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"130°: Dopo la pioggia c'è sempre il sereno... o almeno si spera"

Dora
Mi sveglio, ma ci metto un po' a capire dove mi trovo. Sento ancora il sapore metallico del sangue che mi colava dalla ferita sulla fronte e, tanto per aggiungere legna al fuoco, avverto dolori lancinanti in tutto il corpo, specie alla spalla sinistra.
La testa, poi, sembra voler scoppiare. Mi sembra ancora di sentire la mia voce gridare un No, indirizzato a chi dirigeva l'esecuzione del ragazzo che mi ha fatto scoprire l'amore e che l'ha scoperto insieme a me.
"Dora! Piccola, come ti senti?" mi chiede dolcemente una voce familiare.
"Dottore..." sussurro. Appoggio le mani su quello che dovrebbe essere un materasso e cerco di alzarmi dal letto, ma appena ci provo i dolori che mi straziano le membra diventano più intensi, facendomi crollare di nuovo distesa sulla schiena. Cerco di allungare il braccio destro, perché sento qualcosa di ruvido a contatto con la spalla sinistra.
Ho la spalla fasciata, ma non ho più addosso la maglietta.
"Che... che cos'è questa?" chiedo, tastando la fascia. "Dove sono? E lui? Come sta?"
"Proprio non ricordi come sei finita qui?" mi chiede il dottor Riccardo.
Porto la mano destra sulla fronte, facendo fatica perchà anche là provo un forte dolore.
Poi, come in un film, la scena mi ritorna alla mente.
"C'era lui... era su un rialzo, mi hanno detto... e poi ci sono anche salita. Mi sono messa a correre per raggiungerlo, perché non potevo permettere che... che gli facessero del male! Mattia voleva... voleva..." Porto una mano al collo, ma quando lo sfioro sussulto e sposto la mano come se in quel punto la mia pelle scottasse.
"Ferma, non toccare i lividi!" mi dice il dottor Riccardo, prendendo delicatamente la mia mano tra le sue. La mia pelle, rispetto alla sua, sembra fatta di ghiaccio per quanto è fredda.
"Mattia voleva strozzarmi con le sue mani per non farmi andare da lui! Mi ha liberata un ragazzo... quello che veniva sempre qui quando Mattia ha sparato a..." La mia voce si spezza proprio quando devo pronunciare quel nome che mi è tanto caro. Quel nome che, da quando ho conosciuto la persona che lo porta, immagino sempre associato ad un ribelle o a un guerriero.
"Dottore..." sussurro, dopo essermi ripresa.
"Dimmi, tesoro" dice dolcemente il medico, sistemandomi meglio una flebo sul braccio destro.
"Quello che ho fatto è servito, vero? Non cercheranno di nuovo di portarmelo via e lo lasceranno tornare a casa?"
"Che non potranno più "giustiziarlo" è sicuro. Dopo quello che hai fatto diventerebbe un delitto, però... non l'hanno lasciato tornare a casa... anche perché, se l'avessero lasciato libero, lui sarebbe rimasto con te."
"No... di nuovo il carcere... NO!" dico per poi scoppiare in lacrime. Il dolore diventa insopportabile e a quello si aggiunge un violento attacco di nausea. Il dottor Riccardo, senza che io gli dica niente, capisce e mi viene subito incontro.
Sento qualcosa di forma circolare davanti alla mia bocca e mi metto in ginocchio sul letto, pur serrando i denti per il dolore.
"Dentro di te è presente un veleno che era nel proiettile che ti ho tolto. Tiralo fuori!"
Ricordo anche questo. Mattia l'ha fatto apposta. Uno di noi due doveva fare questa fine orribile, con o senza condanna.
Ripenso a quando mi ha messo le mani addosso e ha cercato di farmi del male e il conato di vomito esce facilmente dal mio corpo. Quel sapore orribile si mescola a quello del sangue che ho inghiottito e questo rende più facile l'espulsione di questa cosa, qualunque cosa sia.
"Brava... gettalo fuori!" mi dice il medico. Io sto sprofondando dalla vergogna, perché quando mi capitano cose come questa mi vergogno persino di mia madre... figuriamoci di una persona che conosco, ma che non è neanche tanto stretta!
"Mi scusi..." riesco a biascicare durante l'accesso di tosse che quasi m'impedisce di respirare.
"Non c'è bisogno, non preoccuparti" mi dice il medico.
Quando finalmente finisco di rigettare anche l'anima, mi accascio di nuovo sul letto.
Scoppio in lacrime se penso che lui è ancora là dentro, nonostante tutto. Piango e non riesco a fermare le lacrime. Perché non possono lasciare in pace lui, che non ha fatto niente di male, e occuparsi dei veri criminali, che sono quelli come Mattia? Certo, ci sono anche criminali dal viso pulito, ma tra questi non c'è il ragazzo che ha cercato di avvertirmi dell'uragano che stava per travolgermi... del proiettile che stava per colpirmi alla spalla sinistra.
"Ora devi soltanto cercare di stare tranquilla, tesoro." mi dice il dottore, con il tono più dolce possibile.
Un calore m'invade tutto il corpo, costringendomi a togliere il lenzuolo, ma dato che mi vergogno della mia stessa ombra lo lascio in modo che mi copra fino alle ginocchia. Lui mi guarda e mi mette tra le mani qualcosa che riconosco come un termometro. Cerco d'infilarlo, ma le fitte al braccio sono lancinanti e l'oggetto per un soffio non mi sfugge di mano, cadendo a terra.
"Ci penso io, tranquilla." mi dice calmo, infilandomi il termometro sotto il braccio. Il tempo in cui lo tengo mi sembra interminabile, ma quando il dottore me lo toglie, dato che il mio corpo sfiora il suo, lo sento irrigidirsi e trattenere il respiro per qualche secondo.
"Avverti molto dolore, tesoro?"
Riesco soltanto ad annuire debolmente. Mi sento malissimo.
"Ora dovrò farti addormentare un po', d'accordo?"
"Qualsiasi cosa... ma la prego, lo faccia smettere!" dico tra le lacrime.
"Pensa a qualcosa di bello. La cosa più bella che ti viene in mente, piccola." mi dice dolcemente.
Io, pur sentendomi stordita dal dolore che avverto, provo a pensare a qualcosa di bello... e alla fine mi viene in mente... la mia prima e unica volta. Con lui.
E mentre ci penso, sento la sua voce. La voce del ragazzo che amo con tutta me stessa.
"Piccola, anche se fisicamente siamo lontani io sono con te. Sarò sempre con te, ma tu non devi arrenderti. Promesso?" mi chiede... e se non sapessi che la mia immaginazione continua a galoppare, giurerei quasi di sentire le sue labbra posarsi delicatamente sulla pelle del mio braccio sinistro.
"Te lo prometto, Michele..." sussurro, prima che l'ago mi entri nel braccio e il mio corpo sia pervaso da un senso di calma e pace.
Michele
È strano. Da quando sono qui Romano non mi ha più creato nessun problema.
Adesso in cella siamo diventati tre. Purtroppo hanno arrestato anche Salvatore perché, per respingere Mattia, ha agito con la forza. In più l'hanno chiuso qui per il suo sequestro di un po' di tempo fa.
Romano, con lui, non ha potuto comportarsi come con gli altri, perché appena ha tentato di spingerlo si è ritrovato la faccia ricoperta di lividi per quanti pugli gli sono arrivati. Ho dovuto bloccarlo, insieme al mio compagno di cella: Antonio.
"Ho avuto giusto il tempo di passare dall'ospedale a vedere come sta Dora." mi dice.
"E cosa ti ha detto il dottor Riccardo?" chiedo esitante.
Ho persino paura di sapere quale sia la risposta. Quel veleno potrebbe fare effetto in tempi brevissimi o prolungarle l'agonia fino a non so quando.
"Le hanno estratto il proiettile e lei si è svegliata, Michè. Appena ha aperto gli occhi ha voluto sapere di te, come stavi, se eri a casa... cose del genere. Però aveva dolori ovunque e le è salita la febbre. Il dottore, per curarla, ha dovuto sedarla."
Prendo un respiro profondo per evitare di scoppiare di nuovo in lacrime. È da quando sono qui dentro... o meglio: da quando ci sono tornato, che non faccio altro che piangere e fisicamente sono sfinito da questo sfogo, non resisto più.
"Michele, se vuoi sfogarti, fallo!" dice il Boss dal cuore d'oro, posandomi una mano su una spalla. "Non credo che lei te ne farebbe una colpa!"
"Sono io che non voglio... non ce la faccio più! Vorrei distruggere quella maledetta porta" dico indicandola, "e uscire da qui... vorrei andare in ospedale, stare con lei, tenerle la mano. Se non ci fosse stata lei, a quest'ora in quello stato ci sarei finito io. E non mi avrebbero portato all'ospedale. Mi avrebbero lasciato marcire qua, perché dovevo andarmene tra atroci sofferenze. Lei deve venirne fuori... questa fine proprio non se la merita, povera piccola!"
"Lei ce la farà, Michele."
"E tu che ne sai?"
"Fidati. Io ci credo perché ho visto quanto ha lottato, da quando la conosco. Dai retta ad uno che si è fatto sbattere in prigione per aver quasi ammazzato di botte un..." Si blocca di colpo e il suo viso si rabbuia. "Scusa Michele. A volte dimentico che voi due siete fratelli."
"Io non posso dimenticarlo, invece... anche se, a volte, mi piacerebbe tanto poterlo fare... almeno non mi sentirei in colpa per la rabbia che sto provando nei suoi confronti. E poi... tu non l'hai quasi ammazzato di botte, altrimenti come avrebbe fatto a sparare a Dora? È lui che ha quasi ammazzato una persona... anzi, non una: due! Ci ha provato anche con me, ma gli è andata male e se l'è presa con lei... perché?"
"Amico" s'intromette Antonio, "tu prima hai detto che vorresti spaccare quella porta per uscire e andare da lei per poterle stare accanto... e allora perché non lo fai?"
"Semplicemente perché non riuscirò mai a distruggere quella maledetta porta. Non hai visto com'è? È a prova di spallate e finirei solo col farmi male... ma se la tua idea è che loro mi portino in ospedale se dovessi ferirmi, sai meglio di me che sei completamente fuori strada..."
Mi accascio sul pavimento, prendendomi la testa tra le mani, poi mi rialzo, prendo uno straccio e inizio a pulire.
Almeno avrò qualcosa da fare... infatti strizzo talmente forte lo straccio a causa della rabbia da sentire il rumore delle ossa sfregate le une contro le altre.
"Spero solo che lei abbia ancora quella forza che ha dimostrato per mesi... e che io le ho tolto!" dico con rabbia.
"Adesso non iniziare a darti colpe a caso per alleggerire tuo fratello, Michè!" mi riprende Salvatore.
"E perché no, eh? Perché no? Non mi è rimasto più niente! Lui ha rovinato mia sorella, ha rovinato Dora e l'ha mandata all'ospedale con della robaccia nel corpo! Che altro mi devo aspettare? Perché devo essere buono con me stesso se lui ha distrutto buona parte delle persone che amo e io non ho fatto niente per impedirlo?"
"Dopo le nuvole, presto o tardi, spunta sempre l'arcobaleno." dice Antonio. "E questo dettaglio me l'hai fatto notare tu. Non voglio credere che proprio tu l'abbia dimenticato. Ricordi che quando sono arrivato non facevo altro che passare le mie notti a piangere e a disperarmi? Tu ci sei stato... tu, che avevi un piede nella fossa, eri positivo. Credevi ancora nel bene. Cos'è cambiato adesso, Michè?"

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