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"38°: I tormenti di Michele"

Michele
È incredibile quanto le cose migliorino lentamente e possano, al contrario, peggiorare radicalmente nel giro di qualche giorno. Lei reagisce agli stimoli esterni, ma solo con pochi movimenti.
Suo padre ha saputo del suo malessere ed ora si può dire che stia esattamente come lei. La madre, poverina, tira avanti a stento.
Cerca denaro per liberarla ed io mi sento sempre più in colpa. Bruno si fa forza per la sua famiglia ed io non sono in grado di contrastare il male che affligge la mia.
In due settimane è crollato praticamente tutto. Mattia continua a fare l'idiota e Angela si è messa sulla difensiva, chiudendosi a riccio o rispondendogli a monosillabi. Non parla più nemmeno con i nostri genitori.
A stento si rivolge a me per chiedermi come sta lei e ogni volta che le rispondo piange.
Mattia è un mostro! Nemmeno davanti ad una vita traballante come un funambolo imbranato riesce a provare un minimo di pietà.
E io... praticamente al casale non ci vado più. Lavoro, casa mia, ospedale. Ospedale, lavoro, casa. Casa, lavoro, ospedale. Non importa l'ordine: la mia routine, ormai, è solo questa e tiro avanti per le persone che amo, soprattutto per lei, perché non voglio vederla crollare. Le voglio troppo bene, non voglio che se ne vada.
"Sei pallido, Michele." mi dice gentilmente il signor Ciro, posandomi le mani sulle spalle, come per darmi conforto.
"Non si preoccupi, sto bene." gli dico.
"Non direi. Io so che c'è anche un male fisico che ti affligge. Non dovresti strapazzarti così, Michele."
"E a lei chi ci pensa?" dico senza riflettere sul fatto che il signor Ciro, di questa storia maledetta, non sa assolutamente niente, perché lei, quando è venuta qui insieme a me, ha voluto coprirmi con lui. Quando mai una ragazza che viene rapita copre volontariamente il suo rapitore?
"La sua famiglia. Chi dovrebbe pensarci?" mi dice, infatti. "Ti stai facendo soltanto del male."
"Mi scusi... è vero... la sua famiglia." cerco di rimediare, ma quanto riuscirò ad ottenere solo con queste parole? Quanto?
"Sei innamorato di lei?" chiede il mio capo. Mentre incarto un'altra statuetta che le somiglia in maniera impressionante, stavolta anche con una benda sugli occhi. Io mi fermo di colpo, con le mani tremanti, mi giro verso di lui e lo guardo negli occhi, anche se faccio molta fatica a sostenere quello sguardo che, seppure paterno, sembra togliermi quella corazza che ho dovuto creare a causa delle cattive azioni di mio fratello.
"Non lo so cosa mi succede con lei... l'unica cosa che so con certezza è che mi fa male vederla in un letto d'ospedale bianco come tanti altri, con il corpo imbottito di tubi, macchine, flebo, medicine. Mi fa male non sentire la sua voce da due settimane e mi fa male aver paura che mio fratello possa prendersela con lei, perché mi ha detto che quando era solo una bambina lui l'ha già fatto!"
"Perché hai tanta paura di tuo pratello e allo stesso tempo provi tanta rabbia nei suoi confronti? Per caso lui ha intenzione di farle qualcosa in particolare?"
"Lui ha sempre cattive intenzioni quando una ragazza, secondo quella sua strana e dannata logica, attira la sua attenzione, e si ferma solo dopo averle rovinato la vita!" dico.
Nel mio tono c'è davvero una rabbia che riesco a reprimere a stento, ma purtroppo è molto intensa ed è forse questo il motivo per il quale, avvertendone l'intensità, percepisco anche il solito dolore al petto.
"Michele!" esclama il signor Ciro. Le mie mani tremano, il pacchetto con la scultura mi cade, fortunatamente sul banco da lavoro, e il sudore freddo a contatto con la mia fronte e le mie guance mi fa capire che sto per sentirmi nuovamente male.
"Michele, girati! Guardami!" ripete nuovamente il mio capo. Io mi volto nella sua direzione, pur facendo un po' fatica a tenere gli occhi aperti. Lui mi tocca le spalle: anche queste ricoperte di sudore freddo. Il dolore al petto diventa insopportabile e vengo sopraffatto anche da un attacco di nausea. Mi alzo barcollando e cerco di uscire, ma cado sulle scale, proprio come è capitato a lei, quando è fuggita senza il suo supporto. Sento due mani piccole e fresche afferrarmi per le braccia ed aiutarmi a rimettermi in piedi, anche se non so quanto potrò resistere.
"Vieni, Michele" mi dice gentilmente la mia collega.
Mi porta sotto un albero e mi aiuta a sdraiarmi sull'erba fresca. Le sue mani sono sul mio petto e la sento premere con non poco vigore su di esso.
"TOMMASO, TI PREGO! PRENDI DELL'ACQUA!"
Tommaso a quanto pare la sente.
"Michele, guardami! Qualsiasi cosa succeda non smettere mai di guardarmi! Mai" mi dice, ed io ci provo, anche se faccio fatica a tenere gli occhi aperti. In questo momento mi sento uno straccio peggio del solito. Come pretendo di aiutare lei se non riesco nemmeno ad aiutare me stesso? Maledico mille e forse persino più volte questa malattia. Respiro lentamente, cercando di incanalare più aria possibile. Per fortuna Tommaso ritorna con un bicchiere d'acqua in mano.
"Manda giù questa, Michele!" dice.
Bevo lentamente l'acqua e capisco che quella maledetta pillola vi è stata sciolta dentro. È orribile, ma almeno porta un po' di sollievo.
Ovviamente l'effetto non è istantaneo. Il dolore continua, ma almeno non è forte come lo era solo qualche minuto fa e, gradualmente, va via del tutto. Quando mi sento pronto mi alzo in piedi, appoggiandomi all'albero, che ora come ora mi fa da sosteggo.
"Michele, forse sarebbe meglio se tornassi a casa. Ci vado io da lei." dice Tommaso. "Bruno conosce anche me... gli riferirò io che stai poco bene."
"Tommaso... non è lei ad avere bisogno di me... sono io ad aver bisogno di lei" ribatto.
"Certo, ma non hai bisogno di finire in ospedale perché non riesci a stare un attimo tranquillo. A casa tua ci stai al massimo mezz'ora, la notte resti in ospedale, il giorno vieni qui per lavorare... non puoi certo continuare così, amico. Lascia che ci vada io!"
Lui non fa in tempo a continuare, perché mia sorella Angela ci raggiunge, tutta trafelata.
"MICHELE!" grida correndomi incontro. "MATTIA STA ANDANDO IN OSPEDALE! NON SO COSA VOGLIA FARE, MA DOBBIAMO IMPEDIRGLI DI ANDARCI!"
Io, purtroppo, un'idea ce l'ho.
"Angela!" esclamo attirandola a me. "Piccola... santo cielo! Che cosa sono questi graffi?"
"È stato lui... è stato lui..."
La guardo. Il suo viso pallido è segnato da piccole righe rosse e ha un occhio gonfio. Lei l'ha scoperto e lui, per tenerla "buona", l'ha anche aggredita!
"Tranquilla, Angela. Penseremo noi a lui. Voi due restate qui e non preoccupatevi di niente."
"Angela... come hai fatto a scappare?" le chiedo.
"È arrivato un ragazzo con un cappuccio che ha allontanato da me Mattia e mi ha detto di venire a cercarti e dirti che lui ha pessime intenzioni!"
Un ragazzo con un cappuccio in testa. Salvatore Serramanico! Ma perché sta facendo tutto questo? Perché?

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