"93°: Scappatoie"
Antonio
Non posso più reggere questa situazione. È da una settimana che vedo il povero Michele costantemente in apprensione, anche se lui non si lascia andare troppo spesso alle lacrime come ha fatto oggi. Di solito sono io a piangere di notte, perché ho paura di stare qui, in questa cella, al buio. Lui è quasi sempre sveglio e anche se io cerco di non far rumore, lui si accorge sempre del mio malessere e mi raggiunge per tranquillizzarmi. Lui non è un tipo da carcere.
Lui deve essere libero di stare all'aria aperta, di amare chi vuole, di essere amato. Di vivere. Esatto: vivere!
Qui dentro non gli daranno troppo tempo per farlo, e se gliene daranno sarà solo una sofferenza in attesa dell'ultimo istante di vita.
Michele mi ha insegnato un mucchio di cose.
Adesso non solo so leggere, ma so usare anche dei paroloni che prima non mi sarebbero venuti fuori neanche a pagare. Adesso mi esprimo meglio e so anche scrivere. Lui è stato un ottimo maestro per me e ha avuto pochissimi giorni per insegnarmi... ma il tempo in cella sembra non passare mai e lui ha speso molte energie per starmi dietro e aiutarmi e mi dice sempre che facendo questo sta meglio anche lui. Com'era? "Se aiuti qualcuno è un bene per lui, ma anche per te. Ti senti bene quando fai del bene." E la verità è che non posso far altro che concordare.
"Antonio, ma sei impazzito?" mi chiede proprio lui, risvegliandomi dai miei pensieri.
"Michele, io ci passerò giusto un po' di tempo qua dentro. Tu, invece, resterai qui per mesi, se ti va bene, ma non ti faranno uscire."
"Ma scappare non risolverebbe le cose. Mi metterei contro la giustizia e dovrei vivere solo una vita da fuggitivo, da recluso, peggio di quanto non sia adesso. E poi... quanto vuoi che ci mettano a prendermi e sbattermi di nuovo in cella?"
Il tono di voce di Michele espreme soltanto una cosa: rassegnazione. Lui è rassegnato al suo destino e questo fa male. Il mio amico ormai è rassegnato ad una condanna che neanche merita.
"Non puoi arrenderti, Michele!" gli dico posando le mani sulle sue spalle e dandogli una leggera scossa. Il suo sguardo è perso nel vuoto e questo mi spaventa terribilmente. Ho troppa paura che da un momento all'altro perda completamente la ragione stando chiuso qui, tra queste quattro mura di ghiaccio che opprimono anche me. Lui si volta nella mia direzione e mi guarda. I suoi occhi sono spenti, più del giorno in cui l'ho conosciuto.
"Michele... io purtroppo non posso fare quello che ha detto il tuo amico... ma lui non ha affatto torto. Non puoi arrenderti, non ancora, almeno. Finché potrai continuare a respirare, non arrenderti mai!"
"Io non riesco più a credere a niente, signor commissario. La mia piccola sta soffrendo, Angela ha paura di uscire da sola e non vive più dai miei per colpa di mio fratello... ed io sono confinato qui dentro e non posso intervenire in alcuna maniera!"
Lo vedo appoggiare la fronte sulla sua branda e ogni tanto il suo corpo è scosso dai singhiozzi. Non l'ho mai visto fare così.
Mi dirigo subito verso di lui. Non fa alcun rumore, ma vedo il suo corpo scuotersi.
"Ehi! Mi senti, vero? Mi senti?" chiedo.
Lui fa solo un movimento con la testa. Niente di più e niente di meno. "Amico, ci sono moltissime persone che ti amano con tutto il cuore e faranno quello che tu non puoi fare per il semplice fatto che sei in questa topaia! Credimi: Angela e Dora non sono sole e riceveranno la loro giustizia!"
Christian
Apro la porta della cella di Michele, che era rimasta socchiusa, cercando di non farla cigolare, e ascolto tutta la conversazione tra lui, Antonio e il commissario. Michele non vuole ribellarsi perché non ne ha più le forze.
Devo fare quascosa... per lui e per Dora.
Richiudo la porta, sempre silenziosamente, con l'immagine del povero Michele che ha il viso appoggiato su quel vecchio materasso. Devo riuscire a fare qualcosa, anche a costo di corrompere quell'uomo. Devo aiutarli a riacquistare la libertà che Mattia ha voluto che perdessero. A qualsiasi costo.
Chiedo un permesso di un paio d'ore e decido di andare a casa di Angela. Magari Mattia si trova ancora lì.
Esco da quel posto, prendo la mia auto e salgo a bordo. Allaccio la cintura e parto, augurandomi con tutto me stesso che non mi venga uno scatto che mi porti a correre come un pazzo per queste strade.
Arrivo davanti a casa Genovesi e parcheggio la mia auto. Il mio cuore batte ad una velocità incredibile, ma devo calmarmi, prendere un respiro profondo e spiegare a Mattia qual è la mia proposta.
Suono il campanello e chi mi apre è... Angela!
"Christian! Ma che ci fai qui? Ci sono delle brutte notizie?"
"No... ma io devo assolutamente parlare con..." dico, ma se solo associo il nome Mattia a quel volto vengo pervaso da un senso di nausea.
"Con chi, Christian?" incalza Angela.
"Con... Ma... con Mattia!" riesco a dire, portando. le mani davanti alla bocca per fermare un conato di vomito che sopraggiunge non appena immagino quella faccia da schiaffi associata a quel maledetto nome.
"Mattia per fortuna non abita più qui... i nostri genitori l'hanno mandato via di casa, perché non faceva altro che torturare la mamma con le sue frecciatine contro il povero Michele! Mi hanno anche chiesto di tornare da loro, per questo sono qui... ma sto male per Michele, perché Mattia gliene dice tante e lui... Lui purtroppo non c'è... non può esserci e non può difendersi!"
Angela assume un'espressione di puro disprezzo mentre parla di lui e non posso darle torto, perché sarebbe assurdo.
"Che cosa vuoi dire a quell'uomo?" mi chiede, ironizzando non poco sulla parola: "Uomo".
"Voglio fargli ritirare la denuncia e pagarlo perché scarisca! Non c'è altra possibilità per far uscire subito tuo fratello di galera" le dico.
Angela mi guarda, completamente atterrita. Sento la sua delusione concentrata in quello sguardo color ghiaccio. Mi dice solo tre parole prima di lasciarmi andare, ma forse concordo con lei.
"Tu sei pazzo!"
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