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"138°: Una terribile notizia"

Dora
È mattina presto quando la porta della mia camera d'ospedale viene aperta. Non ho quasi più dolore, se si esclude quello che provo alla testa. Cerco di alzarmi, ma vengo fermata da un braccio forte, anche se sottile.
"Non spaventarti, sono io" mi dice il ragazzo con voce gentile. Lo riconosco subito e c'è qualcosa che mi spezza il cuore.
"Che cos'hai, Michele? Devi dirmi qualcosa?"
"Ti fanno ancora male gli occhi?" chiede.
"Un po'... ma perché?" gli chiedo di rimando. "Cosa succede ai miei occhi, Michele? Cosa succede?"
Lui non mi risponde. È come se ci fosse qualcosa che lo blocca, che lo costringe a non parlare, ed io proprio non riesco a capire.
"Ti prego, dimmi che cosa devo aspettarmi! Per favore..."
Mi tiro su, lentamente, e cerco la sua mano vagando per un po' con le braccia. Quando la trovo la tengo stretta tra le mie. Stavolta sono io a volergli infondere coraggio, perché magari questo lo aiuterà a dirmi che cosa devo aspettarmi.
"Non potrò fare più niente per te, piccola... quella roba... ha bruciato completamente il tuo nervo ottico... adesso è come se nella tua testa ci fosse solo un mucchietto di cenere" mi dice.
"Ma io non te l'avrei mai chiesto! Perché ti turba tanto il fatto che non potrò mai acquistare la vista?" chiedo.
"Non è tutto... c'è dell'altro. Ha sempre a che fare con i tuoi occhi" dice lui, sfiorando delicatamente il dorso della mia mano con il pollice.
"Cosa? Dimmi."
"Tu hai mai pensato al bianco? A cosa lo associ?" mi chiede. Ho la netta sensazione che ci stia girando intorno.
"All'innocenza... alla neve, che è molto fredda... e... e poi non lo so."
"Ecco... il fatto è... è che quel colore potrebbe diventare... una parte di te..."
Lui mi copre gli occhi con la mano libera e comincio a capire cosa intende.
"No... no. non può essere, no!"
Lui resta fermo, come se tutto questo non lo toccasse... come se soltanto le mie lacrime potessero farlo.
"Ti prego, non guardarmi... vai via!" gli dico.
"Perché? Di cos'hai paura?" mi chiede, stringendo forte la mia mano.
"Prima o poi il peso della ragazza con gli occhi strani diventerà insostenibile... preferisco essere io a mandarti via, piuttosto che scoprire di essere stata abbandonata... Ti prego, vai!"
"Perché dovrei abbandonarti? Solo per questo?" chiede.
"Sono piena di macchie... e poi c'è questo... a breve non avrò più niente, e tu ne pagherai le conseguenze se resterai qui con me... ora vai!"
Lui resta fermo, come se tutto quello che gli sto dicendo non avesse a che vedere con lui... come se io stessi parlando con un'altra persona.
"I tuoi occhi non sono affatto orribili. Non lo sono mai stati e non lo saranno mai, hai capito?" Il suo tono è tranquillo, ma determinato. "E lo sai perché?"
Scuoto energicamente la testa.
"Perché questi sono gli occhi di una guerriera! Sono occhi che non hanno mai visto, ma hanno parlato a tu per tu con il dolore... hanno versato lacrime, si sono illuminati, e continuernno a farlo. Tutti i guerrieri, dopo le battaglie, portano dei segni... e tu hai lottato solo con un'arma: quella dell'amore. I tuoi occhi sono belli perché appartengono a te, che sei una ragazza coraggiosa! Non te ne devi mai vergognare, hai capito?"
Lo so che lui è buono, che sta cercando di consolarmi... ma quanto potrà essere vera questa favola della guerriera?
"Ti prego..." sussurro, ma lui non mi lascia nemmeno il tempo di continuare. Mi attira a sé e mi abbraccia, cullandomi come fossi una bambina... come, molto spesso, ha fatto Bruno.
La differenza risiede nel fatto che Bruno questa cosa la faceva per una ragione diversa.
"Puoi dire quello che vuoi, ma io non posso e non voglio lasciarti sola!"
Romano
Quando apro gli occhi resto sconvolto nel vedere dove mi trovo. Cerco di alzarmi, perché mi sento soffocare in questa stanza... devo andarmene, e anche in fretta... ma quando provo ad alzarmi un urlo viene fuori dalla mia bocca.
Mi sento come se fossi caduto da un chilometro di altezza.
"Che fai?" mi dice una voce che mi sembra piuttosto burbera. Mi giro e vedo un ragazzo che ha proteso un braccio per spingermi di nuovo sul letto.
"Chi sei?" gli chiedo. Penso di averlo già visto da qualche parte, ma proprio non ricordo dove.
"Non fare il finto tonto, Romano! Tu mi conosci benissimo! Sono Bruno, il fratello della ragazza che quell'idiota del tuo collega, Mattia, ha quasi ammazzato: ecco chi sono!"
"Romano? È questo il mio nome?" chiedo.
"Come sarebbe?"
"Sono serio. È questo il mio nome?" ripeto.
"Certo che è questo! Mi stai prendendo in giro, per caso?"
"No... ti assicuro che non ricordo nulla!"
"Molto bene! Allora ti porterò qui una persona e vedremo se ricordi qualcosa!" mi dice il ragazzo con un tono più che glaciale. Ma che cosa gli ho fatto?
Michele
Bruno entra nella stanza della sorella come una furia e mi dice che ha urgente bisogno di me.
"Bruno... non posso!" dico, indicando sua sorella, ancora in lacrime.
"Tesoro, ascolta: non te lo ruberò per molto, promesso! Giusto il tempo di capire se Romano sta fingendo o no." le dice Bruno.
"Romano? Che c'entra Romano adesso?" gli chiede lei.
"C'entra perché Mattia l'ha riempito di botte e Romano è finito in ospedale... si è appena ripreso e sostiene di non ricordare niente." risponde Bruno.
Lei annuisce soltanto ed io seguo Bruno, che mi porta nella stanza di Romano. Quando lo vedo stento a riconoscerlo: il volto è coperto di bende e tutto il suo corpo è ingessato. Possibile che mio fratello gli abbia rotto ogni singolo osso del corpo? A questo punto non ritengo neanche improbabile che abbia perso completamente la memoria...
"Ma cos'ha combinato mio fratello?" chiedo sorpreso.
"Gliele ha suonate." risponde Bruno.
"Chi è questo ragazzo?" chiede Romano.
"Sono Michele. Michele Genovesi." rispondo, tendendogli la mano come per presentarmi.
"Michele Genovesi?" ripete.
"Non ti ricordi di me, vero?" gli chiedo, cercando di usare il tono più pacato che mi riesce.
"No... proprio non mi ricordo."

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