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"46°: La scelta di Michele"

Dora
Ieri sono stata bene... ma oggi si ritorna alla vita "normale".
Certo, perché è normale alzarsi all'alba, lavarsi in un casolare, uscire da quel posto per rifare i letti in un'altra casa e pulirla, facendosi accompagnare da un ragazzo che ha una passione sfrenata per la corsa in auto... anzi: che è sfrenato, punto e basta. È normale non aver rivisto i miei genitori per un mese e mezzo. È normale avere sempre paura. È normale star male, perché la persona che ti tiene con sé è costretta a farti fare queste acrobazie e ne soffre, forse più di te.
È questo che mi fa sentire peggio: il fatto che Michele si senta in colpa.
Poverino! Che colpa ne ha lui?
Ha fatto quello che ha potuto per ribellarsi a suo fratello: ci ha provato, ma non ha potuto fare molto oltre a prendermi con sé e fare tutto e il contrario di tutto per rendermi felice.
Mi tiro su, molto lentamente, perché come sempre mi riesce difficile capire se lui è sveglio oppure no. Cerco di non fare rumore.
Tendo le mani, alla ricerca del bastone bianco, ma finisco per inciampare su un chiodo, che urto con la mano destra. La ritiro di scatto e serro la mascella. Sento una voce alle mie spalle e lui mi prende delicatamente la mano, dalla quale sgorga del sangue.
"Maledetto chiodo!" esordisce Michele. "Vieni, è meglio disinfettare la ferita" mi dice.
"Perdonami... è solo che... non volevo svegliarti."
"Tesoro, tranquilla, va tutto bene. Comunque in qualche modo devo togliere quei chiodi, in modo che tu sia libera, perché so per certo che non mi chiederesti di darti una mano."
Mi fa mettere il palmo della mano sotto il getto d'acqua fredda e mi sento un po' meglio.
"La cassetta del pronto soccorso dovevo pertarmela dietro" mi dice ridendo e passa qualcosa di fresco sul palmo della mia mano.
"Grazie." dico.
"Per cosa?"
"Per tutto. Sei sempre tanto gentile."
"Io sono fatto così. Mi piace vedere felici le persone che amo e tra queste tu sei inclusa..."
"Anche tu sei incluso tra le persone che io amo!" gli dico e non mi ero mai espressa in questo modo: non con lui, almeno.
"Michele... io... volevo chiederti un favore, ma ho paura di crearti problemi." dico timidamente, per interrompere il silenzio che si era venuto a creare.
"Ma che problemi vuoi crearmi? Tu non lo sai, ma mi stai aiutando moltissimo." mi dice dolcemente.
"Ecco... il fatto è che... io... volevo chiederti... potresti insegnarmi a scrivere in nero?" gli chiedo esitante.
Lui aspetta solo pochi secondi prima di darmi una risposta, poi mi dice: "Ma certo che posso! Magari vedo se posso plasmarti le lettere, in modo da farti vedere come sono fatte. Ma perché vuoi imparare a scrivere in nero?"
"Tu hai imparato il Braille e mi hai scritto una frase su una tavola di legno. Sarà una frase semplice, ma per me le cose semplici sono quelle che più contano, e vorrei scriverti qualcosa anch'io, un giorno" rispondo arrossendo fino alla radice dei capelli.
"Purtroppo non sono molto attrezzato, ma so intagliare il legno. Farò come il padre di Louis Braille."
"Tu conosci Louis Braille?" chiedo sconcertata.
"Ne parlarono a scuola, perché un mio compagno chiese cosa fosse questo codice." risponde lui.
"Sei il primo che non dice "la lingua Braille"!" gli faccio notare, sorridendo.
"Perché, chi lo chiama lingua?"
"I miei compagni di scuola." rispondo. "E una volta un mio insegnante!"
"Mi stai prendendo in giro, vero?"
"Magari!"
"Allora stavo meglio io, che non sapevo cosa fosse, ma almeno sapevo che non era una lingua!"
Mi viene da sorridere. Se raccontassi a qualcuno che questo ragazzo mi ha sequestrata mi riderebbero in faccia, e con giusta ragione! Michele è un angelo. Una volta ho chiesto all'infermiera come fosse, nel periodo della febbre, e lei mi aveva detto soltanto: "Ha i lineamenti di un angelo!" E non solo quelli!
"Aspetta... ma come farai con il lavoro?" gli chiedo con voce tremante.
"Ma stai tranquilla, di questo mi occupo io! Però ora dobbiamo andare, credo ci convenga far presto!"
Ci vestiamo a turno, poi usciamo dal casolare.
"Ah, eccovi!" dice Serramanico. È tornato duro, come all'inizio.
"Siete in ritardo" ci dice con tono secco.
"È... è s-stata colpa mia" balbetto. "I-il fatto è... è che volevo alzarmi e andare a vestirmi, ma non trovavo più... questo..." Batto le dita sul manico del bastone bianco. "Sono caduta su un chiodo e..."
Serramanico scoppia a ridere e mi tocca scherzosamente una guancia. Io m'irrigidisco: non mi è tanto semplice fidarmi di persone che non mi hanno ispirato fiducia da subito, e Michele in parte l'ha saputo quando mi ha portata via.
"Stavo scherzando, non spaventarti." mi dice. "Tanto lo sai: arriveremo in cinque minuti se non di meno..."
Certo! Ammesso che arriviamo tutti interi al posto in cui dovremmo andare!
Durante il tragitto in auto come mio solito stringo la mano di Michele... forse un pochino troppo, ma è più forte di me.
Quando arriviamo davanti casa di Michele tiro un piccolo sospiro. Mi sono abituata da un pezzo a non urlare qua entro in quest'auto. Ho una tremenda paura che lui possa distrarsi.
Ma poi come fa a non incontrare mai nessuno per le strade? Come fa a non farsi fermare dalla polizia per le sue corse folli? Come ci riesce?
Ci penso, mi arrovello, ma niente. Sarà un "segreto del mestiere", come quelli degli chef.
Scendiamo dall'auto. Michele mi aiuta a reggermi in piedi poiché tremo come una foglia d'autunno. Lui è forte. Non so come faccia, ma è sempre riuscito a tenermi in piedi anche in senso metaforico, non soltanto fisico.
Entriamo in casa e andiamo a rifare il letto. È grande, per questo lo facciamo insieme, infatti a volte mi chiedo anche come abbia fatto da solo per tre anni. Quando sono arrivata, dato che a volte camminavo anche a piedi nudi, ho sentito il pavimento liscio e pulito. Sorrido ripensando a quando sono arrivata qui. Sorrido, perché ricordo perfettamente quanta paura avevo di lui. Che sciocca! Lui, da quando mi ero risvegliata nel suo letto, si era comportata con gentilezza. Anche la mano sulla bocca era solo appoggiata.
"A cosa stai pensando?" mi chiede Michele.
"A quando sono arrivata qui. Non è stato il massimo come approccio, lo ammetto." rispondo, ripensando con tristezza al fatto che temevo la persona sbagliata... non quella che avrebbe dovuto spaventarmi, insomma. Non era Michele la persona di cui non dovevo assolutamente fidarmi, ma una mia vecchia conoscenza che, al suo opposto, mi aveva fatto capire subito che non mi potevo fidare. Una persona che speravo di non ritrovare mai più sulla mia strada, ma che, purtroppo, mi si era ripresentata come un fulmine a ciel sereno, stravolgendo la mia vita... anche se, forse, se non fosse stato per quella persona non mi sarebbe stato possibile conoscere una persona speciale come Michele, data la mia timidezza fuori dalla norma, che m'impedisce anche di dire un semplice ciao a una persona qualsiasi, figuriamoci fare domande di qualsiasi genere a uno come lui!
"Sono stata una stupida, vero?"
Lo sento sospirare, come se in quello che ho appena detto ci fosse qualcosa che non va come dovrebbe andare.
"Cosa pretendi da te stessa, Dora? Diciamo che eri stata un momento sequestrata... è normale che tu abbia avuto paura di chi ti sei trovata di fronte. Però ti prego: non pensarci. So che ci stai male e non è giusto, te l'assicuro!"
"Michele, io... io mi sento male ogni volta che penso a come ti ho trattato. Ma non è soltanto questo. Mi sta bene vivere in un casale pieno di chiodi sporgenti con i quali potrei farmi male in qualsiasi momento. Mi sta bene svegliarmi all'alba per passare da là a casa tua. Mi sta bene arrivarci con un'auto in corsa. Quelle che non riesco a mandare giù, però, è il fatto che la colpa... sia di una sola persona, che tra l'altro mi ha già tormentata... e il fatto di non potermi neanche avvicinare... ai miei genitori!"
Finisco di rifare il letto, poi ci mettiamo a pulire, ma sbatto più volte le palpebre nel durante di queste azioni, nel disperato quanto inutile tentativo di non piangere per l'ennesima volta. Spazzo via le lacrime con la manica della maglietta.
"Dora!" Michele mi viene incontro e mette le mani sulle mie spalle, facendomi girare verso di lui. Se non fosse per il fatto che non ci vedo direi che siamo "occhi negli occhi": i suoi, che immagino verdi, almeno per come lo immagino io il verde, nei miei: di un comunissimo color castano scuro. So che lui sta guardando proprio i miei occhi, traboccanti di lacrime come, ultimamente, mi succede fin troppo spesso... ma non posso fare niente per evitarlo! Accidenti a me!
"Mi dispiace... credimi: mi dispiace moltissimo!" mi dice con quella voce dolce, e, adesso, anche tremante. È tutta colpa mia!
"No! Michele..." sussurro, perché ho la sensazione che lui stia per raggiungermi in un mare di lacrime. Tendo le mani, cerco il suo viso e, quando lo trovo, lo sfioro con delicatezza. È contratto in una maniera che mi fa quasi male. Faccio scorrere le dita lungo le sue guance, cercando di farlo rilassare.
"Ma se proprio doveva chiedermi di sequestrare qualcuno, non poteva chiedermi di farlo con una smorfiosa, una bambina viziata, che ci fosse cresciuta in una culletta d'oro? Almeno avrei dovuto semplicemente tenerla a bada!"
"Per quanto ti conosco, avresti reagito nello stesso modo anche con una persona come l'hai descritta. Però lei non sarebbe stata contenta... avrebbe pensato a se stessa, non a quanto a te facesse male l'idea di sequestrarla..."
Michele
L'ascolto e mi maledico mille volte per averla presa. Questa povera ragazza, (non tanto per gli occhi, ma per le acrobazie che le sto facendo fare), è la bontà in persona. Stava male e si è occupata di me, perché mi sono venute le lacrime agli occhi dopo quello che ha detto... e dopo quello che ha fatto. L'ho vista sbattere freneticamente le palpebre per non piangere. L'ho vista prendere lo straccio e iniziare a pulire, con le dita che le tremavano. L'ho guardata negli occhi, e forse questo non avrei dovuto farlo. Lei uno sguardo ce l'ha... solo che non ti guarda direttamente. In ogni caso, però, il suo sguardo non è nei suoi occhi: è nelle sue mani, nella sua pelle. Lei, a differenza di chiunque le sta intorno, vede benissimo, ma lo fa con tutta se stessa: con il corpo e l'anima.
Questa storia deve finire, e anche in fretta.
"Grazie mille!"
"Per cosa, Michele?"
"Per essere quello che sei!"
Le prendo il viso tra le mani e le lascio un bacio sulla guancia. Lei mi sorride: sembra stare meglio... ma io, purtroppo, non sto bene. Devo liberarla!
Prendo il telefono e corro in giardino, in modo che lei non mi senta. Mi dispiacerà lasciarla andare, ma sarebbe un atto di egoismo da parte mia tenerla ancora con me, lontana dalla sua famiglia. Lei è sfinita, non può continuare a vivere in questa maniera che supera l'assurdo. Chiamo Mattia.
"Ehi! Ma che sorpresa! Cosa c'è, fratellino? La mocciosa ti crea problemi?"
"Se non la smetti di farmela tenere segregata i problemi li creo io a te!" gli dico con rabbia.

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