"154°: Le cicatrici di un bambino"
Salvatore
Questa ragazza mi stupisce ogni volta di più. Mi ha capito, senza poter leggere le cifre e le lettree scritte su quelle maledette carte che mi hanno scombussolato... ha lasciato che mi sfogassi, ha capito che mi avrebbe fatto rabbia sentirmi dire le solite cose e mi ha semplicemente abbracciato, per darmi conforto.
Usciamo dall'ospedale ed io mi stringo a lei. Devo dire la verità ad Angela, ma come posso farlo? Come la prenderà lei? Mi odierà dopo questo? Mi odierà perché crederà che io abbia lasciato che mio padre l'abbandonasse in mezzo ad una strada quando la sua vita era iniziata solo da qualche minuto?
Le domande mi affollano la mente e un'ansia che non ho mai provato prima mi pervade completamente. Lei lo capisce, anche se non so come, e con il pollice della mano che stringe la mia per infondermi il coraggio necessario, mi accarezza il dorso della mano senza proferire una parola. La ringrazio, aumentando un po' la presa sulla sua mano. Quella mano delicata, fragile, che mi ha fatto da sostegno in un momento in cui non ce l'avrei fatta da solo, nonostante la "corazza da duro", come dice lei, un momento in cui ne avevo troppo bisogno.
"Vuoi aspettare un po' prima di andare da Angela? Magari camminando avrai le idee un po' più chiare riguardo quello che potrai dirle per raccontarle questa storia."
"Tu credi? Io credo di dover togliere subito il dente che mi fa male, Dora."
"Salvatore, ora ascoltami bene. Angela non è un dente guasto, capisci? Lei è una persona con la quale hai un legame, sia sanguigno che affettivo. Solo che lei questo non lo sa ancora e a te è toccato l'ingrato compito di dirle la verità. Di dirle che il padre... forse non era pronto per crescere due bambini invece che crescerne solo uno, o forse non voleva che anche la bambina finisse per essere coinvolta nella vita complicata che tu ti sei trovato a fare."
"Tu dici queste cose perché sei troppo buona, e non riesci a concepire la cattiveria, nonostante tutte le volte in cui questa ti è stata dimostrata da un mostro... mio padre è come Mattia, se non peggio. Quando ha saputo che mia madre aspettava una bambina invece del secondo maschio, non puoi immaginare che cosa le ha fatto passare ed io non me la sento di raccontarlo a te perché ne soffriresti... e lo sentirebbe il tuo bambino."
"Salvatore, dimmelo! Che cosa le ha fatto tuo padre?" chiede lei, anche se credo che lo immagini.
Le immagini di mio padre che sovrasta la piccola figurina pallida di mia madre, la colpisce con violenza sul volto e le mette le mani intorno al collo. Io corro fuori e mi metto ad urlare per chiedere aiuto. Quello che all'epoca era il capo di mio padre e voleva bene a mia madre come se ne può volere ad una figlia, lo ferma e lo porta via. Io non capisco. So solo che mia madre mi abbraccia forte, mi bacia sulle guance e, tra le lacrime, continua a ripetermi che mi vuole bene, un bene dell'anima.
Non riesco a descrivere tutto questo a Dora.
Lei, però, comprende buona parte dei dettagli. Comprende che mio padre ha colpito mia madre... e l'ha torturata psicologicamente prima del parto. Io sono sempre stato convinto che se mia madre non è sopravvissuta al parto, la colpa è soltanto sua.
E dopo... lui se la prendeva anche con me. Ma io, all'epoca, non reagivo come gli altri bambini. Da quando aveva alzato le mani su mia madre, quell'uomo aveva smesso di essere un uomo per me, e se lui mi colpiva, io lo colpivo di più e più forte.
"Dammi la mano" dico semplicemente e lei mi tende l'altra mano. "Questa" dico toccandomi il taglio sul viso, "ce l'ho per colpa sua! Lui me l'ha procurata! Era sempre ubriaco e alla fine tutto quell'alcool l'ha portato via... e forse Angela si è salvata quando lui l'ha abbandonata. Avrei voluto che lasciasse anche me. Forse, chissà, saremmo finiti nella stessa famiglia. Forse io non sarei stato il mostro che ero prima di conoscere te e Michele." dico.
Lei non riesce a dire il solito: "Mi dispiace". Non riesce a dire proprio niente. Si limita solo a coprire la mia cicatrice con la mano destra e sfiorarla piano piano, come se, in questo modo, fosse capace di portarmi via tutto il dolore.
"Santo cielo... io... io..." mi dice con un filo di voce. "Io credo che tu abbia ragione a dire che in fondo Angela non è stata tanto sfortunata ad essere abbandonata da quell'uomo... e scusami, perché so che ti fa male che qualcun altro dica queste cose di tuo padre... ma io... io non capisco... come si può far del male a un figlio in questo modo? Io che un figlio lo aspetto, mi taglierei un dito piuttosto che metterlo su di lui per fargli del male! E credo che neanche Michele farebbe mai una cosa simile, o non mi avrebbe chiesto se volevo tenerlo."
La guardo e mi si spezza il cuore nel vedere che il suo viso è inondato di lacrime. Mi maledico mille volte: l'emotività di una donna incinta supera di molto quella di una qualunque altra donna. Anche se prima che in lei sia evidente la gravidanza dovrà passare parecchio tempo.
"Mi dispiace... non avrei dovuto dirtelo!"
"E perché no?"
"Perché sapevo che ne avresti sofferto, anche se non c'entri."
Lei scuote energicamente la testa. La vedo lasciarmi le mani e asciugarsi velocemente il viso. "Andiamo, se vuoi." dice.
"Dov'è che vuoi andare?" le chiedo.
"Da Angela. L'hai detto tu che speri di poterle parlare subito. Com'era? Via il dente, via il dolore. O no?"
Il suo cambiamento mi sorprende. Vedo che si sta sforzando di apparire serena, ma non dico nulla in merito.
Andiamo a casa di Angela ed è proprio lei ad accoglierci.
"Ehi, Salvatore! Che faccia scura... è successo qualcosa di grave?" chiede.
"Ecco... io..."
Inizio a mordermi nervosamente le labbra. Non so come, ma lei si accorge della mia tensione, mi appoggia una mano sul braccio poiché non arriva più in alto, e dice: "Salvatore vorrebbe parlarti di una questione... che riguarda tanto te quanto lui. Se volete... io posso aspettare fuori. È una faccenda tra voi due, in fondo."
"No, per favore!" le dico prima che possa lasciarmi il braccio. "Puoi restare. Mi hai sostenuto fino a questo momento e non credo che ce la farò a parlare di questa cosa se non ci sarai tu. Per favore..."
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