"126°: L'esecuzione [parte 2]"
Dora
Mi sveglio e mi rendo conto di non essere più sdraiata sulla dura branda del carcere, tra le braccia di Michele, ma sul mio letto... da sola. Sono vestita con gli abiti di ieri sera e quando tocco la maglietta la immagino avvolta attorno agli occhi di Michele, che ha voluto scoprire l'amore senza guardare... ha voluto scoprirlo nello stesso modo in cui l'ho scoperto io... ad occhi chiusi.
Mi alzo lentamente dal letto, prendo il cellulare e dei vestiti a caso.
Dovrei abbinare i colori, ma non ho proprio la forza di pensare, quindi appoggio il telefono sul mio letto, evitando di utilizzare l'applicazione che mi serve per "leggere" i colori. Mi dirigo in bagno, mi tolgo tutto di dosso e inizio ad accarezzare il tessuto di quella maglia... a contatto con quell'indumento le mie dita prendono a tremare e gli occhi a fare male. Accarezzo quel tessuto come se stessi toccando il viso del ragazzo che mi ha fatto scoprire l'amore e che l'ha scoperto con me.
Credo proprio che questa maglietta non la indosserò più, perché ricordare che lui l'ha usata come benda mi farebbe soffrire troppo, ma non la getterò via. Prendo una scatola dal mobiletto del bagno che chiamo "la scatola dei ricordi", piego con cura quella maglietta e ve la inserisco per poi chiudere il coperchio di latta. Rimetto a posto la scatola e m'infilo nella vasca, lentamente. È strano... di solito, dopo la prima volta, ammesso che sia voluta da entrambi, ci si sente bene... felici... io, invece, mi sento malissimo, perché la persona che mi ha fatto toccare le stelle e che, come ha detto a me, mi ci ha persino fatto giocare, sta per andarsene per mano di altre persone senza avere alcuna colpa di quello che ho sofferto.
L'acqua tiepida stavolta non mi dà alcun sollievo. Riesco a stento a bagnarmici la faccia, mescolandola con le mie lacrime.
Una volta finito esco dalla vasca, mi asciugo e mi vesto con non poca svogliatezza, senza riuscire a smettere di piangere neanche per un secondo.
Esco dal bagno, camminando con le mani sul viso per impedire ai miei singhiozzi di essere udibili e ai miei occhi straripanti di lacrime di essere visibili.
Questo metodo, però, è completamente inutile con mia madre. Per raggiungere la mia stanza la urto e lei mi ferma, facendomi spostare le mani dal viso e stringendomele tra le sue. Non mi dice niente, si limita a portarmi in camera mia, attirarmi a sé e stringermi in un forte abbraccio.
Mi lascia sfogare e solo quando mi sono calmata abbastanza da riuscire a parlare, dato che non riesco a smettere di piangere, mi chiede se mi va di parlare.
"Mamma... io... io e Michele..." balbetto. Non ho il coraggio di rivelarle che cosa è successo ieri notte, non ne ho la forza.
"Lo so, tesoro. Quando sei arrivata a casa, o meglio: quando quel poliziotto ti ci ha portata, avevi un'espressione serena che non ti vedevo da parecchio tempo ed eri stata rivestita in maniera un po' scomposta... ma è per questo che ora stai così?"
"Non proprio... cioè, un po'... ma non... non è che lui mi abbia costretta. L'ho voluto io. L'abbiamo voluto entrambi. E lui... lui è stato tanto dolce e delicato... eravamo inesperti, tutti e due. E poi... io mi ero anche spaventata, perché mi era venuto in mente Mattia che cercava di sottomettermi... di fare lo stesso, ma senza la mia approvazione, soltanto per farmi del male!"
"E scommetto che lui si è fermato e ti ha chiesto se fossi sicura di volerlo fare. È vero, piccola?"
Annuisco debolmente. "Ma il fatto è... è che io adesso non ho più niente, mamma... il mio amore... oggi me lo strapperanno, capisci? Me lo porteranno via!"
"Piccola, ascoltami: lui ha scelto di fare questo sacrificio enorme... per te e per Mattia."
"Ma è ingiusto, mamma! Lo trattano male, gli fanno del male, e oggi me lo ammazzeranno. È orribile e io non credo di essere abbastanza forte da sopportarlo. Lui è sempre stato forte, ma io no. Io non ne posso più..."
Anche mia madre è sul punto di piangere. Lo capisco dal fatto che le trema la voce mentre mi parla, ma lei resiste.
Probabilmente lo fa per non farmi sentire ancora più male.
"Tesoro, ascoltami. Adesso Michele si sta sottoponendo ad una prova molto difficile, che richiede uno sforzo sovrumano. Non dev'essere per niente facile lasciar andare la propria vita quando la si ama... non dev'essere facile farlo spontaneamente."
"E io... io cosa posso fare, mamma?" chiedo.
"Stagli vicino. Questa è l'unica cosa che puoi fare per lui, capisci? Lo so che è dura, ma dobbiamo andare ad assisterlo, a dargli coraggio in un momento come questo. Michele oggi avrà molto bisogno di te, di sapere che ci sei, che tieni a lui e che, anche a distanza, lo accompagnerai fino alla fine!"
Mia madre non fa in tempo a dire altro, perché Bruno ci raggiunge e ci dice che purtroppo dobbiamo andare.
Il giudice che si è occupato di questo processo non deve avere un cuore, perché ha deciso che l'esecuzione si svolgerà in piazza, come nei tempi antichi. Lui dovrà sopportare anche questo e, solo a pensarci, il mio sfogo di lacrime silenziose continua per tutta la strada.
Quando arriviamo in piazza, per un istante, sento che lui sta guardando verso di me e istintivamente abbasso la testa. Ci viene detto di prendere posto e attendere. Mattia deride sguaiatamente il fratello, tanto da irritare Angela, che gli molla un ceffone non so dove, talmente forte da produrre un'eco, per poi minacciarlo dicendogli che se non la snette lo strozzerà con le sue mani, senza la corda.
Rebecca, che è seduta accanto a me, mi prende la mano prima di dirmi che lui è su una specie di palchetto, con le mani legate a due pali e il collo attaccato ad un terzo, centrale.
Mattia e Romano continuano a prenderlo in giro e lui, da là sopra, mi supplica di smettere di piangere e sento che guarda i miei occhi, insistentemente.
Il mio peggiore incubo sta diventando realtà davanti a me ed io non posso fare nulla per impedirlo. Le voci che ho sognato di udire in un momento come questo mi si sovrappognono in testa, fino a creare una musica inquietante e dolorosa... troppo dolorosa.
La carrucola viene azionata e in quel momento il mio corpo ha uno scatto imprevisto, che non avrei mai immaginato.
"Michele... NOOOOO!" dico, prima sussurrando il suo nome per poi prorompere in un grido di disperazione. Mi alzo di scatto dalla sedia in plastica e, lasciando cadere anche il fidato bastone bianco, inizio a correre, urtando le varie sedie.
Vado a sbattere contro le transenne con la fronte e sento il sangue colarmi fin dentro gli occhi, ma non m'importa. Mi arrampico su di esse e le scavalco, ma appena atterro qualcuno mi si piazza davanti, impedendomi di proseguire.
"Eh no! Dove credi di andare, ragazzina?" mi dice Mattia in tono minaccioso.
"No... ti prego..." sussurra Michele, come se avesse capito quali sono le intenzioni di suo fratello nei miei confronti.
"Questo colpo di testa costerà la vita anche a te! Tu finirai come lui... ma io non userò la corda con te..."
"LASCIAMI! LASCIAMI ANDARE, MALEDET..." urlo, ma lui mi mette le mani intorno al collo, stringendo forte la presa, fino a quando...
"Perché non te la vedi con un mezzo criminale come te, disgraziato?" lo fulmina Salvatore, colpendolo con tanta violenza da farlo cadere.
Non so come abbia fatto a raggiungermi, ma è arrivato giusto in tempo.
Tra i due inizia un'accesa lotta.
Mi sento afferrare per un braccio, ma capisco che la persona che mi ha presa non mi sta riportando indietro... mi sta aiutando ad arrivare dovo voglio!
Mi lascia su quella specie di palco. Io raggiungo la struttura a pali e mi ci arrampico. La corda si stringe sempre di più e io, che per fortuna ho recuperato presto l'ossigeno, inizio a cercare il nodo.
"Michele... lo so che non posso vederti, ma tu guardami, hai capito? Guardami!" gli dico con un filo di voce per poi prendere un profondo respiro e posare le mie labbra sulle sue, per fornirgli ossigeno. Trovo il nodo e inizio a districarlo, fino a quando la corda non si scioglie dal suo collo e la sento avvolgersi alla carrucola.
Scendo giù, verso le altre corde, aggrappandomi ai pali con le gambe. Qualcuno mi tira il colletto della maglia, ma io stringo la presa per non cadere.
Quando riesco a liberargli anche le braccia scivoliamo giù entrambi e lui crolla a terra, respirando affannosamente alla disperata ricerca di un po' di ossigeno.
"Ehi! Mi senti, Michele? Mi senti?" gli chiedo, crollando in ginocchio accanto a lui.
"Vai..." riesce a biascicare lui.
"Cosa? Per..."
BUM! Un suono che mi è fin troppo familiare e subito dopo un dolore lancinante alla schiena. L'ultima cosa che sento è la voce spezzata del mio angelo che, come ho fatto io, pronuncia un no.
Prima di svenire, però, gli chiedo: "Ora ti lasceranno andare... vero?"
Michele
La corda si stringe e faccio fatica a vedere cosa succede, ma riesco a capire che lei sta correndo senza niente, senza supporti, e rischia molto spesso di cadere in avanti. Urta contro le transenne e dalla ferita che le si apre sulla fronte sgorga un fiotto di sangue, ma lei sembra non curarsene, vi si arrampica agilmente e le scavalca. Forse è la famosa "forza della disperazione": quella che ti permette di fare tutto ciò che è necessario, ad esempio, per salvare una vita... come sta cercando di fare lei con me.
Il panico mi assale quando Mattia l'afferra e so per certo che ha tutta l'intenzione di farle qualcosa, di farla finita!
"No... ti prego..." riesco a dire con un filo di voce, ma lui le mette le mani attorno al collo. Vuole che lei finisca come me... forse con tanto di proiettile... ma il ragazzo incappucciato lo colpisce in pieno volto, facendolo cadere lateralmente. Forse Mattia non ha potuto stringerle tanto a lungo la gola da fermarla, perché lei riprende la sua corsa sfrenata verso di me. Davide le afferra il braccio destro e le permette di affrettare la corsa. Lei sale sul palchetto e si arrampica sulla struttura.
Mi ripete le parole che mi disse una volta.
"Anche se non ti vedo tu guardami, hai capito? Guardami!"
E io la guardo.
La guardo mentre cerca furiosamente il nodo della corda che si stringe.
Quella ormai mi tocca praticamente la pelle del collo.
Lei posa le sue labbra sulle mie e mi fornisce ossigeno mentre cerca di sciogliere quel nodo e mi sorprendo quando vedo che riesce a liberarmi e lascia andare la corda. La vedo scendere un po' più giù e fare lo stesso con le corde che mi legano i polsi ai pali. Quando lei mi libera, però, finiamo per cadere entrambi.
Inizio a respirare lentamente, come quando ci si sveglia dopo un incubo, con il cuore che sembra voler schizzare fuori dal petto e andarsene per conto suo. Lei si mette in ginocchio, accanto a me, e mi chiede se riesco a sentirla. In quell'istante, però, vedo che Mattia sta puntando la pistola che era destinata a me alle sue spalle.
"Vai..." riesco a dirle con un filo di voce, in un accesso di tosse provocato dalla mancanza di ossigeno.
"Cosa? Per..."
Non ha il tempo di finire la frase, perché il proiettile la colpisce alla spalla sinistra.
Lei crolla accanto a me, sopraffatta dal dolore, e credo di capire come si è sentita quando è stata lei a cercare di evitarmi un colpo di pistola, tra l'altro sparato sempre dalla stessa persona.
"No..." riesco a dire, con un filo di voce.
E la cosa che mi strazia maggiormente è il fatto che, prima di perdere conoscenza, lei mi chiede: "Ora ti lasceranno andare... vero?"
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