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Capitolo 12

GRACE


Thomas ed io terminammo le nostre lezioni – prima quella di letteratura inglese, poi quella di storia e infine quella di arte con il professore che avevo denominato Patrick Dempsey per la sua somiglianza con quel gran bel pezzo d'attore – e ci avviammo verso gli armadietti per lasciare i libri.

Prima di uscire, chiamai Alan al telefono.

«Pronto?» rispose subito.

«Stasera ci vai anche tu alla festa di Rob?» gli chiesi.

«Sì, certo. Perché?»

Chiusi l'armadietto e mi ritrovai mio fratello a qualche centimetro da me. Ovviamente, non era solo.

Feci di tutto per ignorare il biondino «Perché mi chiedevo se potessi accompagnare me e le mie amiche dato che verranno da me a prepararsi.»

Alan alzò le spalle «Nessun problema.»

Annuii e lo salutai dandogli un bacio sulla guancia «Non torno ora a casa, esco con le ragazze. Ci vediamo più tardi.»

Lui mi fece l'occhiolino e uscì dall'edificio.

Il biondino non lo fece, ma sinceramente me lo aspettavo. Salutai Thomas e mi avviai verso i bagni delle ragazze: l'unico posto in cui non poteva assillarmi. Vi entrai e mi chiusi dentro.

«Tigre, esci da lì. Voglio parlarti.»

Rimasi ferma e in silenzio, pregando che se ne andasse.

«So che la porta non è chiusa a chiave e che potrei aprirla quando voglio, ma sono una persona educata e aspetto che lo faccia tu. Quindi, ti prego: apri questa dannata porta ed esci.» il tono della sua voce si alterò lievemente, ma non accennai a volermi spostare.

Quasi risi sentendolo autodefinirsi "una persona educata" dopo tutto quello che mi aveva fatto. Che ipocrita.

Mi guardai intorno e notai la finestra semiaperta, così mi balenò in testa un'idea.

Il biondino continuava a blaterare al di là della porta, mentre io mi calai fuori dal bagno dalla finestra, atterrando silenziosamente sul prato sottostante. Ridacchiai immaginando la faccia di quello stupido quando avrebbe scoperto che me n'ero andata.

Raggiunsi le mie amiche «Ce l'hai fatta!» esclamarono entrando in macchina. Salii e mi allacciai la cintura «Piccolo incidente di percorso.»

Melanie mi guardò dallo specchietto retrovisore «Caleb Walker?»

Il mio sbuffo la fece ridere. Mi sistemai i capelli dietro le orecchie e mi accasciai al sedile dell'auto mentre Mel partiva «Non mi darà mai tregua.»

Quando entrammo nell'enorme centro commerciale sentii tutta la mia energia prosciugarsi e un enorme peso sulle spalle che mi fece ingobbire.

Amber mi diede una gomitata sul fianco «Sarà divertente!» esclamò facendomi lamentare.

Entrammo nel primo negozio e cominciammo a guardarci intorno. Il vestito che cercavo era semplice e che avrebbe dato meno nell'occhio possibile. Le mie amiche puntarono su quelli più colorati e particolari.

«Amber, tu non sei di queste parti, giusto? Hai un accento particolare.» disse Mel girando tra i diversi manichini.

Amber si stava guardando allo specchio con davanti un vestito color menta. Storse il naso e lo rimise al suo posto «No, infatti. Mia madre è americana, ma mio padre è francese. Io sono nata in Francia, abbiamo vissuto per parecchi anni a Parigi ma ora ci siamo trasferiti qui a Chicago per il lavoro di mia madre.»

«Parigi! La città dell'amore...» mormorò sognante Melanie. Io mi limitai a scuotere la testa, chiusa nel mio cinismo.

«Torniamo ai vestiti, per favore? Voglio finirla il più presto possibile.» sbuffai.

Amber mi prese a braccetto e mi avvicinò a una serie di vestiti corti, scossi subito la testa «Non esiste.» esclamai incrociando le braccia.

Melanie mi si affiancò e mi prese per le spalle «Mi pare che tu non stia capendo l'importanza della festa di stasera: ci saranno tutti i ragazzi più belli della scuola, dobbiamo splendere. Senza parlare dei giocatori di football – tra i quali tuo fratello, come sai – loro sono dèi scesi in terra.»

Ridacchiai «Okay, non esagerare.»

«Hai capito cosa voglio dire. Ora tu entri in quei camerini e ti provi questo vestito.» disse risoluta passandomi la gruccia con il vestito.

Lo guardai con una smorfia ma decisi di non ribattere o non sarei uscita viva da quel centro commerciale.

Mi chiusi la tendina alle spalle e provai l'abito scuro. Effettivamente era molto semplice: le spalline erano molto sottili, con uno scollo a V neanche troppo provocante, il tessuto era morbido e di un nero lucido che, alla luce e visto da diverse angolazioni, brillava. Rimaneva più attillato sul petto mentre ricadeva morbido dalla vita fino all'orlo a metà coscia; non era malaccio. Per una festa in casa era più che giusto.

Uscii dai camerini e mi feci vedere e, come mi aspettavo, le mie amiche approvarono.

«Hai un paio di scarpe con il tacco?»

Scossi la testa «Non esiste. Metterò un paio di scarpe che ho già a casa. Sognatevi che metta i tacchi.» le guardai minacciosa.

Fortunatamente, non si fecero pregare troppo e acconsentirono alla mia unica richiesta.

Arrivammo a casa mia e, quando entrai, salutai Alan che era indaffarato con un qualcosa nel telefono.

«Ce ne avete messo di tempo! Sono proprio curioso di vederti con un vestito. Penso di averti vista indossarne uno solo perché mamma e papà ti costrinsero il giorno della nostra comunione...» ridacchiò.

Strabuzzai gli occhi e lui se ne accorse. Appoggiò il telefono sul tavolo e si passò una mano tra i capelli. Era la prima volta che lo sentivo parlare dei nostri genitori con così tanta naturalezza e davanti a degli "sconosciuti", per giunta.

«Uhm... meglio che vi andiate a preparare o faremo tardi.» disse accennando un sorriso.

Indicai la strada per la mia camera alle ragazze e mi fermai in cucina con la scusa di prendere dell'acqua.

Quando fummo soli, Alan mi abbracciò «Scusa, non so come mi sia venuto fuori così.»

Lo strinsi a mia volta e mi concessi un sospiro «Tranquillo, non possiamo continuare a viverla come se fosse un tabù.» mormorai contro la sua spalla.

«Che cosa è un tabù?» chiese qualcuno alle mie spalle.

Sussultai e mi allontanai da mio fratello girandomi per fulminare con lo sguardo il biondino «Che ci fai qui? E perché origli le conversazioni altrui?» sbottai.

Lo odiavo.

Lui mi sorrise «Tuo fratello ed io andremo insieme alla festa. E non era mia intenzione origliare, è successo per caso.»

Assottigliai lo sguardo e cercai di capire se fosse sincero o se, come sempre da quando ci eravamo conosciuti, cercasse solo di ingannarmi.

Decisi di lasciar perdere e raggiunsi le mie amiche nella mia camera.

Il biondino non aveva fatto altro che fissarmi in cucina, avrei tanto voluto togliergli gli occhi e farglieli mangiare a quel maniaco!

«Mi sembri un po' arrabbiata.» ridacchiò Melanie infilandosi il suo vestito verde smeraldo.

Mi levai le scarpe e le cacciai sotto al letto «Quel montato è in cucina con mio fratello, non lo sopporto. Ha intenzione di prendere il domicilio in questa casa?»

Le mie amiche risero «Non ci pensare adesso e vestiti che siamo in super ritardo.» Avevano ragione.

Misi il mio vestito e presi dall'armadio un paio di stivaletti con il tacco non troppo alto, gli unici sui quali riuscivo a camminare senza sembrare una mucca zoppa. Li indossai e chiusi le cerniere ai lati.

Mi misi davanti allo specchio per sistemarmi i capelli e decisi di legarli in una coda alta, mi truccai leggermente e misi un paio di anelli non troppo grandi alle orecchie. Misi nella pochette nera un po' di soldi e le chiavi di casa, poi mi spruzzai sul collo scoperto un po' di profumo.

«Siete pronte lassù?» gridò mio fratello dalla cucina.

Guardai Amber e Melanie, le quali mi fecero il segno dell'okay con la mano, e presi una giacca in pelle per coprire le spalle nude.

«Arriviamo!» gridai in risposta ad Alan.

Scendemmo le scale e lo raggiungemmo in soggiorno. Entrambi si erano cambiati, ora indossavano una camicia nera con i primi bottoni slacciati, dei normalissimi jeans e la giacca della squadra di football sulle spalle.

Non appena ci fermammo davanti a loro, gli sfuggì un "wow" quasi impercettibile.

«Mai un colore che non sia il nero tu, eh?» sghignazzò mio fratello scuotendo la testa.

Alzai le spalle in risposta.

Salimmo in auto e raggiungemmo la casa di Robert sotto le indicazioni di Melanie. Ci mettemmo un po' a causa del traffico, ma riuscimmo comunque ad arrivare in orario.

La musica si sentiva già dal cortile e, quando scendemmo dall'auto, alcuni ragazzi della squadra di football ci vennero in contro per salutare Alan e Caleb, ignorandoci bellamente.

«Andiamo. Robert mi ha appena scritto che lui, Jamie e Thomas sono in cucina.» disse Melanie.

Amber ed io la seguimmo attraverso il salotto, nel quale tutti i mobili erano stati spostati lungo le pareti per creare una sorta di pista da ballo. Scostammo un paio di coppiette che si baciavano lungo il corridoio e raggiungemmo finalmente i ragazzi.

«Eccole, finalmente!» esclamò Thomas alzando il bicchiere verso di noi.

«Volete bere qualcosa? Abbiamo un barista personale grazie a Caleb: uno dei suoi fratelli è molto bravo a fare i drink.» gridò Robert per sovrastare il volume della musica. Indicò con un cenno della testa il ragazzo che stava preparando un drink a una ragazza.

Quando lui ci guardò, riconobbi Jace. Stavo per salutarlo quando Amber al mio fianco gridò, poi si mosse verso di lui «Oh, mio dio! Jace!»

Lui strabuzzò gli occhi, lasciò cadere il bicchiere della ragazza - che si lamentò ubriaca - e corse ad abbracciare la mia amica sollevandola da terra.

«Amber! Non riesco a crederci: sei davvero tu!»

La strinse così forte che lei non aveva neanche più bisogno di aggrapparsi a lui, quindi gli posò le mani al petto e rise.

Okay, che cosa stava succedendo?


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