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"67°: L'amore mio sei tu"

Michele
La guardo. Lei piange per me e io mi sento male per questo.
Chiudo gli occhi mentre le accarezzo la testa. Lei non riesce più a parlare, ma le parole che mi ha detto finora mi rimbombano in testa e fa male.
La porta viene aperta e, purtroppo, vedo entrare la persona che ha la colpa di tutto questo: quel mostro privo di cuore del mio gemello.
"Bentornato, fratellino" dice lui. Sentendo la sua voce Dora diventa di ghiaccio.
"Tranquilla piccola, tranquilla" dico continuando ad accarezzarla.
"Commovente. Davvero commovente, devo dire... dovreste prendere in considerazione l'idea di studiare recitazione... ah no! Non potete farlo, perché la ragazzina non ci vede. E tu, Michele... tu hai vita breve!"
"SMETTILA!" grida lei.
"Piccola, calmati. Non ne vale la pena." dico. "Mattia... era questo il tuo obiettivo, vero? Tu in smoking, io con l'abito nero e la corda intorno al collo, non è vero? Va bene, hai vinto... ma in cambio non devi avvicinarti mai più a lei!"
"Michele, no!" sussurra lei.
"Ma che carina! Lei difende il suo amante. Il suo aggressore" dice Mattia.
"MALEDIZIONE, DEVI SMETTERLA!" grida ancora lei.
"Beh... per la prima metà ammetto che non mi dispiacerebbe avere al mio fianco una donna come lei. Per l'aggressore non mi sembra il caso di arrabbiarmi... in fondo ti stai semplicemente guardando allo specchio!" dico.
La verità è che tutto questo fa rabbia anche a me... ma voglio stroncarlo almeno a livello di parole. Michele in fondo era un oratore, no? Quel Michele dal quale ho ereditato il nome, anche se non sono imparentato con lui. Beh, se il destino vuole che io faccia la sua stessa fine mi comporterò allo stesso modo per distruggere i miei nemici a livello morale.
"Beh... io vado a prepararti una bella sorpresa, caro Michele!" mi dice Mattia. Capisco che, almeno in parte, sono riuscito a infastidirlo e questo mi fa sentire bene.
"Ciao... caro Mattia!" ricambio.
Lo sento uscire e chiudere la porta. Guardo Dora: i suoi occhi sono sbarrati, rossi e gonfi a causa delle lacrime. Mi dispiace veramente tanto.
"Perché fai questo?" chiede.
"Perché tu stai perdendo la testa a causa di mio fratello ed è l'ultima cosa che devi fare!"
"Lo so, ma come posso evitarlo? Lui fa di tutto per farmi perdere la testa e purtroppo ci sta riuscendo... io non voglio perderti, Michele, non voglio, perché non è giusto..."
"Però non piangere, ti prego! Se reagisci in questo modo fai piangere anche me" le dico, e purtroppo, devo dire che non ho inventato nulla.
"No, Michele!"
Vedo le sue mani tastare il materasso, come se stesse cercando qualcosa e quando trova il mio viso vi si sofferma, sfiorandolo con delicatezza. La lascio fare, perché il suo tocco mi rilassa. Credo che lei si sia accorta del modo in cui, dopo la visita di quel mostro, mi si sono contratti i lineamenti, tanto che sento il volto dolere.
"Ti voglio bene, Michele!"
"Anch'io te ne voglio, tesoro!"
Certo che ti voglio bene, piccola mia, ma non il bene che si vuole ad un'amica. Io ti voglio bene in un modo che mi è del tutto nuovo e che mi fa spaventa. In un modo che non posso coltivare.
Non posso coltivare questo bene né dirti che lo provo perché tra un po', anche se non so tra quanto, io non ci sarò più e sarebbe da egoista toglierti il tuo primo bacio per qualcosa che non sarò in grado di darti dopo... e poi forse tu mi vuoi bene come se ne vuole ad un amico ed io non posso pretendere un bene diverso da quello. Ti voglio bene... spero di non finire subito in galera, perché mi mancheresti veramente troppo, amore mio!
Dora
Ti voglio bene.
No! Questo decisamente non basta per dire quello che provo per questo ragazzo dal nome che suona tanto bene, sdraiato su un letto d'ospedale, con ancora alcune flebo addosso e troppi pericoli da affrontare dietro l'angolo.
È passato il primo giorno dal risveglio di Michele, ne sono passati altri, e più sto con lui, più mi convinco del fatto che quel: "Ti voglio bene" che gli ho detto quel giorno non basta a descrivere le mie emozioni ogni volta che siamo insieme.
Se provassi a chiedere a Bruno se sa cosa mi succede?
"Piccola, che succede?" chiede Michele. Sono con lui anche oggi. Sono stata io a volerlo. Ho temuto che lui potesse allontanarmi da sé per non farmi soffrire, ma, pensandoci, è una persona intelligente e ha detto che vuole lasciare il segno. Soffrirei di più se lui, cercando di non farmi stare male in prospettiva di quest'arresto così ingiusto, mi allontanasse.
"Niente, Michele. Niente" rispondo.
"Ti sono servite le lettere in nero che ti ho procurato? Riesci a scrivere qualcosa?"
In effetti in questi giorni mi sto esercitando nella scrittura ad inchiostro e poiché lo faccio perché ho un disperato bisogno di distrarmi sembra che almeno qualcosa mi riesca piuttosto bene.
"C'è una parola che ho imparato a scrivere abbastanza bene" sussurro.
"Ti va di farmi leggere quale?"
"Va bene... ma non guardarmi. Entro nel panico se qualcuno mi guarda."
"Facciamo una cosa. Io adesso mi copro gli occhi." dice e lo sento alzarsi. Prende le mie mani e sento sotto le dita una... sciarpa? A maggio?
"Vorrei che me l'avvolgessi tu intorno agli occhi."
"Cosa? Perché?"
"L'hai detto tu. Il fatto che qualcuno ti osservi mentre scrivi ti spaventa ed io vorrei che tu fossi sicura del fatto che non posso guardarti" risponde.
"Sei sicuro? Insomma, voglio dire... immergersi spontaneamente nel buio è molto difficile. Nel senso che ci vuole coraggio."
"Non è la prima volta che lo faccio" mi dice.
"Va bene." dico spostandomi. Lui al massimo può stare seduto o camminare fino al bagno della sua stanza, tra l'altro lentamente, perché, essendo stato in coma per molto tempo, deve abituarsi a muoversi di nuovo. Il mio povero Michele!
Mio? Perché mio? Ma quanto sono stupida! Io non so nemmeno che cosa provo... ma è qualcosa di profondo. Molto profondo... troppo profondo!
"Penso che vada bene." mi dice.
"Cosa vedi?"
"Quello che vedi tu."
"Cioè niente, giusto?"
"Ops! Scusami" dice lui. "È che tu sei molto autoironica ed io volevo esprimere il concetto in modo diverso... non con la parola: "Niente"!"
"Non me la sono mica presa, Michele!" dico.
Prendo un foglietto ed una penna che, per qualche ragione, porto sempre con me. M'inginocchio davanti alla sedia per avere un appoggio stabile e, con dita tremanti, scrivo la parola che ho imparato ad imprimere su carta con i simboli ad inchiostro. Una volta finito mi alzo, sciolgo il nodo della sciarpa e gliela tolgo dalla testa.
Raccolgo il biglietto dalla sedia e tendo la mano. Lui capisce che se aspettasse me ci vorrebbe almeno una giornata prima che lui possa leggere, (anche se è un angelo, non me lo direbbe mai), e mi prende di mano l'oggetto.
"Amore! Hai scritto Amore!"
Annuisco.
"Perché hai voluto iniziare proprio da quella parola?"
"Beh... ecco... perché..."
Perché è merito tuo se ora so scrivere qualcosa. Perché tu mi hai dato tantissimo amore da quando ci siamo conosciuti, anche se non ne sei consapevole.
Perché TU sei il mio amore.
Purtroppo, però, non riesco a dirglielo. La voce mi si spezza in gola e in più qualcuno irrompe nella stanza. Ci sono voci concitate.
"È questa la stanza in cui è ricoverato un certo... Michele Genovesi?" chiede un uomo dalla voce familiare. No! Il poliziotto dell'altra volta no!

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