"43°: Io ERO come lui"
Bruno
Sono tornato in ospedale, per il tirocinio. Sono ancora fuori e vedo un ragazzo che sembra aspettare qualcuno o qualcosa, immobile, in mezzo al cortile, con le braccia conserte e lo sguardo al cielo. Non tardo a riconoscerlo: quella cicatrice che gli segna il volto è unica nel suo genere.
"Salvatore!" lo chiamo, ma lui non si gira. Provo con il suo soprannome, ma lo pronuncio a bassa voce. Lui, anche se sotto pagamento, sta proteggendo mia sorella da Mattia e l'ultima cosa che voglio è metterlo nei guai, anche se non approvo per niente il modo in cui si è fatto strada.
"Dottore!" dice lui, girandosi.
"Perché sei qui fuori? Chi aspetti?"
"Te." risponde.
"Me? E perché? Non ti bastano le cose che ti ho già dato?" gli chiedo, iniziando a scaldarmi.
"Te le puoi riprendere "le cose che mi hai dato"!" risponde lui, torvo, facendo il segno dei soldi con la mano sinistra. "Io non voglio più niente! Ti cercavo per chiederti il permesso di entrare a vedere come sta Dora. Solo questo."
"Cosa c'è? Per caso Mattia ti ha dato qualcosa in più? O forse è da lui che sei stato minacciato per venire a chiedermi di vederla?"
"Non mi nominare quel tizio, dottore!"
In un impeto di rabbia Salvatore Serramanico mi afferra le spalle, facendomi quasi cadere a terra. La rabbia non è tanto facile da simulare quanto lo è il senso di colpa, cosa che mi fa pensare che Mattia gli abbia fatto non so quale torto e abbasso la guardia.
"Lui... ha cercato di aggredire una ragazza che potrebbe essere molto importante per me! La sorellina acquisita del tuo amico Michele!" dice.
"Angela..." sussurro.
A sentire quelle parole un lampo appare nei miei occhi e quasi perdo l'equilibrio senza che questo tipo mi tocchi.
"Proprio lei! Dopo aver visto questo non voglio più nulla da te! Te la proteggo gratis tua sorella! Io sono una bestia senza scrupoli, ma purtroppo Mattia mi ha battuto alla grande... motivo sufficiente per marciare verso la direzione inversa e cercare di migliorare, no?"
Quello che dice mi sorprende, e anche molto. È come se lui si fosse indurito soltanto perché gli è stato imposto e avesse nella realtà un cuore buono... un cuore tenero!
"Non è che devo ricoverarti insieme a lei?" chiedo, prendendogli il polso, ma lui capisce perfettamente che sto scherzando, mi guarda e ride.
"Dottore... anche il tuo amico ha contribuito a farmi fare marcia indietro, per difendere tua sorella... e lei mi ha dato il colpo di grazia, quando si è messa vicino a lui e non si è più mossa di là fino a quando non sono andati via da dove li avevo accompagnati... quella ragazza è un vero angelo e ti consiglio vivamente di starci attento."
"Perché?"
"Perché, purtroppo, gli angeli tentano!"
Questa frase non mi piace molto e la cosa peggiore è che non posso neanche dargli torto, perché so che Mattia le ha messo gli occhi addosso. Le ragazze buone, quelle delicate, innocenti, candide, sono la massima tentazione per quelli come lui.
Poi, una volta che sono riusciti a fare i loro sporchi comodi con queste ragazze, loro diventano peggio della carta straccia. Ragazze comuni, insulse, che non hanno più nessun tipo di valore. Come se fossero merce da valutare! È orribile, maledizione, ma vero!
Una specie di don Giovanni, di quelli dei quali si scriveva in Spagna... solo che questi non sempre si "limitano" a promettere amore eterno ad una ragazza per poi sbattere loro in faccia il fatto stesso di averle prese in giro. Molti le pretendono con la forza e questo, purtroppo, è anche peggio.
"Allora, dottore? Mi fai entrare o no?"
"Vai, e trattamela bene" rispondo, sperando di non sbagliarmi sul suo conto.
Salvatore
Bruno mi spiega esattamente dove si trova la stanza della sorella, raccomandandomi più e più volte di "trattargliela bene", ed io rispondo sempre allo stesso modo, promettendo che la tratterò come fosse di vetro.
Entro in quella stanza. Lei è sempre là: pallida, rigida, quasi immobile.
Vado verso di lei, cerco la sua mano in quell'ammasso di ferraglia e plastica che le ricopre il corpo e, appena la trovo, l'afferro e gliela stringo.
"Ehi, bellezza" le dico. Non sono il tipo da parole troppo tenere e rassicuranti. Questo sa farlo meglio "il suo protettore", come a volte l'ho sentita definire Michele. "Lo so che adesso vuoi cacciarmi a calci, ma se non ti svegli non ce la farai, perché io non ho intenzione di lasciarti sola, ti avverto! Se proprio mi vuoi mandare via, ti toccherà aprire non tanto quegli occhi che vanno sempre su e giù, ma quelle labbra, cacciare un bell'urlo e spingermi via... poi decidi tu."
Aspetto qualche istante prima di vederla tremare come una foglia. Questo dimostra che è viva, sente, capisce, e che ha paura di me. Mi dispiace, ma di certo non posso pretendere che non ne abbia dopo tutto quello che ho fatto per incutergliene... è solo che ora tutto vorrei rappresentare per lei, tranne la paura, perché non c'è l'unica persona che sarebbe in grado di calmarla, come ha fatto durante le corse in auto, le mie continue allusioni al suo destino e tutto il resto.
Un brivido mi scuote quando la sento alzarsi leggermente, ma quando lo fa, per un istante, sembra calmarsi.
Inizia a sfiorare, con un ritmo tutto suo, il dorso della mia mano con il pollice, come se in questo modo stesse cercando di riconoscermi.
"Chi sei? Perché sei qui? Che cosa vuoi? Non ho fatto niente!" dice a raffica, ricominciando ad agitarsi e lasciandomi di botto la mano, come se l'avessi fatta scottare.
"Stai tranquilla, non ti farò del male!"
"Che cosa ci fai tu qui? Che cosa vuoi da me?" chiede.
"Niente, non voglio niente!" le dico. "Non voglio farti del male, credimi!"
"Tu sei come Mattia! Sei come lui, vattene! VATTENE!" urla dandomi una spinta. Per fortuna non ha molta forza e non mi fa muovere tanto da farmi finire a terra di spalle.
"Vuoi che vada a cercare lui, vero?"
"Fai quello che ti pare, ma vattene!" grida.
"Va bene, ma tu stai tranquilla." le dico, con il solito tono duro, portandola a muoversi come se cercasse di chiudersi a riccio.
"Ma che cosa fai? Ferma: ti hanno imbottita di tubi e macchine, rischi di farti male!"
Lei mi gira la faccia. Spaventata e, anche se non l'ha detto esplicitamente, so chi vorrebbe vedere in questo momento, ed è giusto che lui sappia che lei fortunatamente si è risvegliata proprio adesso.
Esco velocemente da quella stanza e dall'ospedale e vado a cercare Michele... solo che lui a casa sua non c'è.
Per doppia fortuna incrocio la ragazza che Mattia ha quasi aggredito: quella alla quale ho mostrato il tatuaggio che ho sulla schiena.
"Ehi! Scusami: devo chiederti una cosa!" le dico, appoggiandole una mano sulla spalla per farle capire che mi riferisco a lei.
Lo faccio perché non conosco il suo nome.
"Che... che cosa c'è?" balbetta.
"Tranquilla, non devo chiederti niente di eccessivo! Sai dov'è il tuo collega?"
"Intendi Michele, vero?"
"Certo! È solo con lui che ho qualcosa da spartire, cara."
"È andato a casa dei suoi... Angela è stata male ieri notte e lui è andato da lei in fretta e furia!"
"Dora si è svegliata. C'ero io con lei, ma ovviamente non è che lei si fidi tanto di me..."
"Ma tu non potevi prendere un suo contatto invece di andare in giro tipo messo dell'Ottocento, vero?" chiede.
"È meglio di no. Se il fratello dovesse notare qualcosa tramite apparecchi tecnologici saremno fregati. Tutti quanti!"
"Va bene, allora ci andiamo io, tu e il mio collega a casa di Michele. Oggi il capo non c'è e il lavoro ce l'ha mandato a casa. Non me ne vorrà se me lo porto dietro e lo continuo con Angela."
Ci raggiunge un ragazzo biondo, occhi celesti, della mia stessa altezza, che si posiziona subito vicino alla mora, come per proteggerla.
È da lui che apprendo che la ragazza si chiama Teresa e penso che mi sarà utile ricordare il suo nome, perché non credo che questa sarà l'ultima notizia che le darò sul conto dell'altra brunetta.
Arriviamo a casa di Michele, quella precedente, in cui abita l'intera famiglia, nel giro di mezz'ora a piedi. Non conviene basarsi sui mezzi pubblici, dato che abbiamo i minuti contati e sinceramente... tornare a prendere l'auto non mi sembrava il caso. Altro tempo perso.
È il biondo a suonare il campanello ed Angela ci apre.
"Ragazzi!" dice rivolgendosi ai due davanti a me. Forse non mi ha visto.
"Angela, è molto urgente... possiamo entrare?" chiede Teresa.
"Certo." dice, poi mi vede. "E lui che ci fa qui?"
"Vengo in pace" rispondo. "E comunque proprio tu dovresti ringraziarmi..."
Lei mi guarda malissimo, come se avesse appena avuto un confronto con Mattia... anzi: come se lo rivedesse in me.
Nel frattempo ci raggiunge anche Michele.
"Tommaso! Teresa! Ser... cosa? Serramanico? Che cosa ci fai tu qui?" chiede.
"Ti devo parlare della ragazzina." rispondo.
"Lei un nome ce l'ha. Comunque dimmi: di che cosa si tratta?"
"Si è svegliata un'ora fa" rispondo. "Io ero con lei, ma quando ha capito che non sono te si è messa a gridare ed io credo che ora abbia bisogno di vederti. Non si veda di me, e dopo tutto quello che ho fatto per ottenere proprio questo non posso darle torto... però ha fiducia in te!"
Lui si blocca letteralmente sul posto e mi guarda sorpreso.
Si volta verso la sorella, come per chiederle il permesso, e lei gli sorride.
"Una come lei ha bisogno di uno come te. Vai, Michele!"
"E tu stai tranquilla, okay? Non vorrei tornare dall'ospedale per venire a prenderti e portarci te!" le dice lui, premuroso, per poi darle un bacio sulla fronte, da bravo fratello maggiore... cosa che non è Mattia, e che forse nemmeno io sarei stato se avessi potuto conoscere mia sorella, perché è questo il modo in cui sono stato cresciuto.
Michele
Vado in ospedale di gran carriera, con una mano al petto, sperando che il cuore non mi faccia scherzi. Non oggi... non in questo momento, ti prego! Ho bisogno di lei e lei, chissà per quale strana ragione, ne ha di me, almeno da quanto ha detto quella specie di Boss, che probabilmente ha anche una doppia personalità. Fino all'altro giorno se ne sarebbe infischiato di lei... ora corre avanti e indietro solo per aiutare lei.
Arrivo a destinazione e fortunatamente mi fanno entrare subito. Un'infermiera mi dice che devo correre, perché "la ragazza della camera 228" sta chiamando il mio nome in maniera delirante e non se ne comprende la ragione. Io sono il primo a non capirla, a dire la verità, ma corro lo stesso, fino a quella stanza. Laorta è stata lasciata aperta, anche se c'è un'altra infermiera di guardia. Mi osserva per qualche istante, poi mi sorride.
"Vieni ragazzo, svelto!" mi dice, indicandomi il lettino. Riconosco quella vocina flebile che sussurra il mio nome come se avesse paura, quelle dita sottili e tremanti come foglie, quel viso che ha perso il suo color rosa per lasciar spazio a un bianco forse troppo intenso.
"Piccola, sono io! Sono qui!" le dico.
"Michele..." sussurra nuovamente.
Le prendo la mano sinistra, la più vicina, e me la porto sul viso. Lascio che lei si prenda la libertà e il tempo che le occorrono per riconoscermi.
"Hai visto? Sono io, piccola! Sono qui!" dico quando la sua mano si ferma, coprendomi l'occhio destro.
Non la sposto, perché quel contatto sembra calmarla un po'.
"Io... non... voglio... perderti." dice.
"No! Tu non perderai proprio nessuno, tesoro mio... ma per farlo a dovere devi cercare di riprenderti, di tornare a stare bene! Faremo di tutto per risolvere questa faccenda, ma per farlo devi prima star bene, è chiaro?"
"Tu resterai qui... vero?" mi chiede.
"Se tu lo vuoi io mi metto qui, accanto al letto, e non mi sposto più." rispondo.
"Non potrei mai chiederti questo... ma ti prego: tienimi la mano. Almeno per un po', ti prego!" mi dice.
È talmente tenera mentre me lo dice che mi sentirei in colpa se le dicessi di no... anche perché mi ha semplicemente chiesto di tenerle la mano.
Tolgo quella mano dal mio occhio destro e la tengo stretta. È piccola, calda e delicata, e trema tantissimo.
"Tranquilla, tranquilla, va tutto bene" le dico e, anche se forse non è del tutto vero, quello che mi fa sentire più tranquillo è il fatto che lei sembra crederci.
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