"47°: Voglio che tu stia bene!"
Michele
"Ma come? Che storia è questa? Michele, Michele Cuore D'Oro, il ragazzo dai sani principi, abbandona suo fratello e lo minaccia di creargli problemi per una stupida cieca?"
"Il ragazzo dai sani principi!"
Lo ripeto, perché non è vero. Se avessi avuto quei famosi sani principi lui sarebbe già dove deve essere. Ma il mio problema è che sono un sentimentale. Ho avuto paura che gli dessero la pena estrema.
Con la pena estrema ti tolgono la vita.
"Se io avessi avuto sani principi non ti avrei assecondato, ma ho avuto la pessima idea di farlo e ho mandato al diavolo gli insegnamenti dei nostri genitori per salvarti la faccia e per quella poverina, che non ha colpa di nulla!"
"Beh... forse è meglio che l'invalida venga liberata." dice lui, beffardo. "Però dammi una settimana di tempo, Michele! Solo una settimana e ti toglierò di torno la cieca!"
Stringo forte il cellulare e mi graffio il palmo della mano sinistra con le unghie. Mi fa rabbia il modo in cuia chiama: lei un nome ce l'ha. "La cieca, l'invalida" può essere chiunque.
Ma soprattutto è orribile definire una persona in questo modo. "Invalida" è una parola orribile, che, almeno a mio avviso, dovrebbe essere abolita dal vocabolario!
"Una settimana" dico. "Smetti di minacciare la sua famiglia e lasciala stare!"
"Va bene, giustiziere dei miei stivali: la tua protetta tornerà a casa!"
Stacco il telefono. Non gli dico grazie, anche perché... di cosa dovrei ringraziarlo? Di avermi permesso di liberare una ragazza alla quale avevo tolto la libertà per permettere a lui di fare i suoi sporchi comodi? Non ci tengo per nulla!
Torno dentro e raggiungo Dora.
"Michele!" dice lei, venendomi incontro come se ci fosse qualcosa che l'affligge.
"Sono qui, piccola, sono qui!" le dico.
"Stavi litigando con qualcuno, vero?"
M'irrigidisco. Come ha fatto a capire?
"Più o meno, ma puoi stare tranquilla. Non c'era niente di grave." le dico nel tentativo di rassicurarla.
Lei non deve sapere, non prima che la cosa sia ultimata, perché se venisse a scoprire prima quello che voglio fare si preoccuperebbe. Le ho già detto una volta che se avesse voluto l'avrei liberata subito.
Lei non ha voluto saperne: aveva troppa paura che Mattia potesse prendersela anche con me. È per questo che non voglio che venga a saperlo: non prima che io la riporti a casa, dove desidera e merita di stare.
Andiamo al negozio e ci andiamo anche di corsa, per non rischiare di arrivare tardi, infatti è lei a fermarmi, ogni tanto, perché si accorge del fatto che a tratti il respiro mi viene a mancare. Spero solo che non venga mai a sapere anche di quella malattia.
Mentre incarto i vari soprammobili che il signor Ciro mi mette davanti penso a come potrei procurare delle lettere tattili a Dora, che ha il desiderio di imparare a scrivere in nero. Mi viene da sorridere: questa ragazza mi fa tenerezza.
Piccola, un giorno mi spiegherai cos'è che ti permette di essere tanto buona? Per quanto io possa trattarti bene: come fai a non detestarmi come meriterei per il solo fatto che ti ho privata della casa che tu conosci, della convivenza con i tuoi genitori, della presenza costante di tuo fratello Bruno?
La giornata sembra procedere a rallentatore, ma va avanti, e quando torniamo al casolare, dato che abbiamo finito prima, decido di intagliare delle vecchie scatole di legno per formare le lettere in nero.
Lei ha detto che vuole provare a pulire questo posto. Io la guardo da lontano. Ci sono troppi chiodi: non voglio che per aiutarmi si faccia del male!
Senza volerlo, però, sono io a farmi male. Mi distraggo nel pensare a Mattia e batto il martello con tanta rabbia da schiacciarmi il dito. Strizzo forte gli occhi, cercando di reprimere un grido di dolore.
Non grido, ma mi sfugge un gemito e, con la fortuna che ho, lei lo sente e si spaventa.
"Michele!" esclama e, con le braccia tese, mi viene incontro. "Michele, che è successo?"
Mi raggiunge senza farsi male e prende la mano giusta, quella che ho schiacciato con il martello. Credo se ne accorga per il sangue che sgorga o perché la pelle scotta.
"È per intagliarmi le lettere che ti sei fatto male."
Non è una domanda, è un'affermazione.
"Santo cielo! Non dovevo chiedertelo: hai già abbastanza problemi per occuparti anche di questo... e questi problemi te li creo io... è colpa mia..."
Mi alzo da terra, l'attiro a me e la stringo, incurante di quanto il dolore sia forte, di quanto il dito sembri un cuore.
"Piccola, non è colpa tua! Se vuoi saperlo, mi sono distratto. Ba mia distrazione è quell'idiota del mio gemello, che devo ringraziare solo per un motivo e cioè aver avuto la possibilità di stare a lungo a contatto con te... ma avrei preferito farlo per quell'esperimento che avevi inventato tu per coprirmi. Non aver paura, mi passerà presto!"
Dora
Mi sento malissimo. Michele dice che la colpa non è mia, ma mi sento male lo stesso. Si è schiacciato un dito con un maledetto martello, mentre faceva una cosa per me! Perché gli chiedo sempre qualcosa?
"Non posso nemmeno curarti, perché non ne sono capace! Mi dispiace tanto" dico piangendo.
Lui, con la mano buona, mi accarezza la guancia destra, spazzando via le mie lacrime.
"Mi hai già curato, Dora! Quando ho avuto quello scontro con Salvatore!"
"Non posso fare niente, perché non conosco bene questo posto! Non so fare niente, perché non vedo niente e non so gestirmi come altri che vivono come me! Mi sto impegnando a imparare, te lo giuro, ma non ne sono capace!"
"Sei avanti rispetto a molti che si lasciano andare! Sai scherzarci, impari velocemente, fai anche l'infermiera, e non dire che non è vero, perché dopo un paio di giorni le ferite della rissa non mi hanno provocato più dolore, ed è tutto merito tuo. Potresti fare l'infermiera, perché proprio per il fatto che per te il tocco è importantissimo... l'hai reso molto delicato."
Lui mi porta in bagno. Mette autonomamente la mano sotto il getto dell'acqua fredda e prende con delicatezza la mia mano con quella che si è ferito.
"Sopra il lavandino c'è l'armadietto dei medicinali. Te la senti di aiutarmi con questo dito?" mi chiede ridendo.
"Perché vuoi per forza affidarti a me?"
"Perché, tu non hai fatto la stessa cosa, soprattutto negli ultimi mesi, da quando ti ho presa e portata via dalla tua casa?"
Lui sorride mentre lo dice, ma so che ogni volta che dice la parola "sequestrata" o simili come: "Portata via", sembra irritato.
Prendo un cerotto e della crema per i tagli. Michele chiude l'acqua e mette la sua mano sulla mia, quella sinistra.
"Il taglio è sull'indice. Lo troverai subito perché è verso la fine del dito, vicino al polpastrello. Lo sentirai, perché si è già formata una specie d'incrostazione. Mi fido di te" dice con calma.
Tasto la sua mano, cercando di non premere troppo, e quando trovo il taglio vi spalmo sopra la crema fredda che sembra dargli sollievo.
Solo mio fratello mi ha dato fiducia in queste piccole cose... forse un po' mia madre, ma per il resto, quando mi facevo male era l'unica occasione che avevo per imparare come ci si gestisce con queste cose.
"Aspetto due minuti... il tempo necessario perché la crema si asciughi, giusto?" chiedo.
"Precisamente!"
Recupero il mio cellulare e controllo l'ora.
Michele
Lo so, avrei potuto benissimo curarmela da solo la ferita, ma non ho voluto farlo, perché ho fiducia in lei e voglio che lei lo sappia. Le sorrido quando mi tocca la mano: è talmente delicata che quasi non la sento sfiorarmi.
Passa il tempo necessario e lei estrae un cerotto dalla scatoletta marrone che si trovava nell'armadietto.
Lei è agitata mentre, con dita tremanti, apre il cerotto e lo applica sulla mia ferita. È leggermente fuori mira: lei se ne accorge e prova a spostarlo. Lo fa con assoluta delicatezza, ma il materiale del cerotto mi provoca un leggero dolore. Sorrido: è talmente tenera!
"Michele, sul serio... perché hai voluto che fossi io a curarti?" mi chiede, con il suo solito timbro di voce tremante e impacciato, quello che, forse più di ogni altra cosa, mi provoca un fortissimo senso di tenerezza verso questa ragazza dal viso dolce e dal carattere, forse, addirittura più dolce del volto.
"È molto semplice. Perché io voglio che tu stia bene, e mi fido di te. Se proprio dovessi scegliere qualcuno per farmi curare una ferita, quella saresti proprio tu!" le dico.
"Io spero non capiti: rischierei di farti più male!"
"Ma smettila! Guarda come me l'hai medicato bene questo dito!" le dico prendendole la mano e portandola sulla mia. La faccio soffermare su quel cerotto che ha applicato con tanta cura. È un po' piegato all'angolo, ma non dove c'è il taglietto, quindi non m'importa più di tanto. Lei lo nota e s'incupisce, quindi le dico: "Io li accartoccio i cerotti! Tu me l'hai messo in una maniera... quasi perfetta!"
"Anch'io voglio che tu stia bene!" dice lei.
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