e decisamente più rilassante.»

Che subdolo...

Amber si affacciò dalle scale «Non ci provare, Caleb!» gridò, facendomi sorridere «Datti una mossa, Grace.»

Mi diedi una spinta con i pugni e mi misi in piedi. Nascosi uno sbadiglio dietro a una mano e mi avviai al piano superiore, seguita a ruota da Caleb.

«Io insisto che tu rimanga con me.»

«Io insisto che tu smetta di insistere.» ribattei.

Entrai nella stanza degli ospiti che avrei condiviso con Amber e mi sedetti sul letto. Quello di Caleb era di certo più comodo, ma se gliel'avessi anche solo accennato avrebbe gongolato per il resto della sua vita, quindi non commentai.

«D'accordo... buonanotte, tigre.»

«'Notte, coso.»

Quando il ragazzo uscì dalla stanza, Amber chiuse la porta e mi guardò con uno sguardo pericolosamente sospettoso.

«Ti prego non cominciare, sono troppo stanca.»

Lei sbuffò, si chinò sul suo zaino e prese una camicia da notte.

Oddio, devo anche mettermi il pigiama... pensai. Non avevo le forze di fare nulla, però non potevo dormire vestita.

«Okay, ma concedimi almeno tre domande.»

Presi dallo zaino il mio pigiama nero con le api e cominciai a svestirmi «So che me ne pentirò, ma va bene... tanto non penso di avere tante altre alternative.»

Amber annuì «Infatti non le hai.»

Grandioso.

Si sedette a gambe incrociate accanto a me. La stanza era completamente al buio, ma le persiane erano semi aperte quindi le luci della città ci permettevano di vedere abbastanza bene.

«Domanda numero uno: che diavolo c'è tra te e Caleb?»

Sbattei ripetutamente le palpebre «Partiamo col botto, insomma. Siamo in una tregua, comunque.»

Lei alzò un sopracciglio «Che significa?»

«È la tua seconda domanda?»

Ci pensò un po' su, poi scosse la testa «La mia seconda domanda è: ti dà fastidio il comportamento geloso e possessivo di Jenny nei confronti di Caleb?»

Stavo per risponderle che la cosa non mi toccava affatto, ma avrei mentito. Non ne ero più tanto sicura. La verità era che quello che la barbie faceva mi solleticava il sistema nervoso.

«Non ne ho idea. Credo che quella ragazza sia fuori di testa e non capisco come non si accorga di quanto risulti arrogante ai miei occhi, nonostante io non faccia che ripeterglielo praticamente ogni giorno. Penso si comporti così con me perché teme che io le porti via il suo Caleb.»

«Ed è quello che hai intenzione di fare?»

«È la tua-»

«No, non è la mia terza domanda, ma vorrei che rispondessi ugualmente.»

Sospirai «Io non ho intenzione di rubare niente a nessuno.»

Annuì «Lo so. Però tu provi qualcosa per Caleb, è evidente.»

Arrossii violentemente, ma fortunatamente la cosa fu nascosta dal buio della stanza. «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Stai iniziando a dire cose senza senso, e io sono stanca.» mi stesi e mi coprii con il piumone, seguita subito da Amber.

«Ma chi tace acconsente, quindi vuol dire che tu provi qualcosa per lui.» esclamò forse a voce troppo alta.

«Tecnicamente sto sollevando una polemica, quindi non sto tacendo.»

Quella risposta mi causò una cuscinata sulla schiena da parte di Amber «Non puoi pensare di cavartela con un giochetto di parole, signorina. Questa discussione non finisce qui.»

Ma, per mia fortuna, dopo esserci scambiate la buonanotte non venne proferita parola e sprofondai in un sonno molto disturbato. Feci lo stesso incubo, provai le stesse sensazioni che provavo tutte le volte che vedevo zia Kath piangere sulla soglia di casa. Quella volta, però, non riuscivo a svegliarmi. L'incubò si ripeté più e più volte, finché non sentii una voce chiamarmi ripetutamente. Non c'era mai stata prima. Non era di certo di mio padre, né di zio Joe. Non capivo.

«Grace, svegliati!»

Volevo farlo! Volevo svegliarmi, ma non ci riuscivo.

«Sono qui con te, Grace. Ma devi svegliarti. Apri gli occhi.»

E come se fossero appena state dette le paroline magiche, riuscii finalmente ad aprire gli occhi e mi accorsi solo allora che avevo smesso di respirare. Riempii i polmoni mettendomi a sedere e mi guardai intorno, cercando di abituare gli occhi al buio.

«Alan...»

«No, sono Caleb.»

Mi girai di scatto verso il suono della sua voce, lo feci talmente velocemente che mi girò la testa per qualche istante.

«Caleb?» era la sua la voce che avevo sentito nel mio sogno?

Mi riscossi, asciugai le lacrime che scendevano sulle guance e mi alzai dal letto, portando i capelli dietro le orecchie «Devo chiamare Alan.»

Amber mi stava fissando attonita in piedi davanti alla porta «Mi hai fatto morire dalla paura. Non riuscivo più a svegliarti e avevi cominciato a non respirare più.»

«Scusa.» dissi passandole accanto e scendendo al piano inferiore.

Mio fratello solitamente teneva sempre acceso il telefono la notte. Più e più volte avevo cercato di convincerlo a spegnerlo, ma non mi ascoltava mai. Sperai che non l'avesse fatto proprio quella sera.

Uno squillo... due squilli... tre squilli...

«Grace? Che succede?»

Sospirai sollevata «È successo ancora, ma questa volte è stato terribile. Non riuscivo più a svegliarmi. Ho rivisto la stessa scena ripetutamente.» sentii gli occhi pizzicare e la voce mi si incrinò.

«Cazzo. Sto arrivando.»

Lo adoravo. Terminai la telefonata e mi accasciai contro lo schienale della poltrona. Misi il telefono sul tavolino e portai le mani in grembo. Avevo paura a richiudere gli occhi, non volevo più dormire. Le braccia e le gambe erano intorpidite e sentivo la schiena sudata.

«Ehi...» Amber, alle mie spalle, si avvicinò cautamente dopo aver acceso la luce delle scale.

Accennai un lieve sorriso «Scusa per prima. Davvero. È che non riesco a controllarlo.»

Lei si sedette sul bracciolo della poltrona e mi posò la mano sulla spalla «Non azzardarti a chiedermi scusa, non è colpa tua. Stai bene ora?»

Annuii «Meglio, grazie. Alan sta venendo qui.»

Mi sorrise «Grande. Sai cosa ci vuole in questi momenti? Una tazza di cioccolata calda. Il cioccolato aiuta.» disse alzandosi e dirigendosi in cucina.

Dopo circa una mezz'oretta, Amber ed io eravamo sedute al tavolo con ancora le nostre cioccolate calde quasi intatte.

Quando suonò il campanello corsi alla porta e, non appena l'aprii, abbracciai forte Alan.

«Sono felice che tu sia qui.» ammisi allontanandomi. I suoi occhi erano visibilmente stanchi: non doveva aver dormito molto quella notte. Sotto al giaccone pesante si intravedeva la maglietta che usava per dormire e i pantaloni neri della tuta.

«Ehi, Alan.» lo salutò Caleb alle nostre spalle «Entra, si gela fuori.» gli disse facendogli un cenno con la testa.

Mio fratello entrò in casa e si richiuse la porta alle spalle, si tolse la giacca e l'appese, poi ci seguì tutti in cucina. Si sedette accanto a me e mentre tutti discutevano mi si avvicinò all'orecchio «Anche io li ho sognati stanotte. È stato orribile: mi sono svegliato di colpo con le mani che tremavano e il fiatone. Mi dispiace tanto che tu debba vivere questa cosa ogni notte da quando sono morti.»

Appoggiai la testa alla sua spalla e sospirai. Non dissi nulla anche perché non sapevo come confortarlo, però gli avvicinai la tazza di cioccolata ormai tiepida «Mi aiuti a finirla?»

Annuì e prese la tazza, circondandomi le spalle con le braccia. A quel punto anche Jace si unì a noi, sbadigliò sonoramente e si sedette a tavola «Che sta succedendo?»

Mi schiarii la voce «Scusatemi per avervi svegliati tutti...»

Il ragazzo mi guardò storto «Ma ti pare? Stai tranquilla Grace, se hai bisogno non hai che da chiedere.» mi rassicurò.

CALEB

Aveva avuto nuovamente quell'incubo ed io, ancora, mi ero sentito impotente. L'avevo vista immobile nel letto, la faccia contratta in una smorfia di dolore e le dita che stringevano le coperte come per tentare di riaggrapparsi alla realtà. Quella volta, però, non respirava. Amber era corsa a svegliarmi non appena l'aveva sentita muoversi incessantemente, aveva provato a svegliarla ma non ci era riuscita. Si era spaventata a morte quando l'aveva vista cominciare a trattenere il respiro. Ero corso nella loro stanza non appena avevo sentito pronunciare da Amber le parole Grace e non respira. Sembrava intrappolata in quell'incubo dal quale non riusciva a svegliarsi, e la cosa mi aveva fatto entrare nel panico più totale. Jace era pronto a chiamare la sua famiglia, o l'ambulanza, ma alla fine riuscii a svegliarla. Quando aprì gli occhi era spaesata, non mi riconobbe nemmeno, cominciò a tremare e a piangere insistendo sul voler chiamare suo fratello, così decidemmo di lasciarle qualche minuto per riprendersi.

«Mi ha fatto morire di paura.» disse Amber sedendosi sul letto con una mano sul cuore. Jace le si affiancò e l'abbracciò per rassicurarla.

«Hai fatto quello che dovevi svegliando Caleb, bravissima.» le disse cullandola tra le sue braccia.

«Le capita spesso di avere incubi, ma non l'avevo mai vista così.» ammisi pensieroso.

Jace mi guardò preoccupato «Starà bene ora?»

La verità è che non ne avevo la più pallida idea. Grace era una ragazza dannatamente orgogliosa e testarda e odiava farsi vedere vulnerabile. Se le avessi chiesto come stesse avrei fatto cento passi indietro con lei, mi avrebbe insultato e si sarebbe chiusa in sé stessa.

«Penso di sì...» o meglio, lo speravo «Lasciamole qualche minuto per parlare con suo fratello.»

Amber mi osservò per un istante «Non pensavo fossi così premuroso.» quel commento fece ridere Jace, il quale si sentì in dovere di aggiungere «Infatti, non lo è mai. Ma con Grace sembra una mamma chioccia.»

«Taci.» sbottai.

Uscii dalla stanza ed entrai nella mia chiudendomi la porta alle spalle.

Mamma chioccia... ci manca solo questa.

Quando Alan ci raggiunse, gli proposi di rimanere a dormire dato che di lì a poche ore saremmo dovuti partire, e lui acconsentì dicendomi che aveva già tutte le sue cose nel bagagliaio dell'auto dal giorno prima.

Lui e Grace dormirono insieme, così Amber andò con mio fratello ed io rimasi solo.

E la cosa ti rode da morire, pensai.

La sveglia suonò per tutti alle cinque e mezza e fu terribilmente difficile alzarsi dal letto dopo la nottata praticamente insonne. Mi diressi al piano inferiore, dove Amber ci stava aspettando con Jace, e mi sistemai al mio posto a tavola stiracchiandomi la schiena.

«Mi ha appena scritto Mel: è qui fuori.» mi disse la ragazza sbadigliando.

«Vado ad aprire.» mi alzai dal tavolo e strisciai fino alla porta d'ingresso. L'aprii e mi ritrovai davanti Melanie, vestita di tutto punto, con un sacchetto in mano «Buongiorno! Ho portato la colazione. Non sapevo cosa potesse piacervi, così ho preso un po' di tutto.»

La lasciai entrare e lei si diresse senza indugiare in cucina, dove ci raggiunsero anche Alan e Grace. Facemmo colazione e ci vestimmo, poi caricammo il BMW a sette posti di famiglia e alle sette in punto eravamo pronti per partire: mio fratello Jace alla guida, con la sua ragazza al suo fianco. Dietro di loro ci eravamo seduti Alan ed io, mentre nei due sedili posteriori c'erano Melanie e Grace.

La prima ora di viaggio fu tremenda: Amber aveva preso il possesso della radio e ci aveva collegato il suo cellulare, facendoci ascoltare solo Taylor Swift e Katy Parry. La seconda ora fu anche peggio, ed ero sul punto di esplodere se non fosse che Jace decise di fare una piccola sosta per sgranchirci le gambe.

Scesi da quell'auto molto volentieri e mi stiracchiai. Erano da poco passate le nove e nevicava ancora. Il freddo pungente mi costrinse a socchiudere gli occhi, cacciai subito le mani nelle tasche per scaldarle un po'.

«Alan, tieni.» Jace lanciò le chiavi al ragazzo indicandogli con un cenno del capo il posto di guida.

Questo cambiò le postazioni dell'auto: dato che era il turno di Melanie collegare il cellulare alla radio per scegliere la musica, Amber si sedette nei sedili posteriori insieme a mio fratello. Ciò stava a significare che gli ultimi due posti in fondo erano per me e per Grace.

«Forza, in marcia!» esclamò Jace alzando il sedile per permettere a Grace di salire. Lei lo ringraziò e si accomodò sul sedile destro, mise le cuffie e si isolò prima ancora che potessi salire anche io.

La musica indie di Melanie mi stava mandando giù di testa, così decisi di mettere le cuffie anche io e mi appoggiai contro lo schienale socchiudendo gli occhi. Aprii solo quello destro per sbirciare la ragazza seduta al mio fianco e la trovai completamente abbandonata contro il finestrino. I dorsi delle mani erano appoggiati sulle cosce e la bocca era semi aperta, il respiro lento. Le tolsi le cuffie e le staccai del suo telefono, per poi mettergliele nella tasca del suo giubbotto, poi continuai a guardarla dormire.

È impossibile che sia così bella anche mentre dorme. Non ero per nulla abituato a vederla così tranquilla accanto a me per così tanto tempo.

Quando Alan girò a destra, Grace si staccò involontariamente dal finestrino e finì per appoggiarsi a me.

Oh, sì... decisamente meglio.

Si sistemò per essere più comoda e sospirò nel sonno. La guardai dormire per la maggior parte del tempo; quando facemmo un'altra sosta – durante la quale avrei dovuto guidare io – feci notare che avremmo svegliato Grace e così mio fratello si offrì di prendere il mio posto e guidò per il tempo rimanente del viaggio.

Avevamo appena imboccato una stradina di montagna quando Melanie urlò facendo sussultare tutti quanti, e facendo svegliare di colpo anche Grace.

«Che succede?!» chiese, sbattendo successivamente la testa contro il sedile anteriore al suo. Cacciò un'imprecazione mentre si cominciò a massaggiare la fronte con la mano.

Non riuscii a trattenere una risata davanti alla sua espressione confusa e dolorante.

«Non ridere... mi sono fatta malissimo.» sbottò guardandomi male. I suoi occhi, benché socchiusi in un'espressione d'ammonimento, erano lucidi per il sonno, e la sua guancia era lievemente arrossata a causa della pressione contro la mia spalla.

«Passerà tutto.» le dissi, avvicinandola a me e baciandole la fronte.

«Ragazzi, è una tragedia!» esclamò Melanie.

Grace si allontanò da me e si sporse in avanti per capire di cosa stesse parlando «Che cosa è una tragedia?»

Melanie le fece vedere il suo telefono «Bobby Campbell e Julia Heart si sono lasciati!»

Alzai gli occhi al cielo. Bobby Campbell era un mio compagno di squadra e Julia era la sua storica ragazza. Stavano insieme dalla prima media e si vociferava che stessero pensando di sposarsi prima di iniziare il college.

«E chi sarebbero?» chiese Grace.

Melanie la guardò come se avesse appena bestemmiato «Sono il Romeo e la Giulietta della nostra scuola! Non li hai mia visti? Sono sempre insieme.»

«Romeo e Giulietta avevano 17 e 13 anni e alla fine muoiono.» affermò confusa.

Melanie alzò gli occhi al cielo «Quanto sei romantica...»

Grace le sorrise sorniona e si riappoggiò contro il suo schienale proprio nell'istante in cui Jace annunciò il nostro arrivo alla casa di montagna degli zii.

GRACE

Scesi dall'auto stiracchiandomi per riprendere la sensibilità delle gambe e delle braccia. Dovevo ammettere che, dopo la seconda sosta, ero sveglia e avevo finto di dormire solo per stare vicino a Caleb, anche se alla fine mi riaddormentai seriamente. Purtroppo, non potevo farci niente: i viaggi in macchina mi conciliavano il sonno.

«Cominciamo a sistemarci.» disse Jace aprendo il bagagliaio.

Prendemmo le nostre cose ed entrammo nell'enorme chalet. Poco prima di varcare la soglia, però, sentii una voce familiare che mi chiamò. Mi allontanai dall'entrata e aguzzai lo sguardo per cercare di vedere la persona che mi aveva chiamata. Nello chalet accanto al nostro, poco più distante, c'era Davon che mi salutava.

Lasciai le mie cose e corsi ad abbracciarlo «Non ci credo!»

Scivolai sul ghiaccio proprio quando gli arrivai davanti, così gli caddi addosso, ma lui mi afferrò ridendo «Sei sempre la solita. A quanto pare abbiamo avuto tutti la stessa idea.»

Annuii «Già.»

«Davon, si gela là fuori... datti una mossa.» sbottò una voce dall'interno della casa.

Perché mi sembra così familiare?

«Arrivo! Sto parlando con un'amica.» rispose, sempre con il suo tono gentile.

Curiosa com'ero, mi sporsi per guardare oltre le sue spalle «Sei qui con la tua famiglia?»

Davon annuì «I miei zii, mio cugino ed io veniamo qui tutti gli anni a passare le vacanze invernali.»

«Cristo, Davon. Ti devo trascinare dentro con la forza? Dobbiamo finire la partita.» asserì il cugino, sbucando da dietro le spalle di Davon e accorgendosi della mia presenza.

Rimasi impietrita non appena i nostri occhi si incontrarono. Mi sentii venire meno le forze e lo stomaco si rivoltò come un calzino.

«Will...» le parole faticarono ad uscire e quando lo fecero si creò uno sbuffo di fumo lievissimo, quasi invisibile.

Non vedevo Will da anni, ma non era cambiato per nulla. I capelli scuri erano ora più corti ai lati, e gli ricadevano leggermente più lunghi sulla fronte. Anni fa li sistemava con il gel, quindi il mosso veniva smorzato molto. La mascella, sempre e rigorosamente senza barba, era ancora più squadrata, se possibile. Le labbra piene erano leggermente arrossate, probabilmente a causa del freddo. Gli occhi neri, fissi sui miei, risplendevano di quel luccichio malizioso che lo rendeva tanto affascinante agli occhi di tutte le ragazze della nostra vecchia scuola. Le spalle larghe, frutto di anni di nuoto agonistico, erano fasciate da una maglietta nera che risaltava anche la vita e i fianchi sottili.

Scossi la testa: doveva essere un'allucinazione. Non poteva esserci davvero William Davies davanti a me.


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