"70°: Il mondo è crollato"
Dora
Oggi è esattamente il 31 maggio. Michele sta ancora seguendo una terapia, che però sembra procedere abbastanza bene.
Non so se esserne felice o meno, perché da una parte questo significa che lui è forte e si riprenderà del tutto molto in fretta... ma dall'altra, poiché Christian non ci ha fatto sapere più nulla sulla questione "carcere", ho maledettamente paura che appena Michele verrà dimesso verranno a portarlo via.
Il Sole batte forte sul mio viso mentre, come al solito, mi dirigo verso l'ospedale, non sapendo nemmeno in cosa sperare.
"A cosa stai pensando?" mi chiede Tommaso.
Oggi ha voluto essere lui, insieme a Teresa, ad accompagnarmi all'ospedale.
"Non so più in cosa sperare..."
"Vorrei saperti rispondere, ma purtroppo nemmeno io ci capisco niente."
"Non ti preoccupare, Tommaso... non ti preoccupare!"
Continuiamo a camminare, fino all'entrata di quel posto che non so se maledire o meno.
Entriamo tutti e tre e non appena metto piede in quell'ingresso che purtroppo mi è diventato troppo familiare percepisco una fortissima tensione... come se si stesse aspettando qualche sentenza... forse proprio quella sentenza.
Sento una mano fresca afferrare prontamente la mia. La riconosco subito come la mano di mia madre. Vorrei chiedere cosa succede, ma al contempo ho davvero paura della risposta.
"Piccola, Christian è dentro con Michele. Gli sta dicendo com'è finita la storia di quella deposizione..."
Mia madre risponde alla domanda che non ho avuto la forza di porre ad alta voce e mi unisco anch'io a quella tensione tremenda che ha colpito tutti. Lo stesso, a quanto pare, vale anche per Teresa e Tommaso, che sembrano congelarsi improvvisamente.
Credo che l'unico rumore che si può percepire nella stanza sia quello del battito velocissimo del mio cuore. Ti prego... se mi vuoi bene, fa' che quel giudice si sia fatto un esame di coscienza, ti prego, ti prego!
Sento una porta cigolare. Ora Michele è al pianterreno, in una camera non adibita alle emergenze, perché sta molto meglio. Trattengo il respiro. Non so nemmeno se sia lui o comunque qualcuno che conosco ad essere uscito da quella camera. So solo che sono nel panico.
Sento due mani posarsi sulle mie spalle e accarezzarle, come per calmarmi... per farmi rilassare!
Riconosco subito quel tocco gentile e rassicurante, ma stavolta, più che sentirmi sicura, ho una gran voglia di scoppiare in lacrime.
Sento il cuore battere ancora più forte di quanto già non facesse poco fa.
"Michele, di' qualcosa! Com'è andata?" chiede Salvatore, dalla parte opposta della stanza. Lo sento alzarsi e venirci incontro. Prende la mia mano sinistra e la stringe forte tra le sue, per darmi coraggio.
Se non fosse per il fatto che non riesco a concentrarmi su nulla di diverso da quella dannata sentenza riuscirei a dirgli che ha fatto una cosa veramente carina per me. È stato premuroso.
"Michele, per l'amor del Cielo, parla!" interviene mia madre. La sento muoversi e credo di aver capito che gli ha appoggiato una mano sulla spalla per incoraggiarlo a dirci la verità, per quanto dura essa sia. Voglio saperlo, accidenti! Voglio saperlo!
Michele
È mattina presto quando ricevo la visita di qualcuno che non mi aspettavo minimamente di vedere: Christian, il poliziotto che quel giorno mi ha convinto a fare la mia deposizione, per tentare di riscattarmi. La sua faccia non mi dice proprio niente di buono.
"Michele, ho bisogno di parlare con te!"
Sono in corridoio. Dopo un mese di terapia posso andare dove voglio... infatti domani mi dimetteranno.
"Allora entriamo nella camera in cui mi hanno messo" lo incalzo. Voglio che lui mi dica cosa succede, perché l'ansia mi sta letteralmente divorando vivo. Entriamo entrambi nella mia stanza. Non voglio parlare davanti ai miei amici... voglio essere io a dire loro come andrà a finire questa dannata storia.
"Christian, dimmi la verità" gli dico, mettendomi di fronte a lui e appoggiandomi con le spalle contro la porta.
"Non ci riesco, Michele! Non ci riesco!"
"Mi hanno condannato. È definitivo. Appena mi dimetteranno uscirò da questa prigione per finire in quella vera... in una cella... Vero?"
"Michele, mi dispiace tanto!"
Mi lascio scivolare sul pavimento, sempre con le spalle contro la porta, chino la testa e la prendo con entrambe le mani. Le tempie sbattono e gli occhi sembrano andare a fuoco. È finita! È tutto finito, sono condannato!
"Michele! MICHELE!" urla Christian, scuotendomi forte le spalle.
"Tanto non fa differenza. Che mi venga un colpo adesso o che io riesca a resistere fino al giorno in cui ci penseranno loro a togliermi di mezzo, cosa potrà cambiare?"
"Michele, non dire certe cose, ti prego! Non è ancora finita! Fino al giorno della condanna potremo ancora agire!"
"Christian, ma non capisci? Avete tentato tutto... tutto!"
"Beh, ci sarà qualcos'altro che si può fare, Michele! Dev'esserci per forza!"
Scuoto la testa per accennare un no e sospiro.
"Christian... voglio essere io a dire questa cosa agli altri. Ti prego!" gli dico tirandomi su. Mi appoggio alla maniglia per farlo. Barcollo leggermente, ma non m'interessa.
"Va bene. Se te la senti di farlo, va bene."
Usciamo dalla stanza ed io vedo i miei amici seduti in sala d'attesa. C'è anche la mia piccola, seduta accanto a sua madre, con le mani poggiate sul petto, come per impedire al cuore di schizzare via dal petto. Le sue spalle sono contratte, cosa che mi fa rendere conto del suo stato d'animo. È tesa, forse anche più di me.
Appoggio le mani sulle sue spalle, sfregandole con le dita per cercare di fargliele distendere almeno un po', ma non serve a nulla. Lei mi riconosce e mi chiama con un soffio di voce. Ha paura, e ne ho anch'io. Ne ho davvero moltissima.
"Michele, di' qualcosa! Com'è andata?" chiede Salvatore.
Si alza dalla sua sedia e ci viene incontro. Sento il cuore della mia piccola accelerare i battiti e vedo che lui le ha preso la mano per confortarla.
Lo ringrazio mentalmente e spero che lui possa sorreggerla anche quando le dirò la cosa che mi tocca dirle.
"Michele, santo cielo, di' qualcosa!" mi dice sua madre.
Ci provo, ma la voce mi si spezza istantaneamente.
La donna mi appoggia una mano sulla spalla, come per incitarmi a parlare, a dirle quella verità.
"Non... non ce l'ho fatta! Non ce l'ho fatta!"
"Michele! Cosa significa che non ce l'hai fatta?" chiede Salvatore, continuando a stringere la mano di Dora ed accarezzarne il dorso con il pollice. Lei, invece, sembra capire perfettamente cosa voglio dirle.
"Salvatore, non ce l'ho fatta!"
Lui mi guarda e dopo qualche istante i suoi occhi si spostano verso il viso della mia piccola, che è diventato completamente bianco.
"No... non può essere... Michele... Michele!" sussurra. Si aggrappa alla sedia sulla quale era seduta e cerca di alzarsi, ma crolla dopo qualche istante.
"Dora, ti prego, calmati!"
Bruno la guarda e rabbrividisce nel vederla tremare come una foglia. Io la sento tremare e non ho il coraggio di spostare le mani dal suo corpo. Il suo viso si posiziona di fronte al mio e lei sembra proprio guardarmi. I suoi occhi sono spalancati. Sono occhi che non svolgono il loro dovere, ma sono occhi vivi.
"Piccola, ti prego!" la chiamo agitato. "Parlami... dimmi qualcosa!"
"Perdonami Michele... non ce la faccio..."
Lei scivola dalla sedia e sviene tra le mie braccia.
"Dora! Dora, svegliati, ti prego... Dora!"
Dora
"Non... non ce l'ho fatta! Non ce l'ho fatta!"
Il mondo crolla come niente. Ne sento il peso, mi opprime, mi schiaccia come se niente fosse.
È tutto finito!
"Michele! Cosa significa che non ce l'hai fatta?" gli chiede Salvatore, stringendo ancora più forte la mia mano. Mi viene da piangere, perché non ho bisogno di un'altra conferma. Quel: "Non ce l'ho fatta!", è fin troppo chiaro per me... vuol dire l'ultima cosa in cui speravo. Anzi, l'unica cosa in cui non speravo.
"Salvatore, non ce l'ho fatta!"
Ho la sensazione fisica del mio cuore distrutto.
Lo sento sbriciolarsi molto lentamente dopo l'ennesima conferma del fatto che quella giustizia in cui spero tanto non esiste.
"No... non può essere... Michele... Michele!" sussurro, cercando di alzarmi. Le mani di Michele sono ancora ferme, sulle mie spalle, e le stringono forte.
Sento uno sguardo su di me e la voce di mio fratello che mi sussurra: "Dora, ti prego, calmati!"
Michele stringe ancora di più la presa ed io crollo nuovamente sulla sedia. Sento il suo respiro, lo ascolto anche se è leggerissimo, e mi sembra il più bel suono che esista al mondo.
Mi volto verso di lui. Credo che i nostri volti siano praticamente l'uno di fronte all'altro e, senza che io possa prevederlo minimamente, i miei occhi si spalancano. Non vedo niente, ma riesco a tenere gli occhi aperti, e nemmeno so come.
In questo momento mi piacerebbe avere uno sguardo per poterlo vedere.
Mi piacerebbe tantissimo vedere il suo viso, che immagino come quello di un angelo dopo averlo sfiorato.
Cerco di calmarmi, respirando molto forte, ma ora mi sembra che al mio cervello non arrivi abbastanza ossigeno. Mi sento svenire, mi manca l'aria!
"Piccola, ti prego!" mi chiama Michele.
Cerco di rispondergli, ma ho la gola completamente secca. Vorrei che un bicchiere d'acqua volante finisse nella mia mano libera.
"Parlami... dimmi qualcosa!"
La voce di Michele mi giunge nuovamente alle orecchie. Vorrei parlargli, ma mi sento bloccata.
Poi, come se qualcuno o qualcosa avesse voluto darmi un po' di voce, giusto quella necessaria a rispondergli prima di perdere i sensi, sussurro: "Perdonami Michele... non ce la faccio..."
Il mio corpo crolla lateralmente e finisco per svenire tra delle braccia che mi sono molto familiari.
Gli ultimi suoni che riesco a sentire sono il battito di un cuore e la voce di Michele che continua a chiamarmi con disperazione...
"Dora! Dora, svegliati, ti prego... Dora!"
Quel suono, all'inizio vicinissimo, si allontana sempre di più, fino a sparire del tutto, lasciandomi nell'oblio di un orribile silenzio che mi accompagnerà per non so quanto.
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