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Capitolo 28

GRACE


Quando Caleb si staccò dalle mie labbra trattenni l'impulso di alzare la testa e continuare quello che stavamo facendo. Era incredibile come il mio cervello si spegnesse ogni qualvolta lui mi toccava.

Tornata in pieno controllo delle mie facoltà mentali, però, mi divincolai e lo guardai con sguardo truce «Allontanati immediatamente e smettila di sorridermi in quel modo, altrimenti i tuoi denti incontreranno la mia padella.»

Il commento lo fece soltanto ridere, così assottigliai lo sguardo «Non sto scherzando, coso.»

«Sarebbe il sogno masochistico di molti ragazzi farsi prendere a sprangate nei denti da una come te, sai? Ma sappi che alla fine quella che ci rimetterebbe saresti solo tu. Com'è che hai detto tempo fa? Che il mio sorriso ti fa impazzire? Senza denti come farei?»

Avvampai «Ancora con questa storia? Ero ubriaca, come devo dirtelo? Ho detto un sacco di cazzate e solo un idiota come te poteva credermi.»

«Ti preferisco quando sei ubriaca allora.» commentò.

«State facendo la lotta?» chiese Scott venendoci accanto.

Lo guardai e deglutii, imbarazzata dalla situazione. Fortunatamente avevamo la sua innocenza da bambino dalla nostra parte.

«Una specie, sì.» rispose Caleb guardandomi.

«Che divertente. Ho fame.» rispose Scott.

Spinsi Caleb, il quale mi guardò male «Tuo cugino ha fame, datti una mossa.»

Lui borbottò qualcosa e si alzò sbuffando.

Lo seguii in cucina e mi sedetti su una sedia. Scott si sedette accanto a me.

«Che cosa vuoi mangiare?»

Il bambino ci pensò un po' su, poi esclamò «Il Pandoro!»

Sbattei più volte le palpebre «Il Pandoro? A quest'ora?» guardai Caleb in cerca di aiuto ma lui scosse le spalle «E Pandoro sia.»

Non pensai che fosse una grande idea riempire il bambino di zuccheri prima di andare a dormire...

Caleb prese la confezione del Pandoro dalla dispensa e lo aprì.

«Posso farlo io? Lo zucchero a velo, dico, lo posso mettere io?» chiesi cercando di tenere a bada l'entusiasmo.

«Come vuoi.» il ragazzo mi cedette il sacchetto di zucchero a velo e la busta con il Pandoro. Misi lo zucchero all'interno del contenitore e cominciai a sbatterlo per fare in modo che si spargesse in maniera omogenea su tutto il Pandoro.

Quel gesto fece ridere Scott, il quale volle provare. Gli passai la busta e gli feci vedere come fare «Mi raccomando, tieni ben chiuso qui altrimenti esce tutto fuori.» dissi.

Lui annuii, concentrato, e cominciò a scuotere la busta.

In pochi secondi mi ritrovai la faccia piena di zucchero a velo: Scott non aveva chiuso abbastanza bene la busta.

Caleb scoppiò a ridere, e così anche suo cugino lo seguì a ruota.

«Non è divertente.» bofonchiai scuotendo la testa e cercando di pulirmi gli occhi.

«Oh, sì invece.» ammise Caleb avvicinandomisi.

Presi una manciata di zucchero dalla busta e glielo lanciai in faccia. Lui rimase immobile per qualche secondo «Non avresti dovuto farlo.»

Scott rise ancora più forte e lasciò il pandoro sul tavolo per stringersi la pancia tra le braccia, piegandosi in avanti.

Tra me e Caleb cominciò una vera guerra di zucchero, tra le risate di Scott e lo scodinzolio dei cani che ci avevano raggiunti.

Dopo qualche minuto, ero bianca su tutta la faccia e sui capelli. Il maglione non era più blu ma mezzo bianco, così come i jeans chiari.

Alzai le mani in segno di resa «Okay! Stop! Mangiamo, per favore.»

Caleb rimase fermo con la mano piena di zucchero a mezz'aria «Ti arrendi?»

Aprii la bocca, ma poi la richiusi subito: se avessi continuato non sarebbe finita bene per me.

Annuii e mi sedetti, stanca, sulla sedia.

Caleb e Scott si scambiarono il cinque, poi si sedettero al tavolo anche loro. Il bambino prese un bel pezzo di Pandoro e se lo mangiò spargendo zucchero ovunque sul tavolo. Ne presi un pezzetto anche io e cominciai a ridurlo in pezzi ancora più piccoli, poi cominciai a mangiarli.

«Dovremmo farci una doccia e cambiarci, altrimenti rischiamo di sporcare mezza casa.» disse Caleb guardandomi.

Restai con il pezzetto di Pandoro a mezzaria e con la bocca aperta. Stava per caso alludendo al fatto di doverci fare la doccia insieme?

«La doccia... noi... tu... ma...» cominciai a balbettare.

Lui ridacchiò «Hai pienamente ragione.» disse prendendomi in giro.

«Coso, davvero, non mi ci vuole niente a prenderti a padellate nei denti.» lo minacciai.

Lui si accasciò contro la sedia e incrociò le braccia al petto. Riusciva a essere bello anche con la faccia bianca e i capelli spettinati.

«In realtà ti risulterebbe parecchio difficile.» indicò uno scaffale alle sue spalle «I miei zii tengono le padelle lassù. Tu non ci arriveresti nemmeno se ti mettessi in punta di piedi, perciò...» non terminò la frase perché avevo capito benissimo dove avesse voluto andare a parare.

Mi alzai di scatto, pronta a mangiarmelo vivo, e anche lui si alzò cercando di mettere più distanza possibile tra noi «Prima che tu dia in escandescenze, perché non vai di sopra a farti un bagno caldo? Così ti rilassi e magari non mi uccidi, sì?»

Decisi che mi sarei accontentata del suo sguardo leggermente preoccupato e spaventato per quella volta, ma prima o poi gliel'avrei fatta pagare.

«Ti mostro dov'è.»

Lo seguii su per le scale, poi entrammo insieme nella prima stanza sulla destra e Caleb si chiuse la porta alle spalle.

Lo guardai, lui mi guardò.

«Lo sai che dvi aspettare fuori, vero?» chiesi per sicurezza.

Lui sbatté le palpebre un paio di volte, poi annuì e uscì.

Scossi la testa e mi svestii, piegando i vestiti e appoggiandoli su un mobiletto. Chinai la testa all'ingiù e scossi i capelli per togliere la maggior parte dello zucchero prima di entrare nella doccia. Quando mi rialzai e sistemai i capelli dietro le spalle notai un piccolo particolare sullo specchio che, decisamente, prima non c'era.

Quel piccolo particolare allungò le otto lunghe zampe pelose e si mosse velocemente scendendo e facendomi strillare. Mi precipitai, ancora in intimo, fuori dalla stanza e sbattei contro il petto di Caleb, ma non mi fermai e lo sorpassai nascondendomici dietro.

«C'è una cazzo di tarantola in bagno! Perché c'è una tarantola in bagno, Caleb?!» gridai con il fiatone.

Lui imprecò «Mio zio l'ha salvata qualche mese fa da un laboratorio nel quale si fanno esperimenti sugli animali. Dovrebbe essere nella sua teca, non so come abbia fatto ad uscire.»

Ma certo! Perché chi non ha una tarantola come animale domestico?

«Prendila, ti prego!» esclamai tremante.

Sì, amavo gli animali, ma i ragni – piccoli o grandi che fossero – mi terrorizzavano.

Caleb fece un passo verso il bagno, io rimasi immobile in mezzo al corridoio.

«Quell'affare deve essere uscito dalla Foresta Proibita, deve essere per forza così. È troppo grande per essere una creatura normale!»

Lui ridacchiò «Mi fa piacere che riesci comunque a sdrammatizzare.»

Alzai le spalle «Meccanismo di difesa.» dissi solo.

Caleb rimase in silenzio «Dov'è?» chiese.

Sbuffai «Davvero? Non è una cosa difficile da notare...»

Lui si schiarì la voce «No, ma qui non c'è nulla.» disse voltandosi a guardarmi.

Corrugai la fronte, che mi fossi immaginata tutto?

Entrai cautamente nel bagno e mi sporsi a guardare nello specchio. Nulla. Non capivo... ero sicura di averlo visto lì.

Cominciai a guardarmi intorno, ma della bestia di satana nessuna traccia.

«Uhm... non ti muovere.» mormorò Caleb alle mie spalle.

Lo guardai: stava fissando il soffitto sopra le nostre teste, ma non avevo il coraggio di guardare anche io perché sicuramente non aveva intenzione di ammirare lo splendido lampadario...

CALEB

La tarantola di mio zio era ferma immobile sopra di noi. Grace si teneva le braccia strette al petto e tremava. Non che amassi particolarmente gli insetti, anzi, più ci stavo alla larga e meglio mi sentivo, ma non potevo fare lo schizzinoso con Grace davanti.

Presi il primo recipiente che trovai sottomano e mi preparai a catturare il ragno.

«Okay...» mormorai. Alzai il contenitore ma in quel momento la tarantola si lasciò cadere e atterrò proprio sulla schiena nuda della ragazza davanti a me. Imprecai sottovoce.

«Uhm... coso... ho l'impressione di avere qualcosa sulla schiena.» mormorò.

Prima che potesse scappare, feci entrare l'animale nel contenitore e lo richiusi con una rivista, poi lo riportai nella sua teca e mi assicurai che fosse davvero chiusa quella volta.

Quando tornai in bagno, Grace era ancora ferma con i pugni stretti e gli occhi chiusi. «Puoi muoverti ora.» le dissi sfiorandole il braccio.

Lei sussultò, aprì prima un occhio e poi anche l'altro. Si guardò un po' intorno prima di rilassare le spalle. Guardò la mano che tenevo ancora sul suo braccio, poi alzò lo sguardo su di me.

«Scusa, ora vado. Se hai bisogno chiama.» dissi prima di uscire richiudendomi la porta alle spalle.

Sospirai passandomi una mano davanti alla faccia e quando la tolsi mi ritrovai mio cugino a fissarmi «Che cos'è successo?»

Mi avviai verso le scale, lui mi seguì.

«Nulla.»

«Cal?» mi richiamò.

Mi fermai e lo guardai «Cosa?»

Scott ridacchiò «Lei ti piace?»

Corrugai la fronte «Perché me lo chiedi?»

Lui alzò le spalle «Perché quando vi guardate sembrate la mamma e il papà, e loro si vogliono tanto bene.» disse infinte.

Incrociai le braccia al petto «Cosa ne puoi sapere tu di queste cose? Hai solo tre anni.»

«Anche Grace con te fa le stesse facce della mamma quando guarda papà. Loro si vogliono bene.» ripeté.

Continuai a scendere le scale e lui mi seguì «Che ne sai di come mi guarda Grace?»

Stavo davvero facendo quel discorso con un bambino di tre anni?

«Sciocchino: Grace ti guarda quando tu non la vedi. Io l'ho vista, invece. Sposerai Grace?»

Risi «Non esageriamo, mostriciattolo.»

Anche Scott rise. Terminò la conversazione e decisi di andare a farmi una doccia veloce anche io.

Quando terminai, Grace non era ancora uscita dal bagno ma non andai a chiamarla per non metterle fretta: probabilmente era ancora sotto shock e non volevo farle pressioni. Tornai in salotto e giocai un po' con Scott e con le sue macchinine.

Alle otto di sera, Grace non era ancora scesa. Feci cenare Scott e preparai qualcosa anche per lei nel caso avesse avuto fame più tardi.

La ragazza scese mezz'ora dopo. Aveva addosso un cambio che le avevo prestato: i pantaloni della tuta le stavano larghi, perciò li aveva arrotolati in vita e sulle caviglie. La maglietta a maniche lunghe cadeva morbida fin sotto al sedere e le maniche le coprivano interamente i palmi delle mani.

Si sedette sul divano accanto a me e si sistemò i capelli ancora leggermente umidi dietro le spalle.

«Come ti senti?» chiesi.

Lei deglutì, poi si schiarì la voce «Meglio... grazie.»

Le passai un braccio sulle spalle e la strinsi. Questa volta non tentò di opporsi e si appoggiò a me. Rimasi in silenzio per paura di rovinare quel momento, entrambi restammo immobili a guardare la tv.

Grace si appoggiò meglio, fece passare un braccio sul mio stomaco fino a circondarmi e sussurrò «Grazie.»

Appoggiai la guancia sulla sua testa e la strinsi. Avrei voluto fermare il tempo a quell'istante.

«Cal, sono stanco.» mugugnò mio cugino.

Mi passarono per la testa un'infinità di parolacce e di imprecazioni in quel momento, ma dovetti trattenermi.

Grace si allontanò subito e abbassò lo sguardo fingendo di sistemarsi la maglietta sulle gambe.

Mi alzai controvoglia e accompagnai Scott nella sua cameretta. Lui si buttò a letto e si infilò sotto le coperte, poi guardammo.

«Be'? Non eri stanco?» gli chiesi.

Lui rise «Sì, ma devi raccontarmi la favola della buonanotte.»

Scossi la testa «Non esiste. Dormi, piccolo mostro.»

Lui si imbronciò.

«Te la leggo io una favola, se vuoi.» disse Grace alle mie spalle. La guardai: era ferma nascosta per metà dallo stipite della porta. Le dita dei piedi erano arricciate e teneva un labbro stretto tra i denti.

«Sì!» esclamò mio cugino, tutto eccitato.

La ragazza si avvicinò sistemandosi i capelli dietro le spalle e si sedette a gambe incrociate accanto a me.

Scott le passò un libro, lei lo guardò e cominciò a sfogliarlo «Questa storia era la preferita mia e di mio fratello.» disse.

«Me la leggi, per favore?»

Lei annuì e cominciò a leggerla. La guardai per tutto il tempo, era davvero bella.

«Fine.» disse quando terminò.

Scott si sistemò meglio sotto le coperte «Me ne leggi un'altra?»

A quel punto mi alzai «Ora dormi, mostriciattolo. È il mio momento della storia della buonanotte.» spensi l'abat-jour e presi Grace per mano, trascinandola fuori dalla stanza prima che potesse finire ancora sotto il fascino innocente di mio cugino.

Mentre scendevamo le scale, lei borbottò: «Sei prepotente.»

Risi «Pensavo non te ne meravigliassi più, ormai.»

La vidi sorridere con la coda dell'occhio.

Ci stendemmo entrambi sul divano esattamente come quel pomeriggio, i cani ci raggiunsero e si acciambellarono accanto a noi costringendoci ad avvicinarci ancora di più. Barney, il golden retriever, le si stese tutto lungo la pancia e lei lo abbracciò.

Non mi concentrai troppo sulla tv, piuttosto giocherellai con i capelli di Grace e mi rilassai.

Ci vollero una decina di minuti prima che anche lei si rilassasse. Sentii il suo respiro farsi costante e lento e immaginai che si fosse addormentata. Le scostai i capelli dal viso e la osservai: la sua espressione non sembrava troppo tranquilla e avrei voluto sapere cosa le causasse tanto turbamento anche nel sonno. Feci scorrere un dito dalla punta del naso fino alla fronte e ripetei l'azione finché non vidi la sua pelle meno tesa, le labbra non erano più una linea stretta e sottile.

Una chiave girò nella toppa della porta principale e la serratura scattò. Sentii probabilmente mia zia zittire mio zio, poi li vidi entrare in salotto. Li salutai con un cenno del capo e quando anche Barney si accorse delle due figure in piedi accanto alla porta cominciò a scodinzolare e temetti che svegliasse Grace, così lo feci scendere. La ragazza mugugnò qualcosa ma fortunatamente non si svegliò.

«Noi andiamo.» dissi piano.

Mia zia annuì e, quando mi alzai, mi abbracciò ringraziandomi per la serata. Salutai anche mio zio, poi presi in braccio Grace ed uscii di casa, prendendo anche i suoi vestiti ancora pieni di zucchero a velo.

Prima di uscire, mio zio mise una mano sulla mia spalla e mi guardò con un leggero sorriso «Sembra una ragazza davvero a posto, Cal.»

Annuii e la guardai «Lo è.»


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