Capitolo 21
GRACE
Quando riaprii gli occhi, mi stiracchiai e sbadigliai sonoramente. Mi ero fatta una bella dormita e mi sentivo completamente rigenerata.
«Forse dovrei alzarmi...» sbuffai.
Guardai alla mia destra e vidi il libro che stavo leggendo sul comodino.
O forse no...
Presi il libro e mi sistemai meglio sotto le coperte. Non feci in tempo ad aprirlo che Alan spalancò la porta facendomi sussultare e facendomi cadere il libro a terra.
«Ma sei scemo?» gli gridai contro.
Lui ridacchiò appoggiandosi allo stipite della porta «È sempre divertente.»
Gli mostrai il dito medio e gli mandai un bacino che lui finse di afferrare e di stamparsi in mezzo al petto.
Avevo un fratello deficiente, non potevo farci niente.
«Posso sapere il motivo della tua visita?»
Si avvicinò e si mise al mio fianco sul letto per poi abbracciarmi. Corrugai la fronte «Devo chiamare la polizia? O, che so, l'Area 51? Che diavolo ti prende, Alan?»
Lui rise «Sono solo felice, non posso?»
«E il motivo sarebbe...?»
«Oggi alla partita verranno anche gli zii. Tu verrai, vero? Devi tifare per me e per Cal, ovviamente.» disse ridacchiando.
Alzai gli occhi al cielo «In che lingua devo dirti che il biondino e io non stiamo insieme?»
Alan mi diede una pacca sulla schiena «Non c'è bisogno che ti vergogni, non ti sto mica prendendo in giro! Anzi, sono così felice per voi due.»
Era un caso perso...
Zio Joe si affacciò dalla porta semi aperta «Ragazzi, siete pronti?»
Scossi la testa «Mi devo ancora vestire e preparare lo zaino con le mie cose.» dissi alzandomi dal letto e mettendomi a contemplare l'interno del mio armadio. Presi un paio di jeans e un maglioncino nero, li indossai e mi chiusi in bagno per lavarmi, pettinarmi e truccarmi.
Tornai in camera e misi la macchina fotografica nello zaino, poi andai verso la scrivania per prendere l'album da disegno da portarmi dietro, ma non lo trovai. Lo cercai ovunque nella stanza. Niente.
«Qualcuno ha visto il mio album da disegno?» gridai.
Tutti mi risposero di non averlo visto. Cazzo.
«Ora è tardi, dobbiamo andare. Quando torneremo a casa ti aiuteremo a cercarlo, okay?» disse zio Joe.
Annuii sconsolata e li seguii in macchina.
Durante tutto il tragitto cercai di ricordare dove potessi averlo messo, ma non mi venne in mente niente. Che l'avessi lasciato a scuola? Proprio non ricordavo.
Quando arrivammo allo stadio, salutai Alan e mi andai ad accomodare sugli spalti insieme ai miei zii. Dal punto in cui eravamo si vedeva perfettamente tutto.
Le cheerleader furono le prime ad uscire e cominciarono a incitare tutti gli spettatori affinché cominciassero ad applaudire e a urlare per incoraggiare la loro squadra. Ed eccola lì: la barbie era in prima fila con la sua divisa e i suoi sbrilluccicanti pom-pom.
I ragazzi uscirono qualche minuto più tardi e si sistemarono ai loro posti. Alan si girò a guardare gli spalti, così mi sbracciai per salutarlo e per fargli capire dove fossimo. Mi notò e mi salutò, poi chiamò l'attenzione di Caleb e mi indicò. Mi impietrii e smisi di salutare, tornando a sedermi accanto a zio Joe. Il ragazzo ammiccò, poi tornò a concentrarsi sul campo.
Diamine, faceva un caldo infernale tra tutte quelle persone, non avrei dovuto mettere quel maglione.
Sì, certo... è colpa del maglione.
Scacciai ogni pensiero e mi concentrai sulla partita.
CALEB
Quando il fischio segnò la fine della partita, avevamo vinto di parecchio e ne fui davvero felice.
Cercai Grace tra gli spalti ma non la vidi più accanto ai suoi zii. Mi bloccai, facendomi travolgere da tutti i miei compagni che esultavano, e mi guardai attorno. Dove diamine era finita?
Sospirai sollevato quando la vidi vicino alle transenne intenta a scattare foto. Quando si allontanò dal viso la macchina fotografica la osservai meglio: era davvero bella quando non tentava di fulminarmi con lo sguardo .
Lei avvicinò la macchina al ragazzo accanto a lei, che avevo del tutto ignorato, e gli mostrò la foto.
«Merda.» imprecai.
Che diavolo ci faceva lì Davon?
Quell'idiota le scostò i capelli dal volto e le sorrise.
Deglutii e strinsi tra le mani la palla finché le dita non mi divennero bianche. L'avrei sicuramente ammazzato prima o poi, e la tentazione divenne più forte specialmente quando si chinò per sussurrarle qualcosa all'orecchio e lei rise.
Okay, era decisamente troppo.
Lanciai la palla prendendolo in pieno stomaco e facendolo piegare in due dal dolore. Lei mi guardò e io alzai le spalle «Non l'ho fatto di proposito.» mimai con le labbra.
Lei scosse la testa, ma sorrise cercando di nascondersi dietro un'espressione contrariata.
GRACE
«Direi che sei riuscita perfettamente a farlo ingelosire, Gray.» bofonchiò Davon massaggiandosi lo stomaco.
«Non pensavo cercasse di ucciderti con una palla da football.» ammisi «Mi sento tremendamente in colpa, Dav.» continuai, aiutandolo a tornare a sedersi accanto ad Harry.
«Stai tranquilla, sto bene.»
Mi sedetti accanto a loro e ripresi a guardare la foto artistica che avevo appena fatto a Caleb.
«Ti piace tanto, eh?» mi chiese Harry sistemandosi gli occhiali.
Arrossii «Ma che dici? Sto solo guardando quanto sia artistica questa foto, indifferentemente dal soggetto.»
Lui rise «Puoi raccontare balle a tutti, ma non a me, gioia.» mormorò ammiccando.
Incrociai le braccia al petto «A me lui non piace. Può essere di bell'aspetto quanto vuole, ma dentro rimarrà sempre uno stupido, arrogante e idiota.»
Harry mi diede una pacca sulla coscia «Gioia, il tuo Caleb magari finge di essere così, ma dentro ha un cuore dolce. Tipo i tortini al cioccolato dal cuore morbido che vendono nei bar, hai presente?»
Annuii. Effettivamente, il suo discorso non faceva una piega, ma dubitavo che Caleb potesse avere un cuore morbido di cioccolato dietro a tutta quell'arroganza.
Mh... cioccolato...
Scossi la testa «Non diciamo scemenze, per favore. Ora devo andare da mio fratello. Ci vediamo, ragazzi.» diedi un bacio ad entrambi e mi avviai verso gli spogliatoi.
Dato che non erano ancora usciti, mi misi con la schiena al muro a guardare le foto che avevo fatto, concentrandomi particolarmente su quelle che ritraevano Caleb. Dovevo ammetterlo: era fotogenico, il biondino.
«Il mio profilo destro è meglio del sinistro, non trovi?» affermò il ragazzo in questione prendendomi alla sprovvista e facendomi sobbalzare. La Canon mi scivolò dalle mani, ma Caleb riuscì ad afferrarla prima che cadesse, fortunatamente.
«Sbadata.» ridacchiò.
«Sei scemo? Mi hai fatto prendere un colpo! E stavi per rompermi la Canon.»
Lui ridacchiò «Ero sicuro che dicessi una cosa del tipo "ti maledirò mentre dormi per ciò che hai fatto".» disse cercando di imitare la mia voce.
Inarcai un sopracciglio «Quella dovrei essere io?» sbottai offesa.
«Scusa se hai una vocina così dolce, tutto il contrario della mia.» affermò inarcando un sopracciglio in segno di sfida.
«Perché? Come sarebbe la tua voce?»
«Profonda e sensuale.» mormorò facendomi venire i brividi lungo la spina dorsale.
Sbattei le palpebre per riprendermi e scossi la testa. Voleva una sfida? D'accordo.
Misi le mani sulla sua che ancora stringeva la macchina fotografica, e lo guardai con occhi languidi «Pensi che la mia voce non sia abbastanza sensuale?»
Caleb deglutì, non riuscendo più a parlare.
Esatto, biondino: ti sei messo contro la ragazza sbagliata.
CALEB
La sua voce era bellissima, l'avrei ascoltata per ore se solo avessi potuto.
Mi avvicinai a lei e le cinsi i fianchi con le mani continuando a mantenere il contatto visivo. Lei rimase immobile a guardarmi, le mani unite dietro la schiena, il petto che si alzava e si abbassava lentamente. I suoi occhi verdi erano ipnotici e mi fecero dimenticare che ci trovavamo in mezzo a un corridoio e davanti allo spogliatoio.
«Allora? Lo pensi davvero?» mormorò.
Cazzo, no, avrei voluto risponderle, ma le parole non riuscivano a uscirmi dalla bocca.
L'unica cosa che avevo in testa era baciarla. E lo feci. L'avvicinai a me e la baciai.
Possibile che fossero così perfette nonostante la smorfia di sorpresa che si era impossessata di lei?
Dopo qualche istante, lasciò che le mani le ricadessero lungo i fianchi. Ricambiò il bacio e la cosa, lo ammetto, mi fece uscire di testa. Le misi una mano sulla nuca e con l'altra la strinsi a me continuando a muovere le labbra sincronicamente alle sue. Grace mugolò e io contrassi involontariamente gli addominali sentendo quel suono. Sapevo che avrei dovuto allontanarmi, o la situazione sarebbe degenerata in pochi minuti, ma non ci riuscivo. Era la prima volta che ci baciavamo in quel modo, come se entrambi avessimo bisogno solo l'uno dell'altra per andare avanti, come se non tentasse di fingere di odiarmi e di respingermi.
Lei mise le dita all'altezza dell'orlo dei jeans e mi sfiorò la pelle nuda della pancia con le dita. Era un tocco lieve, ma riuscì comunque a farmi venire i brividi. Risalì lentamente seguendo le linee marcate degli addominali fino a che tutta la mano scomparve sotto la maglietta. La passò lungo il fianco e raggiunse la base della schiena, graffiandomi. La mia mano, che prima era stretta sul suo fianco, passò sui jeans e non riuscii a trattenermi dal stringere le dita attorno a quel fondoschiena così bello.
Caleb, fermati.
Non ci riuscivo. Non sarei mai riuscito a fermarmi con lei.
Lei mugolò ancora ed io credetti di perdere la testa.
«Le mani.» sbottò Alan, allontanandomi da sua sorella.
Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte per riprendermi e per capire cosa stesse succedendo. Anche Grace sembrava abbastanza spaesata. Le sue guance erano rosse e le labbra ancora dischiuse.
«I baci mi vanno bene, ma le mani tienile a posto, chiaro?» continuò lui.
Scossi la testa e alzai le mani in segno di resa «Sì, signore. Non capiterà più.»
Alan mi guardò cercando di capire se fossi serio, poi se ne andò con il borsone in spalla. Grace lo guardò allontanarsi e mormorò un'imprecazione.
«Quello che è appena successo è... sbagliato.» disse guardandomi con gli occhi sbarrati. Sembrava un vano tentativo di autoconvincimento piuttosto che un suo reale pensiero.
«Alan non smetterà mai di credere che non stiamo insieme se continui a baciarmi contro la mia volontà.» sbottò incrociando le braccia al petto.
A quel punto non potei trattenere una risata. Quel bacio era tutto fuorché contro la sua volontà, ma non lo sottolineai perché probabilmente mi avrebbe mangiato vivo.
«È divertente, però.»
Lei aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi fece passare il peso da una gamba all'altra «Non pensi a quello che già pensano gli altri a scuola di "noi"?»
Mi chinai su di lei e le scostai i capelli dall'orecchio «Non me ne frega un cazzo di quello che pensano gli altri.»
Grace mi guardò perplessa, poi scoppiò a ridere.
«Adesso che c'è?» chiesi.
Lei scosse la testa «Sei... incredibile.» disse tra le risate.
«Lo prendo come un complimento.» mormorai fingendomi offeso.
Ovviamente, quel momento non poteva che essere interrotto da Jenny. Cominciava a irritarmi la sua comparsa sempre nei momenti peggiori.
La ragazza si avvicinò a noi e si avvinghiò al mio braccio «Cal! Sei stato bravissimo in campo oggi.»
Poi guardò Grace in segno di sfida «Tu cosa ci fai qui?»
«Non serve che urli, la tua voce da gallina si sente benissimo a miglia e miglia di distanza, barbie.» sbottò Grace.
Jenny mi allontanò e tentai di trattenere una risata per quell'imbarazzante tentativo di fare la possessiva «Scendi da quel piedistallo, ragazzina. Cadere da lassù fa male. Solo le popolari come me riescono a starci.»
Grace sbuffò «Per carità, non sia mai che ti rubi il tuo amato piedistallo. Ma rispondi a questa domanda, dovrebbe essere abbastanza semplice: quand'è che hai capito che non avresti mai potuto contare sull'intelligenza?»
Jenny la guardò a bocca aperta, non sapeva più cosa risponderle, così si girò sui tacchi e se ne andò.
I miei compagni di squadra uscirono dagli spogliatoi e mi salutarono con un cenno del capo, poi videro Grace e salutarono anche lei «Guardate chi c'è! La nostra più grande fan.»
Lei ridacchiò e li salutò educatamente.
Ben e Sam la presero e la sollevarono da terra mettendola seduta sulle loro spalle.
«Ragazzi, non portatela troppo lontano: abbiamo un conto in sospeso noi due.» dissi facendole l'occhiolino quando si girò a guardarmi. Lei arrossì ancora e tornò a concentrarsi per non cadere.
Oh, sì. Decisamente un grande conto che intendevo farle pagare.
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