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"50°: Rimorsi"

Dora
Le lacrime continuano a scendere, senza alcun controllo.
Mi sto ferendo le ginocchia per le schegge di vetro e i chiodi che sono qui per terra, ma in questo momento non me ne potrebbe importare un accidente. Mi avvicino alle labbra del ragazzo che giace inerme, sul pavimento, e vi poggio contro l'orecchio per capire se respira ancora. Tiro un sospiro di sollievo quando sento un leggerissimo soffio, quasi impercettibile, ma almeno è un segno di vita. Lui sanguina ed io non so come tamponargli la ferita. Il tessuto della mia maglia è strappato, ma ora che dovrebbe staccarsene un altro pezzo e che servirebbe a tamponare l'emorragia, non si muove di un millimetro. Mi alzo da terra, completamente dolorante, corro in cucina e prendo un paio di forbici. Mi taglio una consistente ciocca di capelli, li lego strettamente tra di loro e torno indietro per poi appoggiarli sul suo petto. Spero che possa bastare, perché non so proprio come muovermi in questo momento.
""Se dovessi farmi curare una ferita da qualcuno, quella persona saresti proprio tu"..."
Quelle parole che lui mi ha detto solo poche ore fa mi colpiscono come un secchio colmo d'acqua fredda.
Non volevo che accadesse tanto presto, e soprattutto: non in questo modo!
Anzi: non volevo che accadesse, punto e basta!
Sembra che la ciocca di capelli sortisca qualche effetto poiché non sento più sotto le dita il liquido appiccicoso. Mi alzo nuovamente da terra, corro alla finestra e la apro per poi iniziare ad urlare con tutta la forza che è nei miei polmoni. Non trovo né il telefono né il bastone bianco e sono troppo agitata per mettermi a cercare. Spero solo che chi abita qui vicino possa sentirmi.
"QUALCUNO MI AIUTI, VI PREGO!" grido.
Sento una voce familiare. Qualcuno è sotto la finestra e mi parla: è quel ragazzo che ci accompagnava avanti e indietro!
"Ehi, bellezza! Cosa ti ha spaventata tanto da farti urlare in questo modo?" mi chiede ridendo.
"Non è il momento! Ti prego, sali!" gli dico con la poca voce che mi resta.
Lui si arrampica sul davanzale, io gli prendo le mani e gli do una mano a oltrepassarlo. Sento il suo sguardo su di me e mi vergogno da matti, perché praticamente sono mezza nuda.
"Ma che cos'hai fatto? Hai la schiena coperta di graffi! Cosa ti è successo?"
"Non è importante. Quello che è grave è quello che è successo a Michele. Vieni, presto!"
Lui mi segue e lo sento abbassarsi.
"Michele! MICHÈ! Oh! Guagliò, me siente?" ["Michele! MICHELE! Ehi! Ragazzo, mi senti?"] lo chiama, ma lui non dà segni di vita se si esclude quel flebile soffio che ho sentito prima.
"Bisogna portarlo subito in ospedale. Tu mettiti questa e un paio di scarpe a caso, per non farti male." dice mettendomi qualcosa sulle spalle. Una giacca?
"Ma..." sussurro.
"Imbrattala pure, non m'interessa della giacca. Se resti con quello straccio addosso prenderai fredno a quest'ora di notte." mi dice.
Il suo tono è glaciale, ma lui è molto gentile e lo ringrazio.
Si allontana in fretta e furia, poi torna indietro, si carica Michele sulle spalle e mi prende la mano destra.
"Scusami se ti farò fare un po' male, ma non abbiamo scelta!"
La sua presa è salda, forte, e perché no, anche rassicurante. Arriviamo all'auto, lui mi fa sedere sui sedili posteriori e fa sdraiare là Michele, facendogli posare la testa sulle mie gambe.
"Ora tenetevi stretti che dobbiamo correre!" mi avverte. Dico "mi" nonostante abbia parlato al plurale perché Michele è privo di sensi. Ora tocca a me stringerlo in questa corsa folr fino all'ospedale. Lui sembra un pazzo, ma ha ragione: non abbiamo tempo. Michele deve arrivare in ospedale, e anche in fretta.
Arriviamo in pochi minuti. Non so quanti, ma pochi. Sono riuscita anche ad avvicinarmi di nuovo a Michele per capire se respira ancora e per fortuna ho percepito quel leggerissimo soffio sul lobo dell'orecchio.
Quando arriviamo Serramanico scende per primo e tira fuori Michele.
"Aggrappati, svelta" mi dice.
Gli prendo un punto a caso del braccio e corriamo dentro.
Sento qualcuno posarmi una mano su un braccio e mi giro dicatto, spaventata.
"Piccola, sono io!" mi sussurra mio fratello. "Che è successo?"
"Bruno... Michele..." riesco a sussurrare, girandomi nuovamente verso sinistra.
Mi stringo nella giacca del ragazzo che ci ha offerto un aiuto provvidenziale e mi piacerebbe sparirci dentro.
Penso si veda tutto il sangue che perdo da ogni parte, perché i pantaloni sono strappati sulle ginocchia, e non per moda, indosso un paio di infradito prese a casaccio e sento la giacca bagnarsi.
Bruno chiama un dottore, che porta subito via Michele.
"Bruno, anche lei è ferita." lo avverte Salvatore.
"Grazie. Dimmi quanto ti devo" gli dice Bruno, che ancora non si fida.
"Un aiuto per Michele e le cure per questa povera creatura. Temo che Mattia abbia cercato di spingersi troppo in là." risponde l'altro.
"Grazie" sussurro, ancora in lacrime.
Il ragazzo mi prende il viso e lo solleva. La sua presa è piuttosto forte, ma non fa male.
"Michele si riprenderà. Hai capito, ragazzina?" mi dice. All'inizio mi chiamava in questo modo, ma adesso sembra che lo dica per scherzare più che per disprezzo verso di me.
"Ma perché, perché Mattia che è un finto Boss di quartiere non ha capito che fratello meraviglioso gli è stato dato?" sussurro.
"E l'aggio capito je ca tengo 'a capa 'e 'mbrella!" ["E l'ho capito io, che sono uno sbandato!"] aggiunge lui. "So che lo pensi, ragazzina, e con giusta ragione! Ma non ti preoccupare: Michele non si fa mettere sotto da nessuno e si riprenderà. Lo farà per te e per Angela. Ci scommetti?"
"E tu che ne sai?" chiedo.
"Non so in che modo, ma so che Angela ha sofferto per colpa di Mattia e dubito che Michele gliela lasci passare liscia" risponde lui con un tono tranquillo.
Io, a questo punto, faccio qualcosa che non avrei mai osato fare con lui fino a una mezz'oretta fa: gli getto le braccia al collo e lo stringo forte, cercando conforto in lui.
Lui sfrega la sua mano sulla mia schiena, ma con delicatezza.
"Oh! Stai tranquilla" dice con un tono quasi imperioso.
"Ci proverò" sussurro.
"Certo, ma la smetti di piangere? Sto iniziando seriamente a pensare che tu sia cotta di Michele!" dice.

"Piccola, vieni con me" mi dice un'infermiera con voce dolce.
"Su, vai a curarti, altrimenti ricoverano anche te!" mi dice il Boss dal cuore tenero per poi sciogliere l'abbraccio e darmi un bacio sulla guancia. Resto sorpresa: non me l'aspettavo minimamente.
L'infermiera mi prende per mano e mi porta in una stanza.
"Su, togliti la giacca" mi dice.
Mi vergogno di mostrare la maglietta che ho addosso. È uno straccio, come mi ha detto lui.
"Quando... quando potrò vedere Michele?" chiedo, togliendo lentamente la giacca.
"Lo rivedrai presto, ma prima devi curarti." mi dice, poi prende la giacca e me la fa sfiorare. Non sembra troppo intrisa di sangue. "Per questa si può ancora fare qualcosa." mi fa notare con dolcezza. "E anche per le tue ferite."
Poi tocca la mia maglietta.
"Questa invece è da buttare..."
Me la sfila con delicatezza.
"Tesoro, devo controllare anche le ferite alle gambe" dice la donna ed io, vergognandomi enormemente, tolgo anche le scarpe e i pantaloncini ormai strappati.
"Cominciamo dalle ginocchia, in modo che dopo tu possa sdraiarti" dice.
Io mi siedo su una sedia di plastica. Ho freddo e mi sento vulnerabile al massimo. Accidenti a Mattia! Maledetto il giorno in cui è entrato nella mia vita e benedetto quello in cui mi sono trovata a scontrarmi con suo fratello!
"Brucerà un po'" mi avvisa la donna, passando un liquido sulle mie ginocchia ferite. Stringo forte i braccioli in plastica della sedia, serrando i denti. L'adrenalina sta diminuendo e questo mi permette di percepire il dolore che, fino a poco fa, mi era indifferente.
Passa a curarmi le gambe e i piedi. In breve mi ritrovo ricoperta di cerotti e con le gambe che mi bruciano.
"Ce la fai a sdraiarti?" chiede.
Annuisco, tendo le braccia e sfioro il lettino, ricoperto da una carta sottile, simile alla carta igienica. Mi ci arrampico e mi sdraio, sfidando il bruciore alle gambe, provocato dall'acqua ossigenata.
Per la schiena la donna mi spalma una crema fredda e mi mette del ghiaccio sulla testa, tastandomela più volte. Per fortuna quello che ho là è un taglietto insignificante.
Lei non mi chiede nulla, ma penso sia palese quello che è successo: o meglio: quello che STAVA per succedere. Se Michele non fosse arrivato, forse, a quest'ora non potrei neanche raccontarlo, perché, data la rabbia che ho percepito quando mi ha premuto quella pistola sulla tempia, credo proprio che Mattia mi avrebbe sparato.
"Potrebbe darmi qualcosa per coprirmi? Vorrei vedere Michele, ma non ci posso andare in questo stato" sussurro.
"Tesoro mio, io non credo che per il momento sia il caso che tu lo veda... e non so nemmeno se ti faranno entrare. Era un codice rosso e in casi come questo non fanno accedere nessuno." spiega con pazienza la donna dalla voce delicata.
"Ma perché non posso? Se lui è in pericolo è solo colpa mia!"
Stringo fortissimo il materasso, fino a farmi male, mentre la donna applica dei cerotti alle mie ferite fresche.
"Piccola, non è colpa tua. Non so chi sia l'altra persona, ma Michele voleva aiutarti. Si vede da come ti ritrovi. Sei malconcia e moralmente sei a terra."
"Per favore, mi aiuti!" le dico tra i singhiozzi. "Io voglio vederlo! La scongiuro!"
Mentre pronuncio le ultime parole un dolore lancinante alla testa mi porta a coprire le orecchie. Rivivo la scena di poco fa: il corpo di Mattia che schiaccia a terra il mio, le sue mani tanto morbide quanto cattive, una mi tira i capelli, l'altra preme una pistola sul mio viso. Lui cerca di baciarmi sulle labbra, ma io riesco a contorcermi quel tanto che basta per evitarlo. Lui mi tira più forte i capelli e la pistola preme maggiormente sulla mia pelle.
"NO!" grido, agitandomi tanto da rischiare di cadere dal letto. Il respiro mi viene a mancare, sento le mani di Mattia su di me anche se ora lui non c'è... e poi quel dannato colpo di pistola.
L'infermiera mi blocca ed io, non capendo più niente, la imploro di lasciarmi andare.
"Piccola, calmati... sei sempre nella stessa stanza, quella dell'ospedale... senti la carta che ricopre il letto? È fastidiosa, ma ti ricollega alla realtà. Ci siamo solo io e te. Nessuno ti farà niente di male, credimi!"
"Vi prego, salvatelo! Salvate il mio amico, vi prego! Michele non c'entrava nulla, Mattia gli ha sparato addosso, per favore!"
La porta si spalanca di colpo. Una mano grande e calda accarezza i miei capelli. Sono completamente esposta, non so chi sia e mi sento malissimo.
"Piccola, sono Bruno, calmati" dice mio fratello.
"Bruno... cosa ne sarebbe di me se accadesse qualcosa a Michele? È solo colpa mia!"
"Proprio niente piccola, perché a Michele non accadrà niente!"
"Ti hanno detto qualcosa?"
"Ancora no, ma lui è in ottime mani. Io stesso ho voluto affidarlo ad un ottimo medico... l'unica cosa che mi ha detto è stata che l'operazione sarebbe costata un bel po', ma ha anche aggiunto che di questo non devo preoccuparmi, che sarà lui a provvedere a tutto e, se necessario, anche a consultarsi con altri medici."
"Bruno... tu lo sapevi che Michele ha una malattia al cuore?" chiedo.
"Sì, piccola... lo sapevo" risponde lui. "Michele non te lo voleva dire, ma non perché ti considera immatura: voleva solo evitarti, a suo dire, altri problemi!"
Piango più forte. La mia pelle nuda entra in contatto con la maglietta di mio fratello, calda e morbida.
"Ti rendi conto, Bruno? Lui mi ha protetta fino all'ultimo... mi ha protetta fino alla fine!"
Ormai le lacrime sono inarrestabili ed il mio cuore sembra definitivamente finito in pezzi.
I singhiozzi diventano più forti, tanto da portarmi di nuovo ad agitarmi. Bruno mi fa distendere e lo sento girare qualcosa in un bicchiere.
"Tirati su, piccola. Bevi!"
Mi tiro su, tremando come non ho mai fatto, Bruno mi mette tra le mani il bicchiere ed io ne mando giù il contenuto, che presto mi fa provare un senso di spossatezza.
Dopo qualche minuto finisco per crollare addormentata...

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