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"37°: I segnali di un misterioso salvatore"

Teresa
Mi solleva e prova a buttarmi a terra, quando un ragazzo che sembra comparire dal nulla lo colpisce con un pugno in faccia.
"Che storia è questa, Mattia?" gli chiede. "Non ti è stato ancora detto nulla? Le donne non si toccano!"
"'O Serramà!" esclama Mattia.
"Vai via che è meglio!" gli dice il ragazzo con tono freddo.
"Quella è un'amica di mio fratello! Ci stavamo soltanto divertendo un po'."
"Non mi sembra che a lei stesse piacendo quello che facevi... e mi sembra che tu stessi anche per farle piuttosto male!"
Mattia non parla. Si alza da terra con una mano posata sulla guancia e si allontana con la testa china.
"Grazie..." gli dico con un filo di voce.
"Non ti conviene restare ferma davanti a uno come lui... e non dovresti rimanere a parlare neanche con uno come me, ragazzina!" mi dice con quel tono gelido che adesso terrorizza anche me. Faccio un passo indietro e abbasso lo sguardo. I suoi occhi azzurri sono penetranti.
"Perché ti chiamano Serramanico?" chiedo sottovoce. Ho anche paura di respirare troppo forte davanti a lui. Ho paura che se lo facessi potrebbe cambiare idea e farmi del male.
"Se non mi guardi non lo capirai" risponde. Io lo guardo. Lui si tira su la maglietta, si gira di spalle e mostra delle spalle forti e larghe. È molto alto. Quello che mi fa capire perché questo tizio si fa chiamare con questo nome, però, è un tatuaggio che ha a metà schiena.
Ha un enorme coltello a Serramanico disegnato in quel punto. Per fortuna in questo vicoletto non c'è proprio nessuno, perché se mi avessero sentita cacciare una specie di urlo lui avrebbe cambiato idea e mi avrebbe fatto malissimo, ne sono sicura!
Lui si tira giù la maglietta e si volta nuovamente verso di me.
"Beh? Che ne dici? Ti piace il mio tatuaggio?" mi chiede il ragazzo con tono stranamente tranquillo e non freddo quanto lo era poco fa. È conciliante.
"Senti, carina, a me non piace per niente il modo in cui si sta comportando Mattia ultimamente. Ho paura che se la prenda con Dora come voleva fare poco fa con te" dice dopo qualche minuto di silenzio. Porto entrambe le mani al cuore e lo sento battere a mille. Se lui facesse a Dora quello che voleva fare a me e non ci fosse qualche intervento provvidenziale lei non se la caverebbe con qualche graffio.
"E tu che ne sai di lei e soprattutto, visto che mi hai chiaramente detto che sei uno di quelli... mi spieghi come potrei fidarmi di quello che mi dici?" gli chiedo, cercando di nascondergli il mio terrore.
"Li conosco entrambi. Dora e Michele. Come li conosco preferisco non spiegartelo, perché potrei creare problemi a loro, e per quanto la piccoletta piaccia anche a me e mi scontri spesso con Michele, non sono tanto cattivo come potrebbe esserlo uno di loro..."
In effetti "uno di loro", un Boss di quelli della televisione, non mi avrebbe di certo salvata dalle grinfie di quel maledetto.
"Va' a casa che è meglio! E di' a Michele di stare attento a suo fratello" ripete il ragazzo misterioso che mi ha salvata da Mattia.
Io mi volto di spalle e vado via, senza fare altre cerimonie.
Continuo a pensare alle parole che mi ha detto quello strano ragazzo. Ripenso alle sue parole in continuazione, come se mi avesse infilato nel cervello un martello pneumatico, di quelli che quando li senti ti fanno portare le mani alle orecchie per quanto t'infastidiscono con quel suono.
Torno a casa proprio con le mani alle orecchie, rischiando più volte di cadere.
Quando rientro vedo mia madre, che mi guarda con preoccupazione e tenerezza. Mi viene incontro e mi stringe a sé, come se, in qualche modo, avesse compreso tutto quello che mi è successo con quell'idiota di Mattia. Magari non l'avventura con Serramanico, ma il resto so benissimo che l'ha immaginato.
"Mamma!" le dico a bassa voce, stringendomela al petto e sentendola rabbrividire per la febbre.
"Piccola... mio Dio, che cosa ti hanno fatto?"
"Per fortuna non sono riusciti ad arrivare fino in fondo, mamma... io sto bene, ma sono molto preoccupata per una persona." le spiego cercando di calmarmi, ma non ci riesco. Non del tutto, perlomeno.
"Chi, piccola?"
"Non so se hai sentito parlare dell'amica del mio collega... Michele. Quella che mi somiglia." dico.
"Ho capito. Ma lei non è a casa sua per un esperimento?" chiede la mamma.
Oh mio Dio! Maledetta me e la mia linguaccia lunga, ma perché non riesco a starmene buona? Perché, perché?
"Certo... però credo tu sappia che il fratello è una testa bacata" rispondo cercando di starmene tranquilla. Beh, tranquilla è un parolone, ma fa lo stesso.
"Ah, ho capito. Però la sola cosa che potresti fare... sarebbe allertare la polizia e lasciare che se ne occupino loro."
"No!" dico facendo uno scatto indietro.
Se parlassi con la polizia dovrei dire che Michele, anche se in buona fede, l'ha sequestrata e rimarrebbe dietro le sbarre per molti anni.
Di solito non lo direi, ma in questo caso è una fortuna che per un sequestro non sia previsto il massimo della pena... che qui non corrisponde all'ergastolo, ma a qualcosa di peggio... molto peggio! Il mio amico non lo merita: è una brava persona e, soprattutto... le vuole un gran bene. Lo vedo da come le tiene la mano, da come la guarda e anche dal modo di proteggerla da chiunque osi avvicinarsi per farle qualcosa di male.
"Come no? Che storia è questa? Cosa succede?"
"Niente, mamma" rispondo. Vado a prepararle la medicina e preparo la cena per lei e per me. Mi tremano le mani solo al pensiero che Michele finisca in galera. In ogni caso non sopravviverebbe.
Non tanto per gli altri detenuti, perché con queste cose che hanno fatto i più pericolosi pensano soltanto a quando verranno uccisi.
O, in casi estremi, vengono continuamente sedati dalle guardie e svegliati solo per nutrirsi. Quando non si nutrono autonomamente le guardie mettono loro una flebo.
So tutto questo perché mio padre è un commissario. Mi racconta che spesso i condannati diventano amici.
Dopo la cena io dico alla mamma che devo andare da Michele. Lei non sa che lui e Dora non abitano più qui.
Prendo un foglio di carta ed una penna e corro fuori dalla casa di Michele. Scrivo velocemente un biglietto, tanto domani Michele verrà qui, per far credere che abitano ancora in quella casa.
"Michele, oggi ho incontrato tuo fratello. Ha cercato di aggredirmi... ma è arrivato un ragazzo, che gliel'ha impedito. È un tale Serramanico, ed ha detto che devi fare attenzione, perché lui vuole farle qualcosa di orribile!"
Glielo infilo sotto la porta e ritorno a casa.
Michele
Oggi ho finito più tardi di lavorare. Vado a casa mia, per far credere che viviamo qui, ma stasera non tornerò al casolare. Andrò in ospedale, perché ho un disperato bisogno di vedere quella ragazza. Devo sapere come sta.
Appena arrivo, però, trovo un bigliettino infilato sotto la porta. Lo raccolgo e leggo la calligrafia della mia amica.
Quando leggo il testo del biglietto, però, un brivido mi scuote tutto il corpo. Mattia ha provato ad aggredirla, accidenti a lui!
E poi... cos'è questa storia? Che le ha detto Serramanico esattamente? Che ne sa di quello che potrebbe succedere a lei?
Ora, però, l'unica cosa che posso fare è aspettare che Mattia se ne vada, tornare in ospedale e vedere Dora. Ne ho un disperato bisogno.
Vado a sdraiarmi sul letto e fingo di parlare con lei, di rassicurarla per qualcosa che lei pensa continuamente.
Per stare sicuro aspetto le due di notte.
Quando ho la certezza che lui sia andato via esco lentamente di casa, cammino lentamente e mi dirigo verso l'ospedale.
Entro dal cortile e faccio un segno alla guardia.
"Mi scusi..." dico a bassa voce. "Sono Michele! Michele Genovesi. Sono qui per Dora."
"Ah... certo! Michele! Vieni con me" mi dice gentilmente l'uomo, precedendomi all'interno dell'edificio. È tutto bianco, l'aria è calda, bollente, e c'è quel suono orribile di fogli e strani macchinari.
Mi fa entrare in una stanza ed io guardo verso un lettino, bianco come tutto quello che si trova in questo posto, ma non anonimo come le altre cose. Non è un lettino anonimo, perché c'è lei.
M'inginocchio vicino a quel lettino e guardo quel corpo minuto, nascosto da tubi, lenzuola e strane macchine.
Se non sapessi che c'è un motivo per il quale lei è in queste condizioni penserei che la stiano usando per degli strani esperimenti e il solo pensiero mi fa accapponare la pelle.
"Santo cielo... tesoro mio!" le dico provando a prendere la sua mano.
"No, aspetta... ti do una mano" dice una giovane infermiera, spostando con precauzione un tubo e una flebo che, per le loro dimensioni, le coprono quasi tutte le braccia, comprese le mani. Riesco a trovare la sua mano. È fredda come se fosse fatta di ghiaccio e questa sensazione di freddo sulla sua pelle mi fa veramente paura.
"Tesoro... puoi sentirmi? Sono io... Michele" sussurro. "Per favore, svegliati! Non ce la faccio a vederti così..."
Lei, ovviamente, non parla, ma sento la sua mano chiudersi e stringere la mia come se volesse calmarmi. La sua pelle è un po' più calda. Lei è viva! Non può parlare, certo, ma può sentirmi!

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