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Capitolo 16

CALEB


Non riuscivo ancora a credere che mi stessi realmente portando a casa un gatto. Non avevo mai avuto un gran feeling con gli animali, tuttavia mi stavo prendendo la responsabilità di accudirne uno. Da pazzi.

Arrivammo davanti a casa, lei con il suo gattino tra le braccia, io con quell'ammasso di peli neri raggomitolato sulla mano. Lo guardavo perplesso mentre quella creatura si guardava intorno spaventata, ma sembrava felice di stare sul palmo della mia mano, al caldo. Era talmente piccolo che sicuramente l'avrei perso centinaia di volte se non lo avessi tenuto chiuso in camera per qualche settimana.

Arrivati davanti alla porta, cominciai a bussare insistentemente affinché i miei fratelli mi sentissero e mi venissero ad aprire, dato che avevo le chiavi di casa nello zaino e non mi andava minimamente di mettermi a trafficare per cercarle.

«Smettila di fare quella confusione o spaventerai i gattini.» mi riprese Grace guardandomi male.

Sospirai e smisi di bussare, aspettando pazientemente che qualcuno venisse ad aprirmi.

Finalmente Jace venne ad aprirci, e rimase stupito nel vederci insieme... di nuovo.

«Ragazzi! È tornata Grace!» gridò alle sue spalle.

«Ciao, Jace!» lo salutò lei sorridendo.

I miei fratelli scesero le scale correndo e ci raggiunsero alla porta, salutarono Grace ignorandomi e la fecero entrare lasciandomi fuori. Mi chiusero la porta in faccia e li sentii parlare animatamente con la ragazza.

No, ma, scusatemi? pensai arrabbiato.

Bussai nuovamente e, quando mi aprirono, entrai in casa mia.

«Wow, che ti è successo? Ti hanno picchiato?» mi chiese Aaron ridacchiando.

Scossi la testa sviando il discorso «Nient'affatto.»

«Oh, ma che carino! Un gattino nero!» esclamò Austin togliendomi di mano la palla di pelo.

Strisciai il palmo sui pantaloni e strinsi le braccia al petto «Già, resterà con noi... pare.»

Mio fratello mi guardò dubbioso «Da quando in qua tu vuoi un gatto?»

«Senti, fatti i cazzi tuoi. Resterà con noi, fine della storia.» sbottai, poi guardai Grace e le indicai le scale «Tu vieni con me.»

Presi nuovamente il gatto dalle mani di Austin e cominciai a salire le scale seguito da Grace, per poi entrare in camera mia. La ragazza chiuse la porta e lasciò libero il gattino, poi mi guardò male «È la prima e ultima volta che mi dai un ordine, chiaro?»

Finsi di non aver sentito e mi stesi dolorante sul letto, apprezzando la morbidezza dei cuscini.

Grace mi si avvicinò, restando comunque a debita distanza, e inarcò un sopracciglio «La prossima volta ti consiglio di prendertela con uno della tua stessa taglia...»

Finsi di ridere e le feci cenno verso il comodino «Piuttosto che prendermi in giro, vedi di fare qualcosa: non sopporto più il dolore.»

Lei disse di aspettare, sparì per qualche minuto dalla stanza per poi tornare con un sacchetto di ghiaccio e un panno. Si sedette sul letto, sempre mantenendo il più possibile le distanze, e lo appoggiò sulla mia guancia. Il contatto era lieve, ma piacevole. Lei mi guardò per qualche secondo, poi scosse la testa «Sei un disastro.»

GRACE

Mentre tenevo il ghiaccio premuto sulla guancia di Caleb, il mio telefono trillò segnalandomi l'arrivo di un messaggio, così lo presi dalla tasca dei pantaloni e lo lessi. Era di un numero sconosciuto, ma capii chi fosse non appena lessi il contenuto del messaggio.

Ehi bella, sono Davon. Mi dispiace per quel che è successo poco fa, non sono il tipo che predilige la violenza e quindi mi scuso per aver picchiato il tuo amico. Spero tu possa perdonarmi.

Gli risposi subito sorridendo.

Tranquillo: se l'è meritato. Non avrebbe dovuto anzitutto seguirci, e poi picchiarti in quel modo. Non stavamo facendo nulla di male.

Mentre aspettavo la risposta, grattai la testa al gattino sul mio grembo facendogli fare le fusa.

Grazie. Posso farti una domanda? Avrei voluto fartela oggi, ma alla fine è andata come è andata...

Il cuore prese a battermi velocemente. Lasciai il sacchetto del ghiaccio e mi concentrai totalmente sul cellulare.

«Smettila di messaggiare con chissà chi e curami.» piagnucolò Caleb.

«Taci.» lo zittii subito, le mani mi tremarono quando lessi "sta scrivendo" sullo schermo.

È un po' imbarazzante, ma ho bisogno di un parere da ragazza.

Dimmi tutto!

Caleb continuava a lamentarsi delle scarse attenzioni che stava ricevendo e lo zittii un'altra volta lanciandogli il sacchetto del ghiaccio in faccia. «Sei sleale!» borbottò.

Diciamo che mi piace una persona, ma non so come dirglielo. Ci conosciamo da poco ma provo davvero emozioni molto forti quando ci sto insieme.

Sentivo i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.

Sai come siamo noi ragazze... il modo più diretto è anche quello più giusto.

Lui visualizzò ma non rispose subito. Passò qualche istante durante il quale smisi di respirare, ma finalmente riprese a scrivere.

Credo tu stia fraintendendo. Quello in questione è un ragazzo. Sono gay, Grace. Pensavo l'avessi capito subito.

Spalancai la bocca mentre usai tutte le mie forze per realizzare quello che avevo appena letto. Lessi e rilessi quella frase una decina di volte.

Davon è gay.

Mi ero presa una bella cotta per un ragazzo gay.

Okay, Grace, riprenditi.

Digitai in fretta una risposta.

Oddio, mi dispiace tanto! Non me n'ero proprio resa conto. Comunque, okay, il consiglio è sempre lo stesso: sii diretto e metti le cose in chiaro subito.

Grazie, Grace. Sei un tesoro.

Poi mi si accese una lampadina: sapevo come avrei potuto vendicarmi di Caleb.

Figurati. Dav, devo chiederti un grosso favore. Ti spiego tutto domani. Dopo scuola vieni, vero?

Dopo la sua risposta affermativa, lo ringraziai e lo salutai, poi misi via il telefono.

«Perché sei così felice?» mi chiese Caleb dubbioso.

Scrollai le spalle «Così. Non posso essere felice?»

Lui continuò a guardarmi per qualche secondo, come se stesse cercando di comprendere i miei piani, ma alla fine si arrese e si mise seduto. Mi allontanai quando fu troppo vicino a me.

«Che stai facendo?» chiesi allarmata.

Lui cominciò a sfilarsi la maglietta, e ci riuscì dopo qualche imprecazione. La lanciò ai piedi del letto e si ristese «Questo.» disse semplicemente.

Aveva degli addominali davvero... grandi.

«Ehi, mi sciupi così.» ammiccò.

«Smettila di dire cazzate e vestiti, ti ammalerai altrimenti.» affermai alzandomi dal letto e andando verso il suo armadio per prendergli un cambio.

La mia idea principale era quella di allontanarmi il più possibile da lui, oltre che alla scusa di evitare di incollare il mio sguardo ai suoi addominali...

Le mie intenzioni furono vane nel momento in cui anche lui si alzò e barcollò verso di me.

Mi allontanai entrando per metà dentro al suo armadio e mettendo tra noi il mio braccio teso «Le distanze di sicurezza.»

Lui scosse la testa e mi spinse totalmente dentro l'armadio.

Mai fino a quel momento sperai che un qualunque armadio potesse portarmi a Narnia.

Caleb mi seguì e si richiuse le ante alle spalle facendoci piombare nel buio più totale.

«Ma che diamine fai?» sbottai cominciando a cercare l'uscita.

Tastai i vestiti, le pareti e qualsiasi cosa avessi a fianco sperando di aprire l'anta dell'armadio, ma non fu così.

«Lasciami immediatamente andare o giuro che ti-» mi interruppe con un bacio veloce.

Ma cos'aveva, la vista a raggi X per caso? Vedeva al buio come i gatti?

L'avrei ucciso, prima o poi. Me lo sentivo.

«Non ti azzardare mai più a fare una cosa del genere.» ringhiai allontanandolo con una spinta. Lo sentii imprecare, probabilmente avevo fatto pressione su un livido, ma non mi scusai.

«Altrimenti che mi fai?» chiese, sempre con quel tono presuntuoso.

Sospirai e incrociai le braccia al petto «Che cosa vuoi da me, Caleb?» ero esausta di quella situazione. Perché quanto più cercavo di stargli lontano, tanto più me lo ritrovavo ovunque?

«Non ne ho la più pallida idea.» ammise dopo un attimo di silenzio. Sussultai quando appoggiò la fronte sulla mia, ma non mi allontanai: ero davvero stanca di quella situazione ed ero intenzionata a finirla una volta per tutte.

«Te l'avrò già detto non so quante volte, ma te lo ripeto: non sono il tuo giocattolino. Non puoi pretendere che ti assecondi aspettando che tu capisca cosa vuoi davvero.»

Il suo sospiro mi solleticò la pelle «Lo so. Mi sento strano, ultimamente. Non sono nel pieno delle mie facoltà mentali.»

Rimasi immobile. Era la prima volta che avevamo una conversazione seria, era la prima volta che sentivo che le sue parole non avessero doppi fini, così lo lasciai continuare.

«Voglio essere sincero: inizialmente ero curioso perché sei la ragazza nuova, volevo averti e togliermi lo sfizio. Pensai che, una volta che ti avessi baciata, sarebbe passato tutto. Spoiler: non è stato così. Ho soltanto peggiorato le cose.»

Cercai di restare calma, di non offendermi alle sue parole.

«Dopo averti baciata, nella mia testa sentivo di volere di più. Ti vedevo come una sfida e ti volevo ad ogni costo. Ma non sono più sicuro che le cose stiano realmente così.» Chiusi gli occhi e cercai di metabolizzare tutto quello, ma era difficile.

«Non puoi trattarmi così.» dissi.

Lui annuì, la fronte sempre appoggiata alla mia.

«Lo so. Ma non ci riesco.» mormorò baciandomi.

Rimasi immobile, non mi allontanai, non mi avvicinai. Chiusi gli occhi e aspettai.

Per quanto odiassi ammetterlo, mi piaceva – in qualche modo – essere toccata da lui. Dovevo resistergli, ma non volevo.

Che gran casino.


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