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"137°: Medicina e cattive notizie"

Dora
Quando mi sveglio tasto il letto e scopro che lui non c'è.
Il panico m'invade e cerco di alzarmi, ma qualcuno mi ferma con delicatezza, impedendomi di alzarmi.
"Tesoro, stai tranquilla. Michele è andato a cercare il medico. Non ti ha abbandonata." mi dice mio padre.
Sento il suo sguardo su di me e d'istinto gli giro la faccia.
Non ce l'ho con lui... il fatto è che non ho avuto il coraggio di dirgli cos'è successo tra me e Michele la notte prima dell'esecuzione.
"Piccola, non devi vergognarti. Io so tutto, e poi non siamo nel Medioevo... se non prima. Se lui ti ama e tu lo ami, va bene. È giusto che stiate insieme!"
"Chi te l'ha detto?" chiedo.
"Nessuno. L'ho capito. Era cambiato qualcosa in te."
"In che senso?"
"Eri più serena... almeno quella notte, quando il poliziotto ti ha riportata a casa. Sembravi star bene... e avevi un sorriso bellissimo. Sai... Michele mi ha soltanto giurato che se tu avessi voluto che si fermasse lui si sarebbe fermato. E non sai quanto gli faccia male vederti soffrire in questo modo. Non fa altro che darsi la colpa di quello che è successo!"
"Perché lui, che non c'entra proprio niente?"
"Perché lui crede in un filo conduttore. Lui era condannato, tu hai cercato di salvargli la vita e per vendicarsi Mattia ti ha sparato addosso. E questo segno" dice toccandomi il collo, "non se n'è ancora andato. Michele deve aver visto anche questo... lui ti vuole tanto bene, tesoro!"
"E cosa gli sto dando io, in cambio? Dolore. Solo dolore... e i miei occhi! So che sta accadendo qualcosa ai miei occhi, perché mi fanno male... come se qualcuno li colpisse... con un martelletto!"
Il dolore si ripresenta ed io nascondo il viso nel cuscino infilandovi anche le unghie.
Se lo faccio è solo perché non voglio gridare.
"Piccola... Ehi! Ti prego, resisti! Resisti!"
Io ci provo, ma mi tocca stringere ancora più forte il cuscino.
Sento qualcun'altro entrare nella stanza di corsa.
Una mano si posa delicatamente sulla mia testa.
"Tesoro, sono io: Michele! Coraggio, cerca di alzarti! Il dottore mi ha detto che devo assolutamente darti quello che ho portato... una medicina che potrà aiutarti" mi dice con il suo tono pacato.
Cerco di alzarmi, ma il dolore s'impossessa di tutto il mio corpo, ragione per la quale, insieme allo sforzo, contraggo la mascella. Cerco di tirarmi su a sedere, ma non ci riesco e crollo di nuovo sul letto, miseramente.
"Ti aiuto io." mi dice Michele per poi prendermi in braccio e farmi sistemare sulle sue ginocchia. Mi stringe forte la vita con un braccio per impedirmi di cadere a faccia in giù sul pavimento. "Signor Vittorio, potrebbe diluire il contenuto di quel flaconcino con un po' d'acqua?" chiede, probabilmente rivolgendosi a mio padre.
Credo che lui abbia fatto quello che gli è stato chiesto.
"Ce la fai a reggere il bicchiere, piccola?" mi chiede Michele.
"Non... non lo so..." rispondo.
"Va bene, tranquilla. Cerca solo di aprire la bocca. Del resto mi occuperò io." mi dice, sempre con dolcezza, dandomi un bacio sulla guancia. "Rilassati... sta tranquilla!"
Sento qualcosa a contatto con le labbra, apro la bocca e un liquido dal gusto amaro vi si fa spazio. Lo mando giù, senza proteste, perché sono più che sicura del fatto che questo potrà guarirmi.
"Ecco... brava! Mandalo giù, tesoro." mi dice il ragazzo che mi tiene ancora stretta al suo petto.
Quel liquido mi deve aver provocato un senso di spossatezza, perché appoggio la testa sulla spalla del ragazzo che mi ha fatta innamorare e mi addormento...
Michele
La rimetto a letto, con delicatezza, e le prendo la mano sinistra. È fredda, come se non fosse una mano, ma una lastra di ghiaccio che ne ha assunto la forma. Cerco di non stringere, perché non voglio svegliarla, e la sfrego delicatamente tra le mie, per scaldarla almeno un po'. Guardo quella mano, poi il braccio e tutto quello che riesco a vedere. La fasciatura ruvida alla spalla, le macchie di tutte le forme possibili e di tutti i colori, miste a puntini, anch'essi di vari colori, e a solchi che si è aperta sulle braccia, forse per non gridare.
"Dove ti sei procurato quella medicina?" mi chiede Vittorio.
"In carcere. L'ho richiesta prima di andarmene, ma non potevo dargliela senza avere prima il consenso del medico... non sapevo a che punto fosse il veleno, per questo ho voluto prima rivolgermi a lui... però... quello che mi ha detto mi ha praticamente freddato... e ho paura di farmi sentire da lei!"
"Perché? Cosa ti ha detto?"
Gli faccio cenno di precedermi fuori dalla stanza. Mi avvicino alla mia piccola e le lascio un bacio sugli occhi... quegli occhi che purtroppo hanno appena perso tutto... definitivamente.
Quegli occhi che non potranno più sperare di conoscere il mondo, in nessun modo... perché sono stati distrutti per sempre, e il peggio è che è tutta colpa mia!
"Cosa ti ha detto il dottore, Michele?" mi chiede Vittorio appena lo raggiungo fuori.
"Ha detto che il veleno che le ha rovinato il corpo... le provocherà vertigini... ma il peggio è che ha bruciato completamente il nervo ottico e ha rovinato l'iride... l-lei rischia... di avere gli occhi completamente bianchi... ed io ho paura di dirglielo! Ho paura che lei inizi a odiare i suoi occhi, ad odiare se stessa..."
Mi volto a guardarlo. I suoi occhi sono spalancati, la sua espressione atterrita... si sente impotente proprio come me.
"Lo so che non ne hai la forza, ragazzo! Ti capisco... ma bisognerà dirglielo, prima che lo faccia qualcun'altro... gli occhi bianchi sono piuttosto rari e non passeranno inosservati. In più molta gente è stupida... la prenderebbero come una cosa... troppo strana."
"Non ce la faccio... eppure dovrei, perché è solo colpa mia se siamo giunti a questo punto. Povero tesoro, mi dispiace..."
"Perché insisti con questa storia? La colpa è di quel disgraziato che le ha sparato per impedirvi di stare insieme!"
"È vero, tesoro." mi dice un'altra voce. Carmen!
"Cosa...?" chiedo con voce tremante.
"Ho sentito tutto." mi dice.
"Che cosa posso fare?" chiedo. "Non posso lasciare che il peso di questa rivelazione vi cada addosso. Sarei egoista."
"Sei un caro ragazzo, Michele!" mi dice Vittorio. "Se proprio vuoi essere tu a parlare con lei non pensare al modo di dirglielo. A te non mancheranno le parole... e poi... se glielo dici con il cuore... magari lei la prenderà meglio di quanto ci aspettiamo."
Non riesco a rispondere. Mi prendo la testa tra le mani e la scuoto vigorosamente. Mi sento male, ma non fisicamente. Mi sento male dentro... non quanto lei, ma ci sto comunque.

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