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Capitolo 5:




"So look me in the eyes

Tell me what you see

Perfect paradise

Tearing at the seams

I wish I could escape

I don't wanna fake it"

Image Dragons, "Bad Liar"

...

I lampeggianti invasero tutto il vicinato. 

E ora?

Avevo aspettato così tanto quel momento che, ora, non avevo il coraggio di fermarmi. Feci dei passi indietro precipitandomi lontano.

Mi avevano trovato.

Mi avevano collegato all'omicidio.

Erano venuti ad arrestarmi.

Il cuore prese a battermi sempre più veloce nel petto.

Afferrai il cellulare e chiamai Niall sperando che mi rispondesse il prima possibile. 

«Louis?». Sbadigliò.

«Cazzo Niall, aprimi la porta», quasi urlai appena mi fermai davanti casa. Lo sentii girare la serratura e mi guardò corrugando la fronte.

Entrai di corsa e chiusi la porta spingendola con tutto il peso del corpo.

«Che...stai facendo? I-Io pensavo stessi dormendo. Non ti ho nemmeno sentito uscire», balbettò a bocca aperta allontanando il cellulare dall'orecchio.

«Stavo facendo un giro d'accordo? Per non svegliarti volevo andare a casa mia e lì li ho visti», sussurrai buttandomi sul tappeto ancora sconvolto.

«Non sto capendo, visto chi?». Era visibilmente preoccupato e assonnato.

Mi dispiaceva così tanto stressarlo.

«La polizia, era parcheggiata sul viale di casa mia», riuscii a dire tremando mentre mi tolsi il giubbotto. Quella sola rivelazione lo riportò nel mondo reale.

«Dobbiamo pensare a cosa dire». Spalancò gli occhi sedendosi accanto a me con fare nervoso.

«Tu ne rimarrai fuori, qualunque cosa ti chiederanno». Lo bloccai subito voltandomi verso di lui, scosse la testa guardandomi negli occhi e dicendo: «Non sei l'unico a tenere questo segreto, faccio parte anche io di questa storia».

Abbassai gli occhi portandoli a osservare le mie scarpe, «Qualunque cosa dirò sapranno in anticipo che starò mentendo», aggiunsi giù di morale sentendomi fuori luogo, come se fossi solo un peso.

Lui si alzò e tornò da me con in mano uno scontrino, «Io ho ordinato una pizza d'asporto, l'ho recuperato dalla spazzatura quando me l'hai... detto», spiegò sventolandolo davanti ai miei occhi.

Ne rimasi sorpreso.

«Sei stato intelligente a tenerlo, però ero con te prima, dopo sono andato in quel locale», ricordai appoggiando la testa contro il tessuto del divano, «Io non dirò di essere rimasto qui», aggiunsi sapendo che non lo avrei mai, per nessuna ragione al mondo, messo nei guai.

«Perché sia credibile dobbiamo dire esattamente le stesse cose», sottolineò, «Diremo che abbiamo ordinato una pizza in due, una capricciosa per l'esattezza. Poi tu sei andato a ballare e sei ritornato a dormire qua», ripeté con convinzione e io alzai un sopracciglio.

«Io no-». Mi fermò portando una mano davanti, «Ripetilo», mi obbligò scandendo bene le parole, sbuffai e lo ripetei fino a quasi convincermene.

«Perché lo fai?»

«Perché tutti meritano una seconda possibilità». Prese fiato, «E poi mi sono sempre chiesto come sarebbe stato entrare in CSI!», scherzò ridendo.

«Peccato Nì che siamo dalla parte dei cattivi»

«Non siamo con i cattivi, è solo sfiga la nostra». 

Lo fissai per poi scoppiare a ridere seguito da lui. Aveva ragione dopo tutto, era solo sfiga.

Il piano lo avevamo messo giù nel migliore dei modi. Se lo avessimo seguito tutto sarebbe andato per il meglio o per lo meno dovevamo provarci.

Quelle giornate sembravano così lunghe in confronto a prima; stavo iniziando a vivere nella paura che qualcosa sarebbe cambiato per sempre e forse era già così. Il solo pensiero che mi portassero via da ciò che avevo sempre lottato per avere mi tormentava. 

La sveglia suonò, con il volume al massimo, facendoci spaventare, «Niall, dobbiamo andare. Muoviti». Lo scossi finché non aprì gli occhi.

«Mamma, ancora cinque minuti», borbottò prendendo il cuscino e coprendosi la faccia. «Muoviti dormiglione, è suonata la sveglia e siamo in ritardo».

Andai verso la cucina e riscaldai del latte per entrambi.

Ormai la nostra era diventata una piccola routine. Sveglia. Colazione. Bagno. Bar. Casa.

«Stavo pensando Lou», disse apparendo alle mie spalle ancora assonnato. 

«Dimmi»

«Perché non vieni a stare da me? In senso definitivo con tutto il necessario, in modo che tu non debba fare in continuazione rifornimenti di vestiti»

«Sicuro che non sarebbe troppo per te?»

«Ma va Tomlinson! Ormai mi sono abituato a questo e non è male fare le cose in due»

«Allora, se per te va bene, accetterei», risposi contento.

Gli spuntò un sorriso, «Ovvio! E tieni». Mi porse un piccolo mazzo di chiavi.

«Dopo il lavoro passo da casa mia e prendo le mie cose», conclusi sorridendo.

Non avevo mai condiviso casa per così tanti giorni, non mi ero mai trovato a dover pensare per due persone piuttosto che solo a me stesso, eppure non mi dispiaceva.

Erano passati giorni, la memoria non era ancora tornata, mi sforzavo di pensare e rivivere quella nottata però il mio cervello saltava un pezzo trovandomi già alla fine della vicenda. Forse avrei dovuto parlare con qualcuno che si intendeva di quelle cose.

Poco dopo andammo al lavoro trovando, finalmente, il nostro amico Stanley davanti al bar con le braccia incrociate.

«Ben tornato!», esclamai stringendogli la mano mentre lui ricambiò. «Su Niall che non abbiamo tutto il giorno», tuonò subito spingendo il biondo verso la claire che doveva sollevare.

«Sono contento anche io di vederti», sbuffò quest'ultimo abbassandosi per aprire la serratura e sollevarla.

Stanley era un ragazzo abbastanza per le sue, aveva i capelli castani scuro quasi sul nero e li sistemava con un alto ciuffo pieno di gel, gli occhi erano castani chiaro e aveva diversi tatuaggi sulle sue braccia. Sul volto aveva una leggera barba e un pizzetto sistemato alla perfezione. Ci teneva molto al suo aspetto fisico.

«Dov'eri finito?», chiese Niall.

«A fare rifornimento, hanno dei problemi a varcare il confine ultimamente», spiegò lui scocciato andando verso il ripostiglio. Niall spalancò la bocca, «E sei andato tu?», chiese poi indossando il grembiule. «Certo, se il carico non arriva da me io vado da lui». Era divertito.

«Sai che rischi?», presi parola sedendomi su una sedia. 

«Se no che gusto ci sarebbe?»

«Anche quello è vero»

«Intanto ho portato qualcosa per te». Mi guardò facendomi vedere un piccolo pacchettino di plastica.

Gli diedi una pacca sulla spalla facendogli l'occhiolino.

Proprio quello che mi serve.

«Così ci si rilassa un po'», si intromise Niall iniziando a lavare i bicchieri sporchi che avevamo abbandonato nel lavandino qualche giorno prima.

«Chi ha detto che è anche per te?».

Il biondo alzò gli occhi al cielo e riprese a lavorare non dandogli più retta.

«Dovremmo fare una serata delle nostre», aggiunse avvicinandosi a me e lasciandomi una gomitata. «Potremo organizzare», mentii non avendo la minima intenzione di divertirmi.

«Organizzo subito». Prese il cellulare. Qualche secondo dopo mi arrivò un messaggio su WhatsApp ed era lui che scriveva sul nostro gruppo.

Niall mi lanciò un'occhiataccia così andai ad aiutarlo, nel frattempo i primi clienti della mattina entrarono tenendoci occupati per gran parte del giorno.

«Quindi oggi usciamo?», domandai contrariato a Stan che era intento a passare una scopa sul pavimento. «Assolutamente», rispose risoluto mentre mi fece tenere ferma la paletta.

«Io non dicevo sul serio prima», mi lamentai andando a buttare tutto nella spazzatura sotto al bancone. «Ormai l'ho detto, non si torna indietro». Mi diede in mano la scopa per poi correre da due ragazze che avevano preso posto a un tavolo.

Niall alzò gli occhi al cielo sospirando, «È impressionante come ci provi con qualunque ragazza respiri», aggiunse prendendo tra le mani una tazza di caffè e portandola a un ragazzo seduto davanti a noi.

Asciugai le stoviglie e sistemai i bicchieri puliti al loro posto, sullo scaffale più in alto rimanendo in punte di piedi.

«Ciao, un caffè grazie». Quella voce alle mie spalle. Mi irrigidii.

«Scusami», richiamò lui cercando di attirare la mia attenzione, sconfitto mi resi conto di non poter nascondermi oltre.

Mi girai indossando il mio più bel sorriso, «Harry? Ciao!», esclamai come se fossi contento di vederlo.

Lui si appoggiò con i gomiti al bancone e si sedette sullo sgabello proprio davanti a me.

«Louis? Lavori qui?», domandò guardandosi intorno. «Sì. Caffè quindi?», tagliai corto e, senza nemmeno aspettare una risposta, sistemai la macchinetta.

«Ciao Harry», lo salutò Niall prendendo il mio posto come a volermi aiutare. «Ciao Nì, quindi lavorate entrambi qua».

No Harry abbiamo solo un grembiule con su ricamato il nostro nome ma non lavoriamo qua.

«Oh certo, da un po' di tempo in realtà». Si mise a ridere il mio amico spingendomi via. «Stan vieni a conoscere Harry!», urlò poi gesticolando e facendo, così, girare tutto il locale verso di lui.

Stanley lo guardò confuso, però si avvicinò ugualmente, «Piacere Stanley Cooper», si presentò quest'ultimo stringendogli la mano, qualche secondo più tardi si soffermò a guardarlo attentamente, «Tu sei...», iniziò a dire indicandolo mentre Harry annuì abbassando lo sguardo verso il pavimento.

«Oh», mormorò poi, probabilmente sentendosi in imbarazzo. «Non preoccuparti», disse subito il riccio facendo un timido sorriso.

«A te il caffè», si intromise velocemente Niall girandosi con in mano la tazzina che, inavvertitamente, gli rovesciò sulla maglia.

Harry di scatto si alzò allontanando il tessuto dal suo corpo, Niall sbarrò gli occhi e prese uno straccio iniziando a tamponarlo sulla macchia. «Cazzo scusami, davvero Harry non volevo», prese a ripetere dispiaciuto. «Non è successo niente», disse lui e portai lo sguardo su Stanley che stava pulendo il pavimento.

«Per farci perdonare oggi uscirai con noi».

No!

«Ma no Stan, probabilmente vorrà uscire con i suoi amici», mi intromisi cercando la sua approvazione. «Fa sempre bene uscire con gente nuova», continuò il mio amico non capendo la situazione.

«Potrebbe essere una buona idea, potrei portare anche Liam e Zayn», rispose invece Harry strofinandosi con forza la macchia di caffè.

Perché Stan doveva sempre essere così amichevole con gli sconosciuti?

Sbuffai rassegnandomi, non tanto all'idea di uscire, ma di passare del tempo con il mio incubo.

La giornata passò e arrivò il momento tanto atteso di riposarci.

Accompagnammo Stanley a casa e ci fermammo nel mio viale per sistemarmi una valigia con dei vestiti.

Andai in camera aprendo l'armadio, afferrai più capi possibili tra le braccia e li buttai sul letto, Niall si mise a piegarli e a incastrarli nella valigia in modo da farli stare tutti.

«Possiamo sempre tornare a prendere altro, tanto abiti qua dietro». Rise lui ricordandomi quel piccolo particolare.

Annuii sedendomi sopra in modo da riuscire a chiuderla e la caricammo nel bagagliaio della macchina. 

Guidai verso la mia nuova casa, tutto sembrava tranquillo e rilassato finché non inchiodai di colpo notando, ancora una volta, la presenza di qualcuno di indesiderato.

«Uhm», si lamentò Niall andando a sbattere contro il porta oggetti, «Ma che fai Lou?», aggiunse massaggiandosi il braccio con cui aveva colpito violentemente la plastica.

«C'è la p-polizia», balbettai in dubbio se fare un'inversione e scappare come i criminali o parcheggiare e affrontarli.

Decisi di prendermi le mie responsabilità così, avvicinai l'auto al marciapiede e feci un respiro profondo pronto a tentare di cavarmela con delle bugie.

Mi fermai a prendere la valigia e, sospirando, camminai a testa bassa verso la porta trascinandomela dietro.

Due poliziotti in divisa ci vennero incontro facendo aumentare i battiti del mio cuore.

«Niall Horan?», chiese uno dei due con in mano un foglio di carta, allungai la testa cercando di leggere qualcosa senza riuscirci. «Sì, sono io», rispose calmissimo, sembrava quasi recitasse talmente era tranquillo.

«Dovrei farle qualche domanda. Stiamo investigando sull'omicidio del ragazzo Nick Grimshaw. Stiamo facendo domande a tutto il vicinato», spiegò quel signore.

«D'accordo», rispose fermandosi davanti la porta di casa, «Entriamo». Fece segno il biondo aprendo.

«Lei è?», mi chiese poi guardandomi attentamente. «Louis Tomlinson», risposi seguendoli all'interno.

«Ottimo. Allora faremo delle domande anche a lei, se non le dispiace».

Annuii serrando la mascella.

«Allora, dov'eravate quella notte?», iniziò il poliziotto con gli occhiali da sole rimanendo in piedi e prendendo una penna dalla tasca del pantalone.

E se la mia macchina fosse stata fotografata da qualche telecamera vicino alla zona del delitto?

E se avessero già le prove che fossi stato io e stavano solo aspettando una nostra confessione per ammanettarmi?

...

Angolo autrice

So che la storia può sembrare lenta e noiosa però piano piano si metteranno insieme i pezzi del puzzle perciò votate, commentate, continuate a seguirla se vi piace e non odiatemi Stan perché è un personaggio che adoro!

Per domande o dubbi scrivetemi in privato e buona festa della befana a tutti!

G.

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