"79°: Febbre e possibili scoperte"
Christian
Il commissario mi chiama e mi dice che la situazione di Michele è molto grave. Io non sono un medico e francamente non so proprio che cosa aspettarmi.
Entro nella cella e vedo Michele disteso sulla sua branda, con le mani davanti agli occhi. Corro verso di lui e cerco di spostargliele, ma gli lascio di scatto le mani.
Le sue mani sono bollenti e non oso neanche immaginare quanto possa essere in fiamme il suo viso. Lo sento respirare molto male e penso che lui e Dora, in qualche modo, siano collegati.
Insomma: a lei sale la febbre e a lui accade lo stesso. Lui ha un attacco di cuore e a lei viene una crisi.
Più collegati di questo credo sia impossibile.
Sospiro guardando le mani del mio amico, poiché queste coprono i suoi occhi, nascondendomeli.
Esatto! Il mio amico, perché è chiaro che per me Michele è esattamente questo e non potrebbe essere diversamente tenendo conto di com'è fatto, di quanto è buono.
"Ma che cosa ti succede, Michè?" chiedo.
Lui respira malissimo. La febbre lo sta portando ad affaticarsi anche solo per fare questo, nonostante sia immobile, sdraiato su una vecchia branda priva anche di una semplice coperta. Lui ha solo la forza di battere i denti per il freddo e questo, se possibile visto lo stato in cui sono, mi fa sentire ancora più male.
"Lei... lei non sta bene... Chris..." dice.
"Lo so, ma nemmeno tu stai bene, Michele!"
Sento la porta aprirsi ancora, mi volto verso l'entrata della cella e vedo un uomo con indosso un ampio camice bianco ed una valigetta del pronto soccorso.
"Dottore, finalmente!" esclamo, facendomi da parte in modo che il dottor Riccardo, il suo attuale medico curante, possa visitarlo.
"Farò quello che posso, agente, ma in queste condizioni non garantisco nulla." mi dice.
Lo vedo armeggiare con degli arnesi e capisco che sta preparando una flebo a Michele, forse per alimentarlo.
"Adesso ti farò un po' male, Michele! Togli la mano dal viso e tendi il braccio." gli dice il dottore.
Michele sposta la mano sinistra dalla sua posizione di partenza, lascia cadere pesantemente il braccio lungo il corpo, a contatto con il materasso duro di quella branda e il medico glielo scopre e vi inserisce un ago al quale la stessa flebo verrà applicata.
Michele non emette neanche un gemito. Continua solo a respirare molto affannosamente.
"Qui dentro c'è una medicina che dovrebbe portare la sua temperatura corporea ad abbassarsi, ma non può assumerla per via orale, almeno per ora."
"Cosa posso fare, allora, dottore? Io non sono capace di preparare flebo" dico sconsolato lasciandomi scivolare giù, contro la porta.
"Guardi e cerchi di immagazzinare più informazioni che può su come si fa. Io, sperando che mi facciano entrare qui dentro, cercherò di venire regolarmente a visitarlo, ma il ragazzo sta soffrendo troppo e questo dolore potrebbe stroncarlo anche in questo momento." spiega il medico chinando il capo. Si sente impotente tanto quanto mi ci sento io. Spero che Michele non sia condannato, perché non se lo merita affatto.
"Dottore... mi dica qualcosa di lei, la prego!"
Michele pronuncia quelle parole con un flebile soffio di voce e a me viene una gran voglia di scoppiare a piangere qui, in questo momento.
So perfettamente a chi si riferisce dicendo "Lei", e mi si stringe il cuore se penso che, anche adesso che è in carcere e che la sua vita rischia di spegnersi in ogni momento, lui si preoccupa per quella ragazza che, secondo quegli stupidi verbali, avrebbe cercato di violare, ma che, secondo i fatti reali, ha soltanto difeso.
L'ha difesa da un pazzo, maniaco e sadico come pochi, che ha cercato di strapparle i sogni, la vita e l'amore... la sua prima volta.
Michele non avrebbe mai potuto farle tutto questo. L'avrà sequestrata, certo, ma io so che non l'ha fatto con piacere. N È stato costretto.
Ricordo il giorno in cui Michele mi raccontò tutta la storia, senza tralasciare il minimo dettaglio e senza battere ciglio, come se sapesse che, nonostante tutti i miei sforzi e il prestigio che avevo acquisito durante la mia carriera di poliziotto, non avrei proprio potuto aiutarlo.
"Non posso dirtelo, Michele! Mi dispiace." gli dice il dottore.
"La prego... io non posso andare via senza sapere che lei sta bene, che sarà felice lo stesso, anche con qualcun'altro... non m'importa."
Non riesco a credere all'altruismo di questo ragazzo!
Lui sta lottando contro la febbre, una possibile condanna, e il suo primo pensiero è proprio per lei.
"Michele, cerca di calmarti e di pensare a te, ti prego!" dico precipitandomi verso la branda.
"Christian, non posso... io sono condannato, ma lei no! Lei deve vivere..."
È l'ultima cosa che dice prima di perdere i sensi, improvvisamente.
"Dottore, faccia qualcosa" gli dico. "Michele sta male! La prego, lo faccia rinvenire... faccia qualcosa... qualsiasi cosa!"
"Christian, per svegliarsi lui si sveglierà, ma io non posso fare altro, almeno per il momento. Dobbiamo lasciare che le cose seguano il loro corso, anche perché qui dentro non si può fare molto!"
"Che cosa posso fare, dottore?"
"Gli bagni continuamente la fronte con acqua fresca e aspetti dieci minuti e gli tolga la flebo!"
"Lei cosa farà adesso?" chiedo.
"Devo ritornare in ospedale, e anche in fretta. Mentre venivo qui mi è stato detto che Bruno è fuori pericolo, ma a Salvatore serve una trasfusione al più presto!"
Angela
"Dottoressa!" dico rivolgendomi alla donna che mi ha fermata dal distruggere l'ospedale durante l'ennesima crisi di nervi.
"Dimmi, cara" mi dice lei.
"Come stanno Bruno e Salvatore?"
"Bruno sta meglio. Non si è ancora ripreso da quello stato di incoscienza, ma è fuori pericolo. Per quanto riguarda Salvatore, però... ha urgentemente bisogno di una trasfusione. Hanno dovuto operarlo d'urgenza perché non riusciva a respirare, ma per fare questo l'emorragia non è stata drenata, quindi ha perso molto sangue e gliene serve molto di più... per... ecco..."
"Sopravvivere."
Pronuncio quella parola fatidica e le lacrime continuano a sgorgare dai miei occhi. Carmen, la madre di Dora che, saputo quello che è successo ai suoi figli è venuta qui di corsa, mi attira a sé e mi stringe forte per consolarmi.
"Qual è il suo gruppo sanguigno?" chiedo contro il petto della donna.
"Angela, non è un gruppo sanguigno molto comune. Potremmo essere sicuri che il gruppo sia quello solo se fosse un suo parente a fornircelo, ma..." inizia la dottoressa, ma la interrompo istintivamente.
"La prego, dica qual è."
Quando la donna pronuncia il nome di quel gruppo sanguigno io sussulto.
"Dovrebbe essere anche il mio. Forse siamo compatibili. Se dovessimo esserlo gli donerò io il mio sangue!" esclamo, sicura di me.
La dottoressa assume un'espressione attonita. "Angela, sei proprio sicura?"
"Assolutamente, dottoressa. Ma perché me lo chiede?"
"Tesoro... tu non sei la figlia biologica dei coniugi Genovesi, non è vero?"
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