"131°: L'arresto di Mattia"
Michele
Le parole del mio amico mi hanno dato un filo di speranza. Sono passati tre giorni dalla mancata esecuzione. Sono tre giorni che sono tornato qui dentro e continuo a chiedere di lei.
Mi hanno detto che per lei le cose non stanno andando meglio. Bruno ha dovuto scattarle una foto per farmi capire come stava agendo il veleno su di lei perché non riusciva a spiegarmelo a parole poiché gli veniva voglia di piangere. Il suo corpo è coperto di macchie di vari colori. I suoi occhi sono riversi all'indietro, spalancati come non lo sono mai stati, e ci sono alcune ciocche di capelli che sembrano sul punto di cadere.
E poi... riesco a vedere anche le sue labbra e rabbrividisco nel vedere che quelle labbra hanno assunto la posizione della prima lettera del mio nome... come se lei mi stesse cercando.
"Bruno..." sussurro, riscuotendomi dai miei pensieri. "Cosa stava dicendo tua sorella quando l'hai fotografata?"
"Chiamava te." mi risponde lui.
Il mio peggior incubo sembra realizzarsi. Lei che mi chiama ed io che non posso andare da lei a vedere come sta.
Bruno mi saluta con tristezza, promettendomi che mi terrà informato sugli sviluppi dello stato di salute di Dora.
Quando lui va via, Salvatore e Antonio mi si avvicinano e mi prendono la foto dalle mani.
"Michele... io credo che dovresti chiedere di uscire, anche solo per una notte. Dovresti andare in ospedale, anche se scortato dalle guardie... prova a parlare con chi di dovere. Non hai mai chiesto niente. Cosa costa a Davide, al commissario o a chi per loro fartene uno? Soltanto uno?" mi chiede serio.
"Non me l'accorderanno."
"Se non ci provi non potrai mai saperlo..."
"Certo, però io non voglio andare là, dirle che sono libero e poi farle scoprire che non è vero! Che mi è stata concessa solo una notte di libertà, come è già capitato a Cenerentola..."
"Non dovrai dirle niente." dice una voce alle mie spalle.
"Davide..." dico in un debole sussurro.
"Il tuo caso è stato affidato ad un'altra persona, che ha voluto tutte le prove che abbiamo fornito al giudice precedente. Molto probabilmente tra pochi giorni uscirai di qui, Michele. Solo pochi giorni e tornerai ad essere un uomo libero, com'è giusto che sia!"
"Dici davvero?"
"Certo! Me l'hanno appena riferito, Michele!"
"Spero tanto che mi facciano uscire prima che possa succedere qualcosa a quella ragazza!"
Davide mi sorride gentilmente. Mi rende felice il fatto che lui abbia scoperto che quello che è successo non è stato opera mia.
Mattia
"Romano, perché hai voluto vedermi? Lo sai che è pericoloso vederci! Mi hanno visto sparare a quella stupida!" esclamo furente.
"Mattia... devo darti una notizia che non ti farà piacere. I giorni di Michele in galera sono contati... e non perché la sua esecuzione si ripeterà, ma perché il suo caso è stato assegnato ad un altro giudice."
"Cosa...?" sussurro. I brividi mi percorrono tutto il corpo. Mi stanno già cercando per quello che ho fatto a Dora... adesso si aggiungerà anche il resto e di sicuro mi chiuderanno in cella e butteranno via la chiave! Verrò probabilmente giustiziato in poco tempo.
"Purtroppo è vero... e io non posso più aiutarti. Rischio il posto, capisci?"
Romano
"CHE CAVOLO VUOI CHE ME NE IMPORTI DEL TUO LAVORO?"
"Mattia, cerca di ragionare. Ho una famiglia da mantenere... per questo mi piacciono i soldi. Che cosa credevi, che me la prendessi con Michele tanto per farlo? Avevo bisogno di quei..." Non finisco la frase, perché mi arriva un pugno dritto in faccia, che mi fa finire per terra. Mi piomba addosso una scarica di violenza che non mi sarei mai aspettato da lui. Vedo Christian, dall'altra parte della strada, e agito leggermente la mano, cercando di farmi vedere.
Mi arriva un calcio allo stomaco e mi sento male... ma prima di svenire mi vedo davanti il volto contratto e sofferente del povero Michele.
Dio mio... che cosa ho fatto?
Christian
Vedo qualcuno, disteso sul lastrico della strada, agitare leggermente una mano, ma non può agire per molto tempo, perché gli arriva un calcio dritto allo stomaco. Mi avvicino di soppiatto e vedo il ragazzo privo di sensi. È praticamente irriconoscibile!
Quello che mi permette di capire chi è, però, è il cartellino applicato alla sua divisa: è Romano!
Tiro fuori le manette dallo zaino e afferro l'aggressore per un braccio, costringendolo a voltarsi, in modo da potergli vedere il viso.
"Maledetto disgraziato!" gli dico, premendogli la pistola sulla tempia dopo aver applicato le manette alle sue braccia. "Finalmente hai finito di volare come l'uccello del malaugurio! Hai finito!" dico, serrando la mascella e trascinandolo via con me. "Vieni, bestia, adesso ti porto dal tuo fratellino, che non vede l'ora di rivederti... Vieni, vieni!"
È la prima volta che vedo Mattia tremare.
Mentre lo tengo stretto, chiamo un'ambulanza, dicendo però che non posso trattenermi, perché devo portare via l'aggressore del ragazzo che è finito a terra.
Per fortuna il carcere non è distante e quando ci arrivo affido a Davide la foglia d'autunno di forma umana che sto spingendo senza provare un minimo di pietà.
Torno velocemente indietro, contemporaneamente all'arrivo dell'ambulanza. Tiro su il corpo sanguinante di Romano e aiuto gli infermieri a portarlo sulla barella. Romano è ricoperto di lividi, pallido, immobile come un pezzo di legno. Il sangue caldo gli cola da ogni singola ferita, formando una specie di strato rosso sugli occhi e sulle guance. Non l'ho mai visto ridotto tanto male. Mattia gli ha fatto addirittura saltare i denti!
"Vedi, collega? Vedi cosa può succederti se ti associ ad uno come quello solo per guadagnare più velocemente? È questo il prezzo da pagare" gli dico in tono duro, anche se forse non mi ha nemmeno sentito.
Mi fa pena, perché a nessuno dovrebbe accadere questo, ma in fondo era l'unico modo in cui avrebbe potuto imparare.
Arriviamo in ospedale in poco tempo e Romano viene subito portato via... non so se per un controllo o direttamente in sala operatoria.
Forse al nostro collega verrà risparmiato il carcere, perché è merito suo se siamo riusciti a stanare quel delinquente... almeno lo spero.
Michele
"Forza, disgraziato! Muoviti, entra" sento gridare Davide. Un rumore di manette, dei grugniti sommessi e uno strano brivido lungo la schiena. La porta della mia cella viene aperta.
"Michele, finalmente abbiamo preso la persona giusta! Persona, poi!"
Mattia agita le braccia strette nelle manette che ha attorno ai polsi, producendo un forte tintinnio.
Un momento... Mattia! Non ho visto male: è il mio gemello! Il gelo m'invade completamente. Non so se essere felice o meno che l'abbiano preso.
"Volevo soltanto fartelo vedere, Michele. Starà in cella d'isolamento, perché è decisamente troppo rischioso lasciarlo qui."
"Michele... ti prego, aiutami!"
"Davide, sei sicuro? Lo vedo piuttosto scosso..." cerco di intervenire.
"Non ti fidare, Michele!" mi dice Salvatore.
Vedo mio fratello piangere come un bambino, ma sono combattuto.
Da un lato provo solo un grande disprezzo verso di lui, mentre dall'altro mi fa pena.
"Davide, io non dovrei chiedertelo" dice Salvatore, "ma lui ha fatto molto male ad un mio amico che è qui presente. Mettilo dove ti pare, ma da solo, e con la camicia di forza, se possibile! Deve soffrire quello che hanno sofferto le sue vittime... anche se quello che ha fatto è molto peggio di quello che dovrà sopportare qui."
Io continuo a guardarlo e la foglia a forma d'uomo che ho di fronte non sembra affatto il mio perfido, spavaldo e cinico fratello.
"Michele, ti prego!" singhiozza.
"Non farti fregare, Michè! Ricordati quello che ti ha fatto... quello che sta facendo passare a lei!"
"ADESSO BASTA!" grido.
Tutto questo mi confonde. Da una parte c'è lui, che è sangue del mio sangue, il fratello per il quale sono finito qua dentro... quello che ho cercato di salvare, che continua a tremare e piangere come un bambino terrorizzato dalla punizione.
Dall'altra, invece, ci sono i miei amici, che mi consigliano di lasciar perdere.
Cosa devo fare?
"Davide... mandami in cella con lui, voglio vedere cosa fa."
"Michele... potrebbe essere pericoloso" mi avverte Davide.
"Lasciagli le manette, allora. Lascia che mi confronti con lui."
Davide acconsente. Io mi alzo in piedi e vado accanto a mio fratello, che sta ancora tremando.
"Finiscila" gli dico sottovoce.
"Michele... io..."
"Mattia, basta! Non peggiorare le cose! Smettila e prenditi le tue responsabilità!"
Davide ci scorta fuori dalla mia cella.
Vedo di sfuggita Antonio e Salvatore che mi guardano con apprensione e il mio cuore prende a battere velocemente. Anch'io ammetto di aver paura. Più che altro ho paura che quello che voglio fare non serva a nulla, né a me né a mio fratello, ma è un rischio che devo correre per capire fin dove vuole arrivare.
Entriamo nella cella in cui ho soggiornato in isolamento per un bel po' e Davide esce, lasciando soli me e il mio gemello.
"Che hai combinato, stavolta?" gli chiedo, tenendomi a debita distanza.
"Romano! Lui mi ha provocato. Mi ha detto che non poteva più aiutarmi..."
Lo fermo, perché ho capito cos'è successo.
Lo capisco anche dai suoi vestiti, sporchi di rosso.
"Ma sei impazzito? Ti rendi conto del fatto che hai quasi ucciso tre persone, contando anche il colpo che hai sparato a me?"
"Michele, aiutami! Io non voglio finire alla corda! Non voglio!" mi dice continuando a piangere.
"Mattia, ascoltami: l'unica cosa che posso fare è chiedere che ti tengano qui a lungo termine... magari, dopo quello che è successo, le mie richieste avranno un minimo di peso."
"No..." sussurra lui. "No, Michele!"
"Mattia, ascolta: questo è quello che posso fare per evitare che ci vada a finire tu alla corda. Non so chi si occuperà del tuo caso, sinceramente, ma posso tentare."
"Grazie!" sussurra lui.
"Davide, puoi aprire la cella" dico al poliziotto, che è rimasto fuori.
Davide apre la porta e resta sorpreso nel vedere che mio fratello non mi ha lasciato nemmeno un segno come un innocuo graffietto... in effetti, non posso negarlo, la cosa ha sorpreso molto anche me, perché Mattia non riesce proprio a sopportare né me né mia sorella Angela.
Bruno
Sono in ospedale, vicino al letto di mia sorella. Lei piange, perché evidentemente ha dolore ovunque.
"Michele... Michele..." continua a ripetere. La sua voce è un soffio di vento.
Un soffio leggero, dolce, ma contemporaneamente è un rantolo.
Un rantolo che non esprime altro che un intenso dolore. E tutto questo è colpa di Mattia! Spero che sia finito in prigione, all'ospedale o che sia finito a dormire sotto i ponti! Qualsiasi cosa, ma per quello che ha fatto alla mia piccola deve soffrire almeno la metà di quanto sta soffrendo lei, in questo letto.
"Piccola, non ti agitare! Ti fa male" le dico accarezzando il suo viso contratto e, purtroppo, irriconoscibile.
È piena di macchie e sembra che la pelle, in alcuni punti, sia tesa come una corda... come se stesse per strapparsi.
"Bruno... me lo faranno vedere? Potrò vederlo prima... che..."
"Tu lo vedrai e non sarà l'ultima volta."
Lei continua a singhiozzare. I suoi occhi sono coperti da una patina bianca e questo mi fa sentire male... anzi: malissimo.
"Bruno, vieni!"
Il dottor Riccardo è alle mie spalle.
"Vai nella camera 224! C'è una persona che ha bisogno d'aiuto.. Romano, il poliziotto che ce l'aveva con Michele. Sembra che Mattia l'abbia aggredito e sia stato arrestato" mi spiega.
Mi s'illuminano gli occhi. Finalmente l'hanno preso! Finalmente avrà quello che merita!
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