Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 25

GRACE


Dopo quel bacio, Caleb fu trascinato via dai suoi compagni di squadra, lasciandomi lì imbambolata a realizzare quanto fosse successo. Per il resto della serata non lo vidi più tranne quando, verso le tre del mattino, se ne andò barcollando con la barbie. La loro immagine rimase viva nella mia mente anche quando toccai il mio letto e provai a dormire.

Ormai ero arrivata al punto in cui non capivo se odiassi più lui per i suoi comportamenti altalenanti o me stessa per il fatto che, qualunque cosa facesse, suscitava in me sentimenti decisamente compromettenti. Non sopportavo l'incoerenza nelle persone e ora ero la prima ad esserlo.

Scossi la testa e sbadigliai guardando l'orologio: le tre del pomeriggio. Decisi che avevo dormito abbastanza e mi stiracchiai per alzarmi. In quel momento, il telefono sul letto cominciò a vibrare. Mi misi a cercarlo scostando le coperte e lanciando i cuscini a terra e, quando lo trovai, risposi a Melanie.

«Pronto?» gracchiai con la voce ancora roca dal sonno.

Lei ridacchiò «Buongiorno, dormigliona. Ti sei ripresa dopo ieri sera?»

Sbadigliai ancora «Mi sono svegliata tipo dieci minuti fa, tu che dici?»

La sentii sospirare, poi un cassetto si chiuse «Perfetto! Vestiti, ci vediamo da Starbucks tra mezz'ora.» e detto questo riattaccò, consapevole che se mi avesse lasciato il tempo di ribadire qualcosa avrei rifiutato l'invito. Era scaltra, quella stronza.

Mi alzai e strisciai i piedi fino al bagno, mi lavai i denti e pettinai i capelli, poi decisi di legarli in una treccia morbida. Misi un paio di jeans neri, una maglietta a maniche lunghe grigia e le Stan Smith bianche. Non avevo per nulla voglia di truccarmi, misi solo una crema idratante sul mio povero viso stanco e qualche goccia di profumo prima di afferrare il giubbotto e uscire di casa.

A metà tragitto incontrai Amber e la salutai «Ehi, scusa se non ti ho aspettata, pensavo dormissi ancora e dovevo fare delle commissioni prima di arrivare al bar.»

Liquidai la cosa con un gesto del capo «Tranquilla.»

Ci fermammo ad un incrocio e aspettammo che il semaforo diventasse verde. In quel momento, un paio di ragazzi ci vennero addosso e mi diedero una spallata che mi fece indietreggiare di qualche passo. Strizzai gli occhi e afferrai istintivamente uno dei due per la giacca «Guardate dove andate, stronzi.» sbottai.

Quello che tenevo arpionato per la giacca mi squadrò da capo a piedi, poi sorrise mostrando uno smiley bianco sopra ai denti «Calmati, bambolina.»

Amber si schiarì la voce e tentò di farmi allontanare «Lascia perdere, andiamo.»

Non l'ascoltai, ormai la mia pazienza aveva raggiunto il limite. Ovviamente, fare le ore piccole ad una festa e incontrare due coglioni appena sveglia non era un'accoppiata vincente per me.

«Bambolina? Davvero? Hai il quoziente intellettivo di un piccione per inventarti un nomignolo così banale?»

Il ragazzo smise di sorridere, mentre l'altro sghignazzò. Lasciai la giacca e mi voltai.

«Dovresti tenere al guinzaglio le tue bestiole, Francy.» disse allora il ragazzo che fino ad allora era rimasto in silenzio a godersi la scena.

Non capii a cosa si riferisse, ma ormai il semaforo era diventato verde e Amber mi trascinò dall'altra parte della strada.

Arrivate da Starbucks, incontrammo Melanie fuori dal bar con il telefono all'orecchio.

«Siete arrivate, finalmente!» sbuffò creando una nuvoletta di fumo. Quel giorno faceva abbastanza freddo.

Entrammo e ci sedemmo a un tavolo, stiracchiai subito le gambe sotto ad esso e le incrociai all'altezza delle caviglie «Scusa, abbiamo avuto a che fare con due idioti.»

Amber scosse la testa «Non erano soltanto due idioti. Erano due Scorpions.» l'ultima frase la mormorò, temendo che qualcuno ci sentisse.

Melanie, sbigottita, si allontanò dallo schienale della sedia, appoggiò gli avambracci sul tavolo e sussurrò «Gli Scorpions?»

Amber annuì.

Continuavo a guardarle non capendo, e nessuna delle due aveva intenzione di chiarire i miei dubbi, così richiamai la loro attenzione «Scusate? Volete spiegarvi o volete l'esclusiva?»

A quel punto Amber mi guardò, il suo sguardo era tutto fuorché rassicurante «Gli Scorpions sono una banda di delinquenti. Nessuno ci vuole mai avere a che fare.»

Sbattei le palpebre «E tu come fai a conoscerli? Ti sei trasferita qui pochi giorni fa.» feci notare.

A quel punto lei si morse il labbro «Diciamo che ho già avuto a che fare con il "braccio destro" del capo un paio di giorni fa.»

Melanie scosse la testa «Com'è possibile? Né il capo né il vice si fanno mai vedere in giro.»

La bionda seduta accanto a me incurvò la schiena «Ve lo dirò, ma voi dovete promettermi che non lo direte ad anima viva, chiaro?» marcò bene le parole e proseguì solo quando entrambe annuimmo.

«Partecipo a delle gare in moto la notte. Ho già incontrato gli Scorpions e proprio l'altra sera ho gareggiato contro il "braccio destro".»

Rimasi a bocca aperta, quasi dovetti trattenermi dal ridere, ma quando capii che Amber dicesse la verità, imprecai.

Melanie l'afferrò per un braccio «Ma quando pensavi di dircelo?! Oddio, sei una criminale? Esco con una criminale!»

Amber le schiaffeggiò la mano e le intimò di stare zitta «Non sono una criminale! Mi piace solo correre in moto.»

A quel punto Melanie si calmò e tornò a sedersi.

Ordinammo tre caffè grandi e, mentre aspettammo, ci facemmo raccontare tutti i dettagli da Amber. Ci spiegò che le corse le praticava anche in Francia ed era per quello che era conosciuta da tutti i corridori come "Francy", un nomignolo affibbiatole proprio da quel tipo che mi aveva chiamata "bambolina" poco prima. Sì, decisamente non aveva troppa fantasia nei nomignoli...

«Ragazze, stiamo divagando.» disse alla fine del racconto, si voltò verso di me e la sua espressione si fece implorante «Ti prego, Grace, non provocarli più: non sai con chi hai a che fare, sono davvero pericolosi.»

Sbuffai «Se ti fa sentire meglio te lo prometto... anche se potrei batterli ad occhi chiusi quegli sbruffoni.»

Amber sospirò ma la vidi molto più rilassata.

Mel schioccò le dita «Okay, non vi ho chiamate per questo. Abbiamo fatto la nostra bella digressione ma ora arriviamo al punto. Tra poco cominceranno le vacanze invernali, giusto? Giusto. E allora ho pensato, stressate come siamo, che ci meritiamo una vacanza, no? In montagna magari. In mezzo alla neve, alla natura... alle SPA.»

Odiavo la neve... no, anzi, odiavo che si guidasse con la neve.

«È un'ottima idea, Mel! Ma come faremo per il viaggio, l'albergo e, oddio, come li convinciamo i nostri genitori?»

Scrollai le spalle «Se può venire Alan i miei zii diranno certamente di sì.»

«Ragazze!»

Tutte e tre sobbalzammo sentendo la voce di Jace alle nostre spalle e ci girammo, prima di tutte fu Amber.

Sì, sono solo amici...

«Ciao Jace!» lo salutammo e lui ci abbracciò tutte e tre, una per una, indugiando un po' quando si dovette allontanare da Amber.

«Di cosa parlavate?» ci chiese tenendo in equilibrio cinque tazze di caffè e un contenitore con delle ciambelle. Pensai subito che avrebbe portato tutto a casa e che uno di quei caffè fosse destinato a Caleb.

Ma che cazzo vado a pensare?

«Stiamo organizzando una settimana bianca durante le vacanze invernali, in realtà è tutto da decidere perché non abbiamo la più pallida idea di dove andare.» disse Mel ridacchiando.

Jace sorrise «Ma è fantastico! Noi andiamo sempre a fare il Capodanno nello chalet dei nonni nel Winsconsin, ma quest'anno rischiava di saltare perché Aaron, Alex e Austin non possono esserci. Se voi ragazze volete unirvi a me e a Caleb potremmo organizzarci!»

Amber lo guardò con occhi languidi «Un'opportunità da non rifiutare.»

Lui le fece l'occhiolino, ma quando Mel si schiarì la voce tornò a guardarci tutte e tre «Venite con me, sono un po' in ritardo: sto accompagnando i ragazzi all'aeroporto. Dopo possiamo andare a casa mia e metterci d'accordo.»

Annuimmo, finimmo i nostri caffè e, dopo aver pagato, seguimmo Jace alla sua auto. Non appena il ragazzo aprì gli sportelli, il caos che c'era all'interno della macchina cessò e i tre ragazzi ci guardarono «Grace!» esclamarono all'unisono.

Quando salii li abbracciai «Ragazzi! Dove ve ne andate di bello?»

«Stage di sei mesi in Italia. Ci mancherai da morire, sai?» rispose Alex.

Sorrisi «Anche voi, ragazzi. Divertitevi.»

«Grace, facci posto: non ci stiamo.» disse Amber spingendomi nel fianco per salire in macchina.

«Vai nei posti in fondo.» mi disse Aaron indicando i due posti dietro ai tre posteriori. Solo allora mi accorsi che uno di quelli fosse occupato dal biondino. Rimasi a fissarlo per qualche secondo, così come lui fissò me, in silenzio.

«Ti do una mano.» disse Austin quando feci per scavalcare i sedili e andare dietro. Non feci in tempo a dire che non serviva che lui appoggiò la mano sul mio sedere e mi spinse. Quando mi sedetti al mio posto lo guardai assottigliando lo sguardo e lui rise «Non era necessario...» gli feci notare.

Lui allargò ancora di più il sorriso «Mi sembravi in difficoltà.»

Alzai gli occhi al cielo e scossi la testa cercando di nascondere l'ombra di un sorriso.

Aaron si sedette dietro insieme ai due fratelli, lasciano il posto vicino a Jace ad Amber. Melanie si sedette in braccio a uno dei ragazzi, poi partimmo.

Mentre tutti discutevano, ridevano o battibeccavano, Caleb ed io rimanemmo zitti. Al ricordo di lui che se ne andava con la barbie ringhiai piano e mi voltai a guardare fuori dal finestrino.

«Ciao.» disse lui piano.

Lo guardai con la coda dell'occhio «Mh...»

«Ieri non ti ho fatto gli auguri, perciò... auguri.» disse a voce più alta.

Oh, gli auguri me li aveva fatti eccome...

Il fatto che non se lo ricordasse nemmeno mi ferì.

«Caspita, Grace. Non sapevamo fosse il tuo compleanno, altrimenti ti avremmo fatto gli auguri.» disse Austin.

Scrollai le spalle «Tranquilli, ragazzi, non è assolutamente un problema.»

Accompagnati i fratelli in aeroporto, arrivammo a casa di Jace qualche ora dopo, ci sistemammo in salotto e lui cominciò a parlare «Allora, organizziamo questa settimana bianca a Bruce Moud.»

Caleb sbuffò, si alzò e lasciò la stanza lasciandoci tutti perplessi. Ci guardammo senza proferire parola. Fu Mel a spezzare il silenzio «Che gli è preso adesso?»

Jace sospirò e si appoggiò ad Amber, la quale continuava a guardare le scale con un sopracciglio inarcato.

«E chi lo sa cosa passa per la testa a quello...» il suo sguardo si posò sul mio. Non mi piaceva per niente la sua espressione. Poco dopo anche le mie amiche mi fissarono.

Incrociai le braccia al petto e scossi la testa «Neanche per idea. Non sarò il suo pungiball.»

«Ti prego, Grace. Lo sai che sei l'unica a tenergli testa.»

Aprii e chiusi la bocca un paio di volte prima di incurvare le spalle e sospirare esasperata «E va bene... ma se entro dieci, massimo quindici minuti non torno venite a prendere il mio cadavere e, vi prego, riportatemi a Londra.»

Loro risero mentre io cominciai a salire molto lentamente le scale. Gradino dopo gradino, sentivo il cuore battermi sempre più forte nel petto. Raggiunsi la porta chiusa della stanza di Caleb e bussai un paio di volte, prima piano, poi più forte. «Vattene Jace.» ringhiò dietro di essa.

Okay, wow. Calmati.

«No, sono io.»

Dopo attimi di silenzio, lo sentii avvicinarsi «Che cosa vuoi?» quel tono arrogante stava per farmi uscire di testa, ma nonostante ciò, tentai di mantenere il controllo.

«Parlarti.»

Aprì la porta, mi guardò. Il suo sguardo era cupo, le sopracciglia aggrottate creavano delle rughe tese sulla fronte.

«Non ho niente da dire.» fece per richiudere la porta ma glielo impedii infilando un piede nell'apertura.

Lui sbuffò, ma non provò a spingere più forte.

Okay, non volevo arrivare a tanto... ma a mali estremi, estremi rimedi.

«Ti prego.» mormorai contro il legno della porta.

Quando non sentii più la pressione dall'altra parte, la spinsi ed entrai nella stanza richiudendomela poi alle spalle.

«Cosa vuoi?»

«Voglio sapere che ti è successo.» dissi decisa.

Non l'avevo mai visto così serio, così giù di morale. Mi faceva uno strano effetto vederlo in quello stato.

«E se io non volessi dirtelo?»

Okay, mi stava decisamente facendo arrabbiare «Be', fai come ti pare. Ma almeno evita di far preoccupare la tua famiglia: Jace è inquieto perché così, di punto in bianco, hai cambiato umore. Me ne sono accorta persino io. Se vuoi fare il cazzone, fallo. Ma non davanti alle persone che ti vogliono bene.» sbottai.

Lui inarcò un sopracciglio «Tu ti sei preoccupata per me?» domandò. Un angolo delle sue labbra si alzò andando a formare un sorrisetto sghembo.

Di tutto il discorso che avevo fatto aveva colto solo quella parte? Arrossii per essermi fatta scappare quel dettaglio e allontanai lo sguardo da lui «Non è questo il punto. Ora mi dici perché sei così strano? Altrimenti me ne vado, la mia pazienza ha un limite.»

Il sorrisetto si ampliò quando intuì che cercavo solo di cambiare discorso. Si sedette sul letto e mi fece cenno di seguirlo. Quando scossi la testa, s'incupì di nuovo.

Accidenti.

«Non mi va di parlarne.» disse.

Mi morsi il labbro inferiore, indecisa sul da farsi, ma realizzai che se avessi voluto andarmene da lì avrei dovuto fare in modo che parlasse.

Mi avvicinai al letto e mi sedetti a qualche centimetro da lui. Mi schiarii la gola e sistemai meglio alcune ciocche di capelli sfuggite alla treccia che mi finirono sul viso. Titubante, appoggiai la mano sulle sue spalle curve e diedi qualche pacca leggera. Non era il mio forte consolare le persone...

Inumidii le labbra e mi avvicinai ancora. Eravamo coscia contro coscia, sentii i brividi lungo la schiena quando i muscoli della sua gamba guizzarono. Feci passare la mano attorno ai suoi fianchi e appoggiai la guancia contro il suo braccio. Niente.

Il cure batteva all'impazzata, le guance erano in fiamme e le mani erano sudate. Mi stavo mordendo ripetutamente l'interno della guancia perché, in quel momento, sentii nettamente la voglia di baciarlo, ma dovevo reprimerla.

Appoggiai l'altra mano sulla sua coscia e sentii nuovamente quel desiderio ardere in me.

In fondo che male c'era nel baciarlo? Lui l'aveva già fatto con me, e le cose non erano cambiate. Non sarebbe cambiato nulla quella volta, e, anzi, avrei potuto darmi totalmente la colpa di ciò che avremmo fatto.

Mi allontanai dal suo braccio e afferrai il colletto della sua felpa.

Ora o mai più, pensai.

Presi coraggio e lo strattonai con forza per farlo voltare verso di me, il suo sguardo da cupo si tramutò in stupito e appoggiò le mani ai lati dei miei fianchi sul materasso per evitare di cadermi addosso quando lo tirai verso di me.

Premetti le labbra contro le sue e chiusi gli occhi, mantenendo salda la presa sul colletto della sua felpa con entrambe le mani.

Ci volle qualche istante prima che lui realizzasse cosa stessi facendo, ma non appena se ne rese conto ricambiò immediatamente il bacio. Mise una mano sul mio fianco e si spinse per avvicinarsi di più a me.

Si allontanò leggermente e lo guardai confusa, i suoi occhi si illuminarono «Questa volta non potrai scapparmi.» mormorò, poi riprese a baciarmi con foga spingendomi contro il materasso e costringendo il gattino, acciambellato ai piedi del letto, ad andarsene.

La verità era che non volevo che si fermasse. Dio, era l'ultima cosa che avrei voluto in quel momento.

Feci passare le dita tra i suoi capelli e allacciai una gamba ai suoi fianchi. Un suono gutturale gli uscì dalla gola e strinsi le cosce involontariamente.

Si allontanò dalle mie labbra solo per mordicchiarmi il collo e scendere a dare piccoli morsi anche sulla spalla. Mugolai e inarcai la schiena quando ripeté l'azione.

Era dannatamente bravo. Staccai la spina del cervello e mi concentrai solo su quello che il mio corpo desiderava. Volevo lui. Ogni parte del mio corpo ambiva le sue attenzioni, e glielo fece capire muovendo i fianchi contro i suoi. Mi spinse più su nel letto così da potersi stendere completamente su di me e allacciai anche l'altra gamba attorno al suo bacino. Guaii quando la sua mano scivolò sul mio ventre, sotto la maglietta fino ad arrivare all'orlo dei jeans.

Mi stavo spingendo in acque mai esplorate, con William non ero mai arrivata a tanto, ma volevo che lo facesse, volevo che mi toccasse.

Quando la sua mano si fermò per poco non imprecai. Non era decisamente il momento dei ripensamenti.

«Grace...» prima che potesse continuare, slacciai il bottone dei suoi jeans, feci scivolare velocemente la cerniera e infilai la mano nei boxer afferrando l'erezione ed esercitando una leggera pressione.

«Cazzo.» imprecò.

Non sapevo affatto cosa fare, la mia iniziativa finiva lì. Ma avevo letto parecchi libri romantici e, in teoria, avrei potuto improvvisare. Creai piccoli cerchi concentrici sulla punta, spargendo qualche goccia, poi scivolai verso il basso, lentamente, per poi tornare su. Ripetei l'azione quando vidi i muscoli di tutto il suo corpo contrarsi. Aumentai la velocità e gli tappai la bocca con la mia quando gemette. Di sotto c'erano ancora gli altri e non volevo di certo che ci sentissero.

Finalmente la sua mano riprese a muoversi. Sbottonò i jeans e fece scivolare le dita sotto agli slip. Arricciai le dita dei piedi sentendo per la prima volta quella sensazione. Ero insieme spaventata e curiosa.

Infilò un dito e trattenni il respiro sentendo quella strana sensazione, ma ci misi poco ad abituarmici. Aumentai la velocità del movimento della mano e lui nuovamente imprecò, spostando l'attenzione sul mio clitoride. Urlai e tirai indietro la testa, inarcando la schiena.

«Shh... ci sentiranno, tigre.» mormorò appoggiando la fronte sulla mia. Mi baciò, mi mordicchiò il labbro e infilò nuovamente un dito, questa volta muovendolo prima lentamente e poi velocemente.
A quel punto non mi importava più se ci avessero sentiti o meno, volevo gridare, lo sentivo nella gola. Prima che potessi farlo, però, lui mise la mano sulla mia bocca e, in protesta, rallentai la velocità della mano. Lui strinse gli occhi «Credimi, sentirti gridare potrebbe diventare una delle mie cose preferite, ma, davvero, non possiamo fare rumore.»

Annuii per fargli capire che avessi capito e tornai al ritmo che avevo prima. Lui ringhiò e sorrise «Brava.»

Ma a quel punto capivo poco e niente. Sentivo nel basso ventre crescere un senso di pienezza pronto a esplodere, cedetti all'impulso di stringere le cosce, roteai gli occhi e inarcai la schiena quando un'enorme ondata di piacere mi travolse, lasciandomi senza fiato. Appoggiai la testa al materasso e cercai di riprendere fiato mentre anche lui venne e si lasciò sfuggire un'imprecazione quando tolsi la mano dai boxer, portandola sulla pancia e chiudendo gli occhi per cercare di riprendermi.

Si lasciò cadere al mio fianco e si mise una mano tra i capelli. Quando si voltò per dire qualcosa, qualcuno bussò alla porta e il mio cuore saltò un battito. Avevamo chiuso la porta a chiave? Cazzo, no!

Lo guardai terrorizzata e anche lui condivise la mia preoccupazione.

«Grace? Tutto bene? Sei ancora viva o il mio fratellino ti ha sbranata?» ridacchiò bussando ancora.

Caleb mi guardò e fece un sorrisetto «Non sarebbe una cattiva idea...» mormorò soffiandomi sul collo. I brividi che mi partirono dalla nuca mi fecero tremare.

«Taci.» borbottai sistemandomi e alzandomi dal letto.

Ora che il mio cervello era tornato a funzionare, dovetti appoggiarmi al muro per realizzare cos'avevamo appena fatto. Cos'avevo appena fatto. Sentii le guance farsi ancora più rosse.

«Tutto okay, Jace. Arriviamo.» dissi. La mia voce era leggermente acuta.

Quando lo sentii andare via, corsi in bagno e mi ci barricai dentro. Mi pulii e mi buttai dell'acqua gelida in faccia, per cercare di alleviare il rossore. Feci qualche lungo respiro e mi guardai allo specchio: i capelli erano un groviglio ingestibile. Se fossi scesa così tutti avrebbero di certo fatto domande, così sciolsi la treccia e la rifeci. Aspettai qualche minuto ancora prima di uscire dal bagno, ma quando lo feci, Caleb era lì ad aspettarmi, i pantaloni ancora sbottonati.

Non dissi una parola e tornai in salotto dagli altri, sedendomi sul divano e incrociando le gambe. Se avessi continuato a pensarci sarei morta dalla vergogna.

«Allora? Che cos'ha Cal?» chiese Amber.

Alzai le spalle «Non ha voluto dirmelo.» mugugnai.

Mel rise «E che avete fatto per tutto questo tempo? Vi siete girati i pollici?»

Deglutii e la guardai truce «Abbiamo parlato.»

Proprio in quel momento, Caleb scese le scale. Si era cambiato, ora indossava un paio di pantaloni della tuta neri. Si sedette accanto a me e si lasciò sprofondare contro lo schienale. Coscia contro coscia, di nuovo.

Tutti lo guardarono storto, ma nessuno proferì parola.

«Allora... dicevamo? Per lo chalet dei nonni?» incalzò lui.

Jace sbatté un paio di volte le palpebre, poi riprese a parlare «Sì... intanto che voi eravate di sopra, le ragazze hanno chiesto i permessi ai genitori. Entrambe hanno detto che le lasceranno andare solo se verrà Grace.»

Mi sentii osservata da quattro paia di occhi e sentii la pressione su di me.

«Uhm, come ho detto, i miei zii mi faranno venire solo se ci sarà anche Alan. Dovrei chiedere.»

«E che aspetti? Scrivi un messaggio.» annunciò Mel, eccitata per la possibilità di passare il Capodanno in montagna.

Scossi la testa «Non funziona per messaggio. Devo farlo di persona. Se va come deve andare, ci metterò poco, promesso. Vi scrivo appena so qualcosa.» dissi alzandomi.

Caleb si alzò con me «Andiamo, allora.»

Aprii la bocca per protestare e dirgli che non serviva che mi accompagnasse, ma lui mi afferrò per il braccio e mi trascinò letteralmente fuori casa e sulla sua auto. Dovetti muovermi a mettere le cinture di sicurezza perché lui partì a razzo per le strade affollate durante l'ora del rientro dei lavoratori.

«Be', devo dire che non me l'aspettavo proprio, mi hai colto alla sprovvista.» cominciò.

Sentii le guance infiammarsi, così troncai la conversazione «Non dire niente. Non è successo niente, chiaro?»

Lui mi guardò con la coda dell'occhio per qualche istante prima di tornare a guardare la strada «Chiaro, tigre.»

Dopo qualche minuto di silenzio, però, decise che non voleva darmi tregua «Ma mi piaci di più quando smetti di razionalizzare qualsiasi cosa e ti lasci andare.»

Non risposi, guardai fuori dal finestrino e lasciai che alcune ciocche di capelli mi coprissero la visuale verso di lui.

Quando arrivammo a casa, prima di scendere dall'auto, mi preparai psicologicamente, poi mi fiondai in salotto con Caleb appresso.

«Alan?» lo chiamai.

Lui sporse lo sguardo da sopra lo schienale del divano, fece un cenno di saluto a Caleb e mi guardò «Ti sei fatta viva, finalmente. Cosa c'è?» chiese tornando a concentrarsi sul programma in tv.

Dio, è imbarazzante farlo davanti a Caleb... pensai avvicinandomi a mio fratello e sedendomi sulle sue gambe. Lo abbracciai e strofinai la guancia contro la sua «Sai che sei il mio fratellone preferito?»

Lui ridacchiò «Vorrei anche vedere: sono l'unico che hai. Avanti, cosa vuoi questa volta?»

Mi allontanai un po' giusto per guardarlo negli occhi, sfoggiare il sorriso più ruffiano del mio repertorio e gli spiegai della settimana bianca.

Lui picchiettò un paio di volte le dita sulla mia coscia prima di scrollare le spalle «È una bella idea, ma non so come convincere gli zii.»

Mi appoggiai a lui e giochicchiai con i lacci della sua felpa, raggomitolandomi contro il suo petto «Li convinceremo, basta ricordargli quanto tu sia fantastico e responsabile e di sicuro ti ascolteranno perché sei il migliore.»

Lui ridacchiò e mi diede un bacio sulla guancia «Sei davvero tremenda. Chissà quante cose hai costretto a fare a Caleb con questo metodo.»

Lui, dietro di noi, ridacchiò «Non hai idea...» mormorò allusivo.

Cominciai a tossire e strabuzzai gli occhi quando lo sentii pronunciare quella frase. Fortunatamente, Alan non colse l'allusione e rise della mia reazione.

«Ragazzi? Che succede?» nostro zio entrò in soggiorno e si sedette sulla sua poltrona preferita.

Quando mi ripresi, rimisi su la mia espressione da ruffiana, facendo ridacchiare sia Alan che Caleb.

Mio zio mi squadrò tentennando «Conosco quella faccia. Cosa vuoi?»

Mi alzai e mi sedetti sulle sue ginocchia abbracciandolo «Zietto, tu sai quanto ti voglia immensamente bene, vero?»

Lui mi pizzicò il fianco «Non mi piace quello sguardo furbo che hai, signorina.»

«Zietto caro... non è che saresti così gentile e buono da farci andare in vacanza con i nostri amici una settimana in montagna per Capodanno?»

Lui corrugò la fronte. Mi precipitai a distendergli le rughe con un bacio. Sospirò «Da soli? Senza un adulto?»

Cazzo.

«Uhm... sì.» mormorai.

A quel punto Caleb si intromise «Signore, ci saremo anche mio fratello maggiore ed io, ed è un'abitazione di famiglia. Ci occuperemo noi di sua nipote.»

Mio zio rise «Ma potevi dirmelo subito che ci sarebbe stato anche Caleb! Allora potete andare, ma voglio che mi chiamiate tutte le sere, intesi?»

Lo guardai stupita. Aveva davvero detto di sì?

«Grazie, signore.»

«Chiamami Joe, quante volte te lo devo dire ancora?»

Okay, non potevo davvero crederci.

«Vieni, dobbiamo tornare a casa dagli altri per dirglielo.»

Annuii e lo seguii fuori dopo aver salutato mio fratello e mio zio.

Il tragitto verso casa fu silenzioso, ma la tensione che c'era all'andata era, fortunatamente, scomparsa.

Lo guardai e mi chiesi se ciò che era successo tra di noi avrebbe cambiato qualcosa o se saremmo tornati a tormentarci come prima. Qualcosa in me era decisamente cambiato, ma non riuscivo bene a capire cosa. Di certo, se le cose non fossero cambiate, ne sarei rimasta devastata.

||Vi ricordo che se volete potete venire su Insta (amandamay_wattpad)||

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro