Capitolo 18
GRACE
Come ogni mattina, la sveglia suonò a un'ora indecente. Persino Draco fece un'espressione scocciata sentendo quell'orribile suono.
Sì, avevo chiamato il gattino Draco come uno dei maghi della saga di Harry Potter... un micetto tanto bello doveva avere un nome altrettanto bello.
Mi alzai dal letto e mi stiracchiai, poi guardai il gattino «Andiamo a mangiare qualcosa, ti va?» gli chiesi. Lui, ovviamente, non mi capì.
Misi un paio di jeans e una maglietta sopra con un cardigan, dato che quel giorno era particolarmente freddo, poi uscii dalla camera con il gattino in braccio.
Feci colazione con calma e osservai Draco bere tutto il latte che gli avevo messo in una ciotola.
Alan mi raggiunse e mi salutò con un bacio tra i capelli, poi si sedette di fronte a me.
«Buongiorno, fratellone.» esclamai felice.
Sei così felice perché ieri Caleb ti ha dato la buonanotte, forse? pensai, ma subito scacciai quell'idea dalla testa. Ci mancava solo quella.
«Sbrighiamoci o faremo tardi a scuola.» mi disse terminando la sua fetta di pane tostato con burro e marmellata. Annuii e portai Draco in stanza. Misi le Vans e presi giacca e zaino per poi raggiungere mio fratello davanti al portone della casa.
Quella mattina pioveva, così andammo in macchina e ci mettemmo lo stesso tempo del tragitto a piedi dato che c'era molto traffico.
Quando arrivammo, salutai Alan e raggiunsi di corsa il mio gruppo di amici, che salutai non appena mi notarono.
«Ti vedo raggiante questa mattina. Cos'è, hai una sorta di metereopatismo inverso?» chiese Mel ridacchiando.
Presi dall'armadietto i libri che mi servivano e le sorrisi «È così strano vedermi felice?»
Lei ammiccò «Scommetto che c'entra Davon.»
Mi colpii la fronte con la mano «Cavolo, ragazze. Non potete immaginare che grande idea mi è venuta in mente! A mensa ve la spiego, ora dobbiamo andare in classe.»
Presi Thomas a braccetto e ci avviammo verso la nostra aula.
Quel giorno avrei messo in atto il primo punto del mio piano per vendicarmi del biondino, il quale prevedeva che vedesse me e Davon insieme. Avevo notato quanto gli desse fastidio vederci insieme e dato che lui continuava a farsi vedere apposta con la barbie, io l'avrei ripagato con la stessa moneta con Davon.
In mensa spiegai il mio piano alle ragazze, le quali scossero la testa «Si incazzerà davvero tanto.» disse Mel addentando la sua mela «Tu non lo conosci: è davvero molto possessivo, e se è vero quanto ti ha detto lui dentro a quell'armadio, che, a proposito, vorrei davvero capire come siete finiti lì dentro, vederti con Davon lo farà andare giù di testa.»
Io alzai le spalle «Se lo merita.»
Lei scacciò l'argomento con un gesto della mano, poi sospirò «Avete notato quanto è ingiusta la vita? Tutti i ragazzi più belli o sono dall'altra parte del mondo o sono gay.»
Robert la guardò male «Ehi...»
Mel ridacchiò «Tu sei l'eccezione, amore.»
Alzai gli occhi al cielo e finii di mangiare.
Terminate le lezioni, scrissi a Davon che stavo per uscire e lui rispose con un'emoticon sorridente e un pollice alzato.
Il caso volle che uscissi proprio nel momento in cui anche il biondino stava uscendo, così lo presi come un segno del destino e attuai il mio piano di vendetta.
Lo vidi con la coda dell'occhio e approfittai del momento per abbracciare Davon e sorridergli. Lo baciai sulla guancia e lo sentii ridere.
Caleb, poco distante da noi, assottigliò lo sguardo, e riuscii a notare il muscolo della sua guancia guizzare, segno che stesse stringendo i denti.
È troppo facile cosi, biondino.
«Cos'è tutta questa dolcezza, oggi?»
Mi allontanai e gli sorrisi «Andiamo, così ti spiego tutto.»
Lui annuì e mi baciò tra i capelli, mise il braccio sulle mie spalle e ci incamminammo verso il lago, mentre gli spiegavo dettagliatamente il mio piano.
Quando terminai, lui ridacchiò «Sei una canaglia, lo sai?» mise la mano sul mento e strofinò le dita sull'accenno di barba che si stava lasciando crescere «Ma ti aiuterò: non mi va troppo a genio quel Caleb, ed è ora che la smetta di giocare così con i tuoi sentimenti.»
Lo fermai «Io non provo niente per lui, se non irritazione, magari.»
Lui mi guardò con sufficienza «Bella, non tentare di nascondere ciò che provi con me. Non faresti tutto questo teatrino se lui ti fosse davvero indifferente come dici.»
Rimasi zitta.
Davon ammiccò «Tranquilla, non te ne sto facendo una colpa: è davvero un figo, sarebbe impossibile rimanere indifferenti a tanto ben di Dio.»
Spalancai gli occhi «Davon!»
CALEB
Quel coglione le stava troppo vicino, mi stava facendo innervosire. Se l'avesse toccata ancora, gli avrei tagliato le mani.
Okay, ti stai rendendo conto che stai seguendo delle persone? Tu non stai bene, pensai, ma ad ogni modo non smisi di rincorrere Grace e Davon per mezza Chicago. Non sopportavo che qualcun altro la toccasse, e non sopportavo che lei si sentisse così a suo agio con lui.
Li guardai camminare mano nella mano, ridendo e scherzando, per almeno un'ora, prima che si decidessero a fermarsi. Si sedettero su una panchina e lui mise il braccio sulle spalle della mia Grace avvicinandola a sé.
Strinsi forte i pugni.
Lei lo guardò quando lui le disse qualcosa di divertente, e alzò gli occhi al cielo.
Okay, basta. Ti stai rendendo ridicolo.
Tornai a casa, non salutai nemmeno i miei fratelli. Salii in camera e aprii l'armadio tirando poi fuori da una scatola la bottiglia di vodka che tenevo nascosta per le emergenze. E quando ero arrabbiato, bere mi aiutava a calmarmi e a non pensare.
GRACE
Quando finimmo di parlare di me e delle mie disgrazie, Davon mi confessò di esser riuscito finalmente a parlare con il ragazzo per cui aveva una sorta di cotta, un certo Harry Johnson, e mi fece vedere una sua foto... complimenti alla mamma, insomma.
Mentre ne parlava, il suo sguardo era sognante e non smetteva un secondo di sorridere. Ero davvero felice per lui.
Il telefono squillò nel mio zaino, così chiesi scusa a Davon e risposi senza guardare il mittente, consapevole che fosse Alan.
«Tranquillo, Alan, sto per tornare a casa.» dissi velocemente.
Davon ridacchiò.
«No, uhm, sono Aaron.»
Allontanai il cellulare dall'orecchio e guardai il numero che, effettivamente, non avevo salvato.
«Scusami, hai bisogno di qualcosa? Il gatto è a posto?»
«Sì, sì, non è lui il problema. È Caleb.»
Sospirai «Che cos'è successo questa volta? Cosa c'entro io?»
Lui imprecò «Non ne ho idea, so solo che è in camera sua ubriaco fradicio e non fa altro che chiamarti. Noi non riusciamo a farlo ragionare e non ci vuole nemmeno parlare, dice che parlerà solo con te.»
Rimasi a bocca aperta «Oddio, uhm... okay, arrivo. Grazie per aver chiamato.»
Mi salutò e riattaccò.
«Che succede?» chiese Davon preoccupato. Scossi la testa e scrissi rapidamente ad Alan che stavo andando da Caleb e che sarei tornata più tardi a casa.
«Quel cretino di Caleb si è ubriacato e ora sta dando i numeri.»
Salutai Davon con un bacio e gli promisi che l'avrei aggiornato sulla situazione, poi mi incamminai verso la fermata del bus.
Durante il tragitto, mi mordicchiai le unghie dall'agitazione: chi diavolo si ubriaca così nel pomeriggio?
Alan rispose dopo qualche decina di minuti al mio messaggio:
Sorellina, non serve inventarsi scuse: se vuoi restare da Cal anche questa notte a me sta bene, SE mi prometti che non combinate niente (sai a cosa mi riferisco), altrimenti lui se la vedrà con me e tu te ne starai chiusa in camera fino ai cinquant'anni.
Ma che diavolo andava a pensare? Decisi di non protestare, anche perché ormai ero arrivata, e misi il telefono nello zaino.
Corsi fino alla porta e bussai un paio di volte, Aaron mi aprì subito «Grazie al cielo sei arrivata! La situazione si sta facendo ingestibile. Ad un certo punto ho pensato che non volessi venire...»
Già, lo pensavo anche io e invece eccomi lì.
Mi accompagnò fin davanti alla porta chiusa della stanza di Caleb e bussò lievemente, poi mi guardò «Buona fortuna.» disse scappando al piano inferiore e lasciandomi lì da sola.
Okay...
Aprii la porta e mi guardai intorno nella stanza buia. Accesi la luce e finalmente vidi Caleb seduto a terra, con la schiena appoggiata al muro e i capelli tutti scompigliati come se ci avesse passato le dita troppe volte.
Quando mi vide, sorrise «Guarda un po' chi c'è. Non dovresti essere a divertirti con Davon? Eh, tigre?»
Entrai nella stanza e mi richiusi la porta alle spalle «Mi spieghi che ti sta succedendo?»
Lui scosse le spalle «Be', la vodka sta entrando in circolo e-»
«Sono seria, Caleb.»
Lui alla fine mi guardò negli occhi «Come mi hai chiamato?» biascicò.
«Caleb, non è forse il tuo nome?»
Non rispose, abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi.
«Aaron mi ha chiamato dicendomi che fossi fuori controllo. Vuoi spiegarmi?»
Scosse la testa. Si alzò in piedi e barcollò verso di me. Continuava a non guardarmi, come se si vergognasse o pensasse che l'avrei giudicato. La verità è che fossi preoccupata per lui.
Caleb si appoggiò allo schienale della sedia, il quale non lo resse e si rovesciò. Prima che potesse cadere, però, mi affrettai a sorreggerlo ma caddi sotto al suo peso. Imprecai quando sbattei il fondoschiena a terra e mi strinsi a Caleb quando entrambi finimmo sul pavimento. La sua testa era ferma sul mio petto, il resto del suo corpo mi teneva ancorata a terra.
Cominciò a fare respiri spezzati, tremava. Stava... piangendo?
«Mi dispiace, sono un coglione.» mormorò.
Mi guardai intorno cercando di capire cosa fare «Uhm... se ti alzi ne parliamo con calma, okay?» chiesi cercando di allontanarlo.
«No, ti prego, non allontanarti da me.» continuò a farfugliare.
«Caleb, hai bisogno di farti una doccia e di metterti a letto, non senti che stai parlando a vanvera?»
Lui mise le mani ai lati delle mie spalle e si tirò su quel tanto che bastava per riuscire a guardarmi negli occhi. Una lacrima finì sulla mia guancia, i suoi occhi erano rossi e ridotti a due fessure.
«Lo sapevo che il mio nome detto da te sarebbe stato bellissimo.»
Continuò a fissarmi senza mai sbattere le palpebre «Cosa mi stai facendo?» sussurrò.
Non capivo «Non ti sto facendo niente.»
Lui scosse la testa «Sì che lo sai. Dimmelo. Perché mi fai questo? Cosa ti ho fatto?»
Cercai di allontanarlo quando il tono della sua voce cominciò ad aumentare «Non ti capisco.»
Lui rimase fermo sopra di me «È solo una settimana che sei qui e già mi hai incasinato la testa. Non sono più me stesso e continuo a fare cazzate.» appoggiò la fronte sulla mia e un'altra lacrima mi bagnò il viso.
«È tutta colpa tua.»
Perfetto...
«Quando bacio quell'oca di Jenny immagino sempre te al suo posto, è normale?»
Decisi di ignorare il paragone Jenny-oca perché altrimenti avrei cominciato a ridere a sarebbe stata dura smettere, perciò analizzai a fondo tutto il resto della frase.
Scossi la testa «Non lo è, ma tu sei un pervertito e la tua mente funziona diversamente da quella degli altri.» dissi sorridendo.
Ridacchiò e sospirò «Sai sempre cosa dire in ogni momento.»
Magari fosse vero...
«Dai, andiamo a letto ora.» lo incitai.
Rise ancora «Wow, quanto sei maliziosa.» si tirò su e mi prese per mano. Lo accompagnai al suo letto e Caleb ci si buttò a peso morto, trascinandomi con sé.
«No: ora tu ti riposi, io vado a casa.»
Mi strinse in un abbraccio che mi tolse il respiro «Non puoi lasciarmi da solo proprio ora.»
Perfetto, non sarei mai più tornata a casa mia.
«Stai con me, non lasciarmi. Ti prego.»
Sentii uno strano calore nel petto... era compassione?
Forse, o magari ti stai innamorando, pensai. Poi scossi la testa: era da escludere. Okay, cominciavo a provare dei "sentimenti" per lui, ma di certo non si trattava di amore.
Magari amicizia... ecco, quella avrei potuto gestirla sicuramente meglio.
Ma non fare la stupida! È tutto tranne che amicizia.
Sospirai. Con il cervello in guerra con il cuore mi era difficile ragionare. Caleb cominciò a respirare più lentamente e la stretta delle sue braccia si allentò: si era addormentato.
Okay, cercando di essere il più razionale e sincera possibile, potevo ammettere che forse stavo iniziando a provare qualcosa per lui. Ma alla fine era come il mio ex: mi avrebbe illusa, usata e gettata via. Non avevo bisogno di rivivere quell'esperienza. Ripensai a quello che mi aveva detto poco prima: "quando bacio Jenny vedo te". Lo dovevo prendere sul serio o lasciarlo perdere, dato che era ubriaco?
È anche vero, però, che gli ubriachi dicono sempre la verità.
Sospirai.
Il gattino nero si arrampicò sul letto e si stese sulla mia pancia. Lo accarezzai e anche lui si addormentò in poco tempo.
«Anche quel gatto mi ricorda te.» mormorò Caleb al mio fianco, facendomi sussultare.
«Pensavo dormissi.»
Lui scosse la testa e mi strinse «Non voglio sprecare il tempo che passo con te a dormire.»
Mi morsi il labbro inferiore e cambiai argomento «Cosa intendi dire con il gatto che ti ricorda me?»
«Ha due personalità: quella stronza e quella fragile.» mi mostrò il braccio pieno di graffi «E come puoi vedere, adora mostrare più la prima. Raramente mostra quella fragile, ma mi basta sapere che c'è per ricordarmi che, nonostante adori passare il suo tempo a graffiarmi, ha bisogno di me.» fece una breve pausa «Non mi piacciono i gatti, ma ora che ho conosciuto questo qui, credo che non potrei più farne a meno.»
«Non... non capisco cosa intendi.»
O forse l'hai capito benissimo ma vuoi sentirtelo dire direttamente, pensai.
«Intendo dire che, come con questo gatto, non riuscirei più a fare a meno di te, Grace.» non appena terminò la frase, il respiro si fece pesante, segno che si fosse addormentato. Sul serio, questa volta.
Che gran casino. Come avevo potuto finire in un guaio simile? Dovevo prendere sul serio quelle parole o no? Se ne sarebbe ricordato il giorno dopo?
Entrambi eravamo troppo orgogliosi per ammettere quello che pensavamo l'uno dell'altra, ci veniva più facile nasconderci dietro a giochetti e provocazioni.
||Vi ricordo che se volete potete venire su Insta (amandamay_wattpad)||
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