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"132°: Questa vita non è cattiva"

Bruno
Vado da Romano e quando lo vedo riesco a stento a riconoscerlo. Non so quale sia stato il motivo, ma so per certo che Mattia l'ha conciato per le feste. Ecco cosa succede ad associarsi a uno come lui!
"Ti ha conciato piuttosto male" dico serrando i denti. "Così impari a non dare ascolto a mia sorella, disgraziato!"
Non so perché mi sia venuto da dirgli questo. Lui è pur sempre un paziente... ma non ce l'ho fatta. L'ho visto spingere a terra mia sorella e mi è venuta voglia di umiliarlo... ho anche sperato che mi sentisse.
Ora che quell'impeto mi è passato, però, mi rendo conto del fatto che Romano, evidentemente, qualcosa ha sentito, perché lo vede scuotere un braccio. Riccardo posa una mano sulla mia spalla. Non mi rimprovera, perché probabilmente ha capito quello che ho provato quando l'ho visto disteso su quel letto. Non so spiegare cosa ho provato... so solo che non era esattamente pietà. Ho avuto la consapevolezza che tutto, prima o poi, torna... e questo mi ha dato speranza per mia sorella.
Ho nuove speranze anche per quel poveretto, che è ingiustamente chiuso in cella da quasi due mesi. La mia sorellina ha avuto le sue ragioni per agire nel modo in cui ha agito.
Io non avrei dovuto, ma ho ascoltato la sua conversazione con mia madre. Ha spiegato che lei e Michele hanno conosciuto l'amore e che non sarebbe riuscita a sopportare l'idea che qualcuno, soprattutto parlando come se la cosa fosse giusta, potesse fargli del male.
Mi vengono spiegate in breve le condizioni di Romano e Riccardo mi dice che dovrà essere lui ad operarlo. Il personale medico è ristretto, quindi il nuovo caso è stato affidato a lui. Romano è in ottime mani, ma questo non lo dico.
"Bruno... dovresti occuparti tu di tua sorella. Ogni due ore preparale una flebo con questo liquido" mi dice passandomi un foglietto, "serve a contrastare gli effetti di quel veleno. Purtroppo non abbiamo l'antidoto che potrebbe curarla in poco tempo."
Annuisco debolmente e prendo la boccetta contenente quel liquido per poi tornare nella camera di Dora.
Lei è sdraiata sul letto, con le braccia sollevate davanti al viso, come se volesse nascondersi, ma io le vedo perfettamente le sue lacrime di dolore e mi si spezza il cuore.
"Chi c'è?" chiede a bassa voce.
"Sono io, tesoro! Sono Bruno" rispondo con il tono più dolce che mi è possibile. "Dimmi: hai dolore da qualche parte?" le chiedo poi, mentre le preparo la flebo di cui parlava Riccardo.
"Non c'è attimo in cui io non ne abbia." risponde lei tristemente. "Ma non sono io quella che soffre di più... hanno spedito un angelo tra le fiamme dell'Inferno... capisci? L'hanno spedito là senza che lui meritasse di finirci, poverino! È lui che soffre davvero, ed io vorrei vederlo!"
Mi è perfettamente chiara l'identità della persona a cui fa riferimento quando parla di quest'angelo, e non posso dire che abbia torto.
Michele sta vivendo la rappresentazione dell'Inferno senza meritarlo.
Michele
Il mio pensiero costante è lei.
L'ho anche sognata. Ho sognato le sue grida, le sue lacrime... ho sognato il nostro contatto.
Mi sono svegliato in lacrime, proprio come è successo a lei quando ha avuto non so che incubo su di me... solo che stavolta ci sono stati i miei compagni di sventura a consolarmi. Il pensiero della mia piccola in quel letto d'ospedale mi dà il tormento, e la cosa peggiore è che non posso fare niente per aiutarla. So dove posso procurarmi l'antidoto, ma non posso prenderlo e portarglielo, perché sono chiuso qui, dentro questa maledetta cella.
Ripenso al modo in cui lei stava correndo. Ripenso a quando è andata a sbattere con il volto contro la barriera costituita dalle transenne, che avrebbe dovuto impedirle di raggiungermi. Penso che nemmeno questo l'ha fermata... che lei ha scavalcato anche quelle per venirmi incontro, ha rischiato di farsi strangolare da mio fratello, di rompersi la testa perché era lui che cercava di tirarla giù prendendola per la maglietta, e alla fine mi ha salvato la vita.
Ma a lui questo non è stato sufficiente, perché ha voluto spararle! Ha voluto spararle!
Ora Mattia si trova nella cella d'isolamento che era destinata a me, sottostante alla mia, e lo sento sempre sbattere i pugni e imprecare. Non so cosa provo per lui in questo momento.
Non so se lo detesto per quello che sta passando la mia piccola a causa sua o se provare pietà per lui perché, in tutti i casi, rimane il mio gemello. Questa è una realtà che non posso cambiare, purtroppo. Dico "purtroppo" perché forse, se lui non fosse stato mio fratello, non mi sarei sentito così combattuto.
"Michele! Michè!" mi riscuote Salvatore, posandomi delicatamente le mani sulle spalle. Mi volto nella sua direzione e vedo un sorriso sulle sue labbra... un sorriso che mi trasmette speranza. "Il commissario vorrebbe vederti nella sala delle visite. Quella in cui i detenuti... alcuni detenuti, incontrano chi va a vederli. Non so bene perché, ma credo che abbia delle buone notizie!"
"Grazie, davvero" gli dico, alzandomi dalla branda. Sono un po' barcollante, ma non m'interessa.
Devo sbrigarmi!
"Michele, piano!" mi dice Davide, visto che sto praticamente correndo su per le scale, per quanto le mie forze me lo permettono. Lui mi fa appoggiare alla sua spalla e saliamo le scale senza intoppi.
Arriviamo nella sala delle visite e quando entriamo vedo il commissario De Marco seduto dietro quel tavolo al quale mi sono seduto io quando ho chiamato Angela.
"Buongiorno" dico con un tono tranquillo, per quanto possibile poiché sono teso a causa della notizia che sto per ricevere.
"Vieni ragazzo, siediti!" mi dice gentilmente l'uomo, indicando una poltrona accanto alla sua. Io vado a sedermi e appoggio tutt'e due le mani sulle ginocchia.
"È successo qualcosa?" chiedo esitante.
"In effetti sì" risponde lui, e il suo tono m'ispira, in un certo qual modo.
"Di che si tratta?" chiedo.
"Ce l'abbiamo fatta, Michele! Finalmente ce l'abbiamo fatta! Sei ufficialmente un uomo libero!" mi risponde lui.

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