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"128°: Disperati"

Bruno
Sono in ospedale, vicino al letto in cui si trova mia sorella. Mi hanno permesso di pulirle il viso, completamente sporco di sangue, e le ferite: sia quella sulla fronte che quella dietro la spalla sinistra. Ripenso al volto del mio amico quando l'ha vista rovesciarsi a terra. Era spaesato, ma dalla confusione è rapidamente passato alla più pura disperazione. I suoi occhi si sono riempiti di lacrime. Ha pianto come non l'ho mai visto fare. Si è bombardato di colpe, ma lui è l'ultima persona che può considerarsi colpevole in questa faccenda.
E il peggio è che l'hanno rinchiuso di nuovo! Ma cos'altro dobbiamo fare per far capire a chi di dovere che Michele non ha nessuna colpa? Perché lei avrebbe dovuto salvarlo?
Riccardo mi riferisce che bisogna operarla d'urgenza, prima che il veleno possa spargersi nel suo sangue. Io lascio la stanza e vado a raggiungere mia madre, seduta su una delle tante sedie di plastica tipiche degli ospedali.
Ha il volto nascosto tra le mani. Gliele sposto e vedo i suoi occhi: gonfi e rossi come quelli di Michele. D'istinto l'abbraccio e lei mi ricambia.
"Che altro dovranno passare quei poveri ragazzi?" singhiozza tra le mie braccia. "Hai visto che faccia ha fatto Michele? Povero caro. Era sconvolto!"
Annuisco soltanto, perché ha ragione lei.
"La colpa è di quei poliziotti. Quei maledetti poliziotti, che non hanno fatto niente per evitare che tutto questo potesse accadere! Maledizione! Maledetti loro! L'hanno anche riportato là. In... in quel dannato carcere! MALEDIZIONE!"
"Mamma, non tutti quei poliziotti erano d'accordo. Non tutti volevano che Michele facesse quella fine. Loro sono manovrati dall'alto, non potevano impedire che questo accadesse o avrebber perso il posto o non so cosa..."
"Al diavolo il posto!" esclama.
"Mamma... visto che per un po' non ci faranno entrare per vedere Dora, se vuoi, io potrei andare a vedere come sta Michele. Che te ne pare?" le chiedo, cercando di mantenere il tono più pacato che mi riesce e che, per mia immensa fortuna, lo è abbastanza da calmare un po' anche lei, atterrita com'è.
Annuisce soltanto. Io le lascio un bacio sulla fronte e lascio l'ospedale per dirigermi al carcere.
Purtroppo la prima persona che incontro è Romano: il poliziotto che, senza troppi complimenti, ha fatto cadere mia sorella per impedirle di difendere l'uomo che le ha fatto scoprire cosa significa amore.
"Sei venuto per Michele, dottorino da strapazzo?" mi chiede beffardo.
"Esatto. E non azzardarti a dirmi che non posso entrare... altrimenti ti assicuro che quello che il ragazzo incappucciato ha fatto a Mattia non sarà niente in confronto a quello che farò io a te, chiaro?"
"Potrei arrestarti... faresti compagnia al tuo amichetto lacrima facile."
"Ah... e perché non lo fai, allora?" chiedo.
Romano sembra gelarsi sul posto e io gli scoppio a ridere in faccia.
"Non lo fai perché è fin troppo semplice prendersela con una vittima che decide di non reagire in nessuna maniera. E Michele è questo: una vittima. Una vittima delle bestie come te!"
"Romano, togliti di mezzo!" dice una voce che mi è nota. "Vai, Bruno. Michele è nella sua vecchia cella... e credo proprio che abbia bisogno di cure. Non soltanto cure mediche, ma anche morali... capisci?"
Annuisco debolmente e mi dirigo verso la prima cella di Michele. Il commissario gira la chiave nel catenaccio che chiude la porta, la spinge e mi fa entrare per poi allontanarsi dalla cella.
"Michele..." riesco a dire con un soffio di voce, quando lo vedo. L'hanno tenuto a pane e acqua per giorni, ma non l'ho mai visto in questo stato.
È pallido come uno straccio, disteso sulla branda... ha lo sguardo perso nel vuoto e quando sente la mia voce cerca di tirarsi su, ma non riesce a sorreggersi sui gomiti e crolla.
"Da quanto sta così, Antonio?"
"Quasi da quando è arrivato. Saranno due o tre ore, più o meno. Per un po' è riuscito a reggere... ma adesso..."
Mi avvicino al mio amico e gli prendo il polso.
I battiti del suo cuore sono precipitosi e le sue labbra sono bianchissime e tremano come foglie d'autunno.
"Michele, mi riconosci, non è vero?" chiedo esitante, con un soffio di voce.
Lui annuisce debolmente, ma subito dopo la sua testa crolla di lato e urta contro la sua spalla sinistra.
"Lei... come sta?" mi chiede.
"Adesso... la stanno operando. Le stanno togliendo quel proiettile dal corpo, Michele. Sono certo che lei ce la farà. È sempre stata una ragazza forte e la prova l'ha data oggi, facendo la cosa giusta per te."
"A che prezzo?"
Una domanda. Tre semplici parole. Ma dietro quella domanda, quelle tre parole, c'è un mondo intero.
A che prezzo si è messa a correre come una forsennata, ha scavalcato le transenne, ha rischiato di farsi ammazzare?
A che prezzo mi ha liberato dalle mie corde?
Lui ha sempre fatto questo, soprattutto quando sta male.
Con pochissime parole o con un silenzio assordante dice tante cose.
Lo sento sospirare, ma non dice altro. Il suo sguardo resta là, perso nel vuoto, e mi si stringe il cuore a vederlo in questo stato.
Gli prendo il viso tra le mani e gli faccio alzare la testa, ma lo faccio con delicatezza.
Non lo guardo, ma sento le mie mani bagnarsi. Lui non emette un singhiozzo, ma le lacrime sono un chiarissimo segno del dolore che lo sta attraversando in questo momento.
"Se dovesse succederle qualcosa, io..."
Non sono io a bloccarlo. Lui si ferma, non riesce a pronunciare la frase completa e subito dopo quelle parole si libera dalla mia presa e, dato che il suo volto è contratto come se sapesse che un singhiozzo sta per scuoterlo, si copre la bocca con la mano sinistra.
"Non succederà" cerco di rassicurarlo. "Anche il tuo destino sembrava segnato, eppure sei ancora qui. Sono sicuro che per lei non sarà diverso..."
Lui capisce che mi sto sforzando di non scoppiare a piangere insieme a lui e scuote lentamente la testa per accennare un no.
Non riesco a reggere quello sguardo assente.
Questo non è il mio amico. Non è più lui: quel folle che con i suoi gesti ha fatto innamorare mia sorella. È la sua ombra, il suo fantasma.
È come se lui se ne fosse già andato per colpa di quella maledetta corda.
"Io... io adesso devo andare... appena mi diranno qualcosa te lo farò sapere... ma tu devi resistere! Fallo per lei!"
Lo sguardo del mio amico rimane vacuo, ma abbozza un sorriso e mi dice due semplici parole che mi riportano il mio amico: il mio Michele, come direbbe mia sorella.
"Ci proverò..."
Saluto l'altro ragazzo, poi esco dalla cella e mi ritrovo davanti Angela.
"Ehi! Che cosa ci fai qui?" le chiedo.
"Volevo... volevo vedere come stava mio fratello, ma mi è bastato sentirlo parlare per capirlo..."
"E non te la senti di entrare, adesso?" chiedo.
"Vorrei... ma non... non ce la faccio... vorrei aiutarlo, ma sentirlo distrutto mi fa male! È il mio unico fratello!"
Capisco perché l'ha detto. Mattia non può considerarsi il fratello di nessuno. Mi fa male vederla piangere in questo modo. Reagisco d'istinto, dimenticando tutto quanto, e mi avvicino a lei. Prendo delicatamente il suo viso pallido e freddo tra le mani. Sento il suo respiro agitato, le sue labbra tremanti, ma non riesco a fermare il mio impulso... un impulso che reprimo da anni.
Poso dolcemente le mie labbra sulle sue, ma quando lo faccio lei s'irrigidisce e mi spinge, forse senza rendersene neanche conto... ed è in quel momento che realizzo! Sono stato un idiota!

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