"134°: Il filo sottile tra gioia e dolore"
Michele
Lascio il carcere, questa volta senza scorta, senza camice nero da condannato, senza una corda che mi lega le braccia ed è un chiaro indice di prigionia. Mi è stato detto che posso tornare a casa mia, che per fortuna la casa non è stata confiscata, anche se non so come diavolo sia possibile.
Il Sole mi accarezza le guance, come quel giorno, ma stavolta la sensazione che provo è diversa.
Raggiungo la mia casa, quella in cui vivo da solo, e mi sorprendo quando vedo i miei amici che sono praticamente apparsi da dietro gli alberi. Ci sono Tommaso, Teresa, Rebecca, Giorgio e mia sorella Angela.
"Bertornato, eroe!" mi dice Teresa. "Come stai?" Mentre parla mi abbraccia. Mi è mancata tanto, quella matta della mia amica!
"Molto bene! E tu? Vedo che diventi sempre più bella!" dico accarezzandole il viso. È vero: la mia amica è davvero molto carina, e il sorriso che le illumina il volto la rende ancora più bella di quanto non sia per conto suo.
"Ehi, amico! Guarda che è la mia ragazza!" mi prende in giro Tommaso. "Io ti faccio tornare da dove sei venuto, eh?"
"Eh, tranquillo, non te la rubo mica! Anche perché lei ha scelto te. Pur volendo non potrei mai portartela via!"
"Scherzi a parte, Michè... sei un po' pallido. Non ti conviene rientrare e riposarti un po'?" mi chiede.
"Per quello ci sarà tempo. Prima devo salutarvi a dovere." rispondo.
"Sei sempre lo stesso Michele, a quanto vedo!"
"È ovvio! È un pochino difficile che una persona si trasformi in carcere!" gli rispondo. "E vedo che anche tu sei sempre lo stesso!"
"Ah, finalmente un po' di giustizia!" esclama Giorgio. "Il mio processo è stato più breve. Quello che mi ha permesso di uscire di là, intendo. Ma il tuo è più giusto e urgente... o meglio: lo era."
"Certo, però... sono rimasto là per due mesi... non voglio neanche immaginare come troverò casa mia quando aprirò quella porta." dico, portandomi le mani alla fronte in un gesto d'esasperazione plateale.
"Non credo." s'intromette Angela, saltandomi letteralmente al collo. Quando mi ha abbracciato, il giorno della condanna sfiorata, non avevo proprio notato quanto fosse dimagrita.
"Piccolina... santo cielo, ma anche tu ti sei alimentata solo con pane e acqua come me? Ho paura di spezzarti in due stringendoti un po' di più." le dico, dandole un bacio sulla fronte.
"Tranquillo Michele, non mi sono alimentata soltanto con pane e acqua, ma diciamo che è stato un periodo molto difficile anche per me... io non riesco a stare senza il mio fratellino!"
È incredibile il fatto che, dopo tutto quello che abbiamo passato in questo periodo... difficile, ci siamo ritrovati tutti qui a ridere e scherzare. Anzi: per meglio dire... a fare dell'ironia su quello che ci è toccato passare.
Autoironia... proprio come fa lei. La mia povera piccola.
"Ma... dimmi una cosa: com'è che mi hai detto che non avrò molto da fare a casa?" le chiedo mettendola giù con delicatezza.
"Michele, hai avuto anche le chiavi di casa?"
Mi tasto la tasca. Tiro fuori le chiavi e apro la porta.
Quando entro rimango sorpreso nel trovare tutto in ordine.
Mi aspettavo una casa invasa dalle ragnatele!
"Ma come..." dico, esprimendo tutta la mia sorpresa.
"Abbiamo deciso di fare di tutto per aiutarti, ricordi? Anche perché noi eravamo più che sicuri del fatto che saresti tornato, quindi abbiamo fatto i turni per pulire ed evitare che la casa di un ragazzo... dal cuore pulito fosse invasa da polvere e ragnatele!" mi spiega Rebecca.
"Che alta considerazione!"
"Ma quale alta, Michè! Io sono molto schietta, quindi dovevo dirtelo" mi dice lei e, per la prima volta da quando la conosco, mi getta le braccia al collo e mi stringe a sé. È una ragazza davvero dolcissima: l'ho notato dal modo in cui guidava Dora, il giorno della festa sulla spiaggia, durante i balli.
Si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: "Ho incontrato Bruno, in ospedale... lui mi ha detto che non poteva esserci, perché non... non poteva lasciare Dora da sola... ma è felice che tu sia libero."
"Rebecca... e lei come sta? Come si sente?"
"Beh... dice sempre di avere dolori ovunque e purtroppo ha la febbre alta" mi spiega lei. "E poi... chiede sempre di te. Quando la febbre raggiunge picchi altissimi, la sola parola che riesce a dire... è il tuo nome."
Spalanco gli occhi, sorpreso.
"Lei... lei..."
"Michele! Ehi! Scusami... non avrei dovuto dirtelo! Non ora... non in questo modo!" mi dice lei, agitata.
"Rebecca, prima o poi l'avrei saputo comunque. È stato meglio saperlo ora..."
"Michele... sei appena tornato! Mi sembri un po' pallido, non strapazzarti... non è proprio il caso che ti precipiti da lei..." mi dice.
"Rebecca, dopo potrebbe essere troppo tardi. Io devo andare. Forse ho qualcosa che potrebbe salvarla... o almeno spero..."
Improvvisamente provo un dolore che mi è molto familiare. Il petto sembra sul punto di scoppiare, perché il cuore batte a mille ed ho anche la sensazione che stia cercando di sfondare lo sterno. Lascio andare Rebecca, per evitare che cada insieme a me, e crollo a terra, come mi è già capitato parecchie volte.
"MICHELE!" Angela mi viene subito incontro e crolla in ginocchio, accanto a me. Inizia a premermi energicamente il petto, cercando di farmi riprendere. "MICHELE, TI PREGO! RESTA CON ME, MICHELE! PER FAVORE! QUALCUNO MI AIUTI!"
Teresa, Tommaso e Giorgio si fanno prendere dal panico. Rebecca, invece, corre dentro e riempie un bicchiere d'acqua per poi tornare indietro. Vedo che ha anche una piccola scatola tra le mani: quella della medicina che prendo ogni volta che mi succede questo.
Il sudore freddo inizia ad imperlarmi la fronte e sento le mani della ragazza circondarmi la vita per aiutarmi a mettermi seduto.
"Michele! Michele, adesso ascoltami... prendi un respiro profondo e manda giù questa!" mi dice con dolcezza. Mi mette tra le mani il bicchiere d'acqua ed io faccio quello che mi ha detto.
Il dolore, gradualmente, diminuisce quel tanto che basta a permettermi di alzarmi da terra e appoggiare la schiena ad un tronco d'albero.
Mi vedo davanti agli occhi quel volto angelico, contratto dal dolore e dalla sofferenza, e i miei occhi, che fino a poco fa brillavano dalla felicità, si sono riempiti di lacrime e ora rischiano letteralmente di esplodere. La vedo! Lei porta le mani davanti agli occhi e dice che le bruciano... che le fanno male... la sento respirare a fatica e continuare a chiedere se finalmente mi è stata resa giustizia. Si agita, continuanedo a coprirsi gli occhi con le mani e a dire che le bruciano.
"Io devo andare! Devo andare!" dico scattando in piedi. Barcollo, ma non m'importa. Devo raggiungerla, prima che sia troppo tardi!
Bruno
"Piccola, non toccare gli occhi!" le dico.
"Non posso... non posso, capisci? Mi bruciano! Mi fanno malissimo, Bruno! Mi fanno malissimo" dice lei. La sua voce è debole, quanto lo è il suo respiro, e sento il mio cuore sbriciolarsi. Mia sorella se ne sta andando lentamente sotto i miei occhi ed io non posso fare niente per impedirlo... e tutto per colpa di Mattia! Ma giuro che se dovessero assolverlo anche dopo questo, a costo di finirci io in galera, gliela farò pagare per quello che sta vivendo lei... per quello che ha dovuto vivere il mio migliore amico. E tutto per cosa? Per un suo maledetto capriccio!
"Bruno... l'hanno lasciato andare, vero? L'hanno capito che lui... che lui non c'entra, vero?" mi chiede.
"Mi hanno detto che finalmente Michele è libero. Sono sicuro che tra non molto potrai rivederlo. Non puoi immaginare come stava quando gli sei praticamente svenuta tra le braccia" le dico cercando di bloccarle le mani. Si sta graffiando il viso a causa del dolore, perché so per certo che non vuole urlare e per evitarlo si sta facendo del male. "Ti prego, cerca di stare ferma. Ti stai rovinando, piccola! Ti stai rovinando!"
"Come stava, Bruno? Dimmi."
"Ecco... lui... oh mio Dio, in questo momento mi sento come si è sentito lui!"
E dicendo questo, poiché subito dopo scoppio a piangere, credo di essere stato abbastanza eloquente.
"De Luca!" esclama un'infermiera. "Vada nell'atrio. Qui ci penso io. È arrivato un ragazzo... chiede di lei... è disperato..."
"Michele..." sussurra mia sorella, come se avesse capito. Anzi... come se l'avesse visto!
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